«Dopo gli articoli e le interviste, sono stato contattato dal ministro e ora stiamo cercando di risolvere i problemi che ha il nostro cinema, formando un tavolo tecnico per vedere se il governo può modificare il tax credit, le regole e sbloccare una situazione che ha visto questo nostro cinema italiano, che ha una grande creatività, in una situazione piuttosto drammatica»: così l’attore Claudio Santamaria, alla presentazione del Milano film fest, ha annunciato che, dopo le polemiche dei giorni scorsi, i protagonisti italici del mondo della settimana arte si siederanno a trattare con il ministro della Cultura, Alessandro Giuli.
Eh sì, Santamaria ha ragione: la situazione del cinema italiano è drammatica. Ma a guardare la settima puntata, qui a sinistra, della «serie» immaginaria The flop, ovvero l’elenco delle produzioni italiane degli ultimi sette anni con riportati i costi di produzione, i contributi pubblici e quanto incassato al botteghino, si arriva alla stessa conclusione cui è arrivato Marcello Veneziani all’inizio di questa nostra indagine: ma non è che il problema del cinema italiano sia il fatto che di soldi non ne girino pochi, ma troppi?
Il sol dell’avvenire è l’ultimo capolavoro (così si dice a sinistra) di Nanni Moretti, con Silvio Orlando e Margherita Buy. A Cannes, il giardino di casa di Moretti, è stato accolto come capolavoro. A sinistra è stato un coro di «alleluja», Repubblica è arrivata perfino a scrivere che «ha un difetto: dura solo 95 minuti e se ne vorrebbe di più». In sala ha attirato eccome spettatori, ha guadagnato quasi 4,2 milioni di euro. In tempo di post Covid, è una bella fetta della torta. Peccato che l’incasso sia ben lontano dai 5,2 milioni che lo Stato ha gentilmente devoluto al cineasta rosso, che ha speso ben 13 milioni di euro per realizzare la pellicola. Insomma, tanta spesa ma poca resa. Ma guai a frenare gli applausi della gente che piace. Te l’avevo detto è la seconda prova da regista di Ginevra Elkann. Già la prima non è andata benissimo, per usare un eufemismo. Per la seconda, la sorella di John e Lapo ha voluto fare le cose in grande: budget da 4,5 milioni (1,6 coperti da papà-Stato) ma al botteghino il film con Valeria Bruni Tedeschi e Riccardo Scamarcio è andato come le vendite della Lanca Ypsilon: malissimo. Solo 124.000 euro incassati.
Rapito è un film di Marco Bellocchio che tratta il caso di un bambino ebreo di Bologna sottratto alla famiglia dalla polizia papalina per essere convertito al cattolicesimo. È tratto da una storia vera, il caso Edgardo Mortara del 1858. Osannato a Cannes, pluricandidato (e premiato) ai nostrani David di Donatello, il lungometraggio non è andato malissimo al box office, in termini assoluti: 1,9 i milioni racimolati. Lontani anni luce dai 5,3 giunti dallo Stato per sostenerlo e dai 13,6 spesi per realizzarlo. Fabio Mollo con il suo Nata per te aveva fatto parlare molto nell’autunno del 2023, rappresentando la storia di Luca, single gay e cattolico che prova in qualsiasi modo a ottenere l’affidamento da una bambina con la sindrome di down. Un film crudo, tratto da una storia vera che però, a fronte di 4,3 milioni di costi di produzione (2,9 coperti dai contributi pubblici) nelle sale è andato maluccio: 848.000 euro di incasso. Altro fiasco clamoroso è quello ottenuto da Roman Polanski con il suo The palace. Qui i fondi pubblici hanno addirittura raggiunto quota 6 milioni, i costi di produzione sono stati stratosferici: 18,8 milioni. E al botteghino? Un abisso: 398.000 euro incassati. Race for glory: Audi vs Lancia, film corsaiolo di Stefano Mordini che ripercorre la lotta tra i due costruttori per il titolo mondiale nel Campionati rally del 1983, vede Riccardo Scamarcio (un abbonato dei film flop) nel ruolo di Cesare Fiorio. Incassi, però, così così: 1,3 milioni, lontanissimi dai 9,5 spesi per girarlo (3,6 pagati da Pantalone). Felicità di Micaela Ramazzotti è costato 3,9 milioni, 1,7 dei quali arrivati dal pubblico. Il botteghino, però, non è stato felice: 621.000 euro di biglietti staccati.
Domani l’ottava puntata. Piccolo spoiler: tornano i «mostri sacri» del nostro cinema.
















