«Io non sono cattiva; è che mi disegnano così», diceva la sensualissima Jessica nel film Chi ha incastrato Roger Rabbit, dove i personaggi dei cartoni animati interagivano con gli esseri umani come fosse la cosa più normale del mondo.
La citazione riassume plasticamente le parole di Sandra Gallina, direttrice generale Salute della Commissione Ue, che ieri ha reso la sua audizione davanti alla commissione Controllo dei bilanci del Parlamento europeo a Bruxelles. Messa lì dal ministro Roberto Speranza e dall'ex collega Vincenzo Amendola per farci credere che l'Italia fosse sul pezzo a presidiare il negoziato del secolo. Chi è la Gallina? Una veterana del palazzo comunitario, meno delle politiche sanitarie. Laureata in Lingue moderne all'Università di Trieste nel 1987, l'anno successivo entra alla Commissione come interprete. Nel 1999 dalle traduzioni passa alle negoziazioni fiscali: il primo passo di un inarrestabile percorso di crescita nell'ambito delle negoziazioni Ue gestite dalla cruciale Dg Trade, il «ministero» che gestisce le pratiche commerciali dell'Unione. La scalata prosegue dal 2001 al 2018, quando la Gallina diventa vice della stessa Dg Trade, una carica fondamentale. Nel mezzo della pandemia, quando - dopo il blitz di Italia, Germania, Francia e Olanda con Astrazeneca - i Paesi dell'euroarea decidono di far negoziare la Commissione per loro conto sui vaccini, Ursula von der Leyen vuole lei, Sandra Gallina, a guidare il team delle trattative. Nel mezzo della pandemia, infatti, viene fatta saltare dalla Dg Trade alla Dg Sante (cibo e salute), un gradino sotto la commissaria cipriota Stella Kyriakides. Il governo italiano, come detto, tenterà di spacciarla come una sua vittoria, ma non è così. E le parole di ieri ne sono una indiretta controprova.
«Il vero problema, per quanto riguarda la distribuzione delle dosi di vaccini anti Covid», ha riassunto infatti la Gallina, «è stato il fatto che, quando la Commissione ha negoziato i contratti di acquisto anticipato con le compagnie, molti Paesi membri tendevano ad acquistare solo una parte delle dosi di loro spettanza, lasciando inoptato il resto». In pratica non è colpa sua, ma degli Stati membri. La Gallina non fa nomi. Ma il messaggio - neanche troppo subliminale - è che dovremmo dire grazie alla Germania, che si è comprata 30 milioni aggiuntivi di dosi del vaccino Pfizer (casualmente prodotto con la tedesca Biontech), dopo aver sempre casualmente interrotto la somministrazione di Astrazeneca e quindi indotto - come in un domino - gli altri Paesi Ue a fare altrettanto. Lo stigma dell'insicurezza in capo al prodotto del consorzio anglosvedese è servito. La nostra campagna di vaccinazione - già fallimentare in partenza - vacilla ulteriormente, e lo scontro fra Unione europea e Gran Bretagna si infiamma. E il contratto siglato dalla Gallina non ci tutela altrimenti.
Vi viene il mal di testa? Tenete duro. Tachipirina e vigile attesa, direbbe Roberto Speranza. Non è finita. Se si impedisse a Londra di ricevere il vaccino - che ancorché «insicuro», l'Europa vuole a tutti i costi - dai laboratori dello Yorkshire in Gran Bretagna potrebbero non arrivare le nanoparticelle lipidiche così preziose alla turco-tedesca Biontech per produrre Pfizer. I tedeschi sono fatti così. Hanno un talento straordinario nel perdere tutte le guerre con gli inglesi. E noi nello schierarci al loro fianco.
Il bollettino, se tutto si fermasse ad oggi, a causa delle reciproche ritorsioni geopolitiche e commerciali, vede gli inglesi ampiamente vincenti, con il 44% della popolazione che ha ricevuto almeno una dose, contro la media del 13% di Italia, Germania e Ue. La luce in fondo al tunnel per gli inglesi è vicina, mentre noi ci siamo ancora in mezzo, fra chiusure e centinaia di morti giornalieri. Ma Sandra Gallina intona la propaganda eurofila. L'Europa serve per fare grandi quantità. Senza le quali «non eravamo interessanti per Big Pharma». E qui si torna al disegno di Jessica Rabbit. L'Unione europea - che già è disegnata male per i tempi di pace - è pitturata ancor peggio per i tempi di guerra. Natale D'Amico - dirigente di Banca d'Italia - lo spiega come meglio non si potrebbe in una dichiarazione rilasciata a Radio radicale. Il fallimento più tragico dell'Unione europea consiste nell'aver ragionato con la sua logica solo apparentemente «logica»: mettiamoci insieme «per risparmiare sul prezzo». Salvo scoprire che nel momento in cui i vaccini iniziano a uscire dalle linee produttive, andranno nei freezer di chi paga di più. Se l'Italia, prosegue D'Amico, avesse pagato ogni dose dieci euro in più - come Israele - avrebbe speso ulteriori 1,2 miliardi di euro. Considerando due dosi per ciascun concittadino. Un costo irrisorio, se confrontato con l'entità del deficit del 2020 (130 miliardi in più rispetto al 2019) o con i danni del lockdown (che solo nel secondo trimestre del 2020 hanno prodotto un calo di Pil di circa 900 milioni al giorno).
Ma potremmo magari gettare uno sguardo dalle parti della Serbia. Un Paese con reddito pro capite di 7.213 dollari, praticamente un quinto del nostro. «Non facendo la Serbia parte dell'Unione europea ci siamo dovuti muovere da soli e lo abbiamo fatto per tempo. Abbiamo trattato con tutti. Con un solo obiettivo. Reperire qualunque vaccino sicuro ed efficace. Oggi abbiamo i quattro più diffusi al mondo». Così Darija Kisich Tepachevich, ministra serba, ai microfoni del Tg3, lo scorso 20 marzo. Il Paese ha somministrato 32-33 dosi ogni 100 abitanti. Superata solo dal Regno Unito, pure lui fuori dall'Ue. Quando noi avremo recuperato sarà troppo tardi: nel frattempo abbiamo disintegrato l'economia a colpi di lockdown, «perché non avevamo i vaccini».





