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Roberto Gualtieri, sindaco di Roma (Imagoeconomica)
Il Campidoglio pubblica un bando da 400.000 euro per trovare un ente che individui cittadini disposti a ospitare «pro bono» immigrati regolari per tre anni. Ma perché pagare un’associazione ad hoc anziché le famiglie?
Il sindaco di Roma, il professor Roberto Gualtieri, ne ha trovata un’altra: cerca famiglie che ospitino migranti regolari (ci mancherebbe altro) singoli e famiglie, a gratis. In realtà a gratis sì, ma un tubo, perché per fare questo lo stesso Gualtieri ha emesso un bando, il cui costo è di 399.000 euro, per un concorso alla ricerca di una associazione che gestisca per 36 mesi l’operazione. Forse i lettori penseranno che stia scherzando e, in effetti, quando l’ho letto è venuto in mente pure a me che si trattasse di uno scherzo. Invece è vero: è una baggianata totale, ma è vera. Gualtieri ha la capacità di non smettere di stupirci mai. Ha sempre un topo (coniglio mi pare troppo) nel cappello. Questa associazione, o quel che sia, che vincerà il bando dovrà provvedere all’inserimento lavorativo, all’inserimento sociale, al perseguimento di obiettivi più nobili possibili. Del resto, a sinistra fanno sempre cose che sfiorano il sublime quanto a solidarietà. Quel che è giusto è giusto. Se non fosse che questi 400.000 euro li pagheranno le famiglie romane perché, in questo caso, tali quattrini non usciranno dal cappello di Gualtieri, ma dalle tasche dei suoi concittadini.
Capimmo Papa Francesco quando chiese alle parrocchie, a tutte le parrocchie italiane, di ospitare almeno un immigrato. Non lo ascoltò praticamente nessuno: risultato tendente allo zero. Ora ci riprova Gualtieri, che probabilmente pensa di avere più autorevolezza di un pontefice nei confronti dei romani, chiedendo alle famiglie di sobbarcarsi per 36 mesi un immigrato o una famiglia di immigrati, pagando non le famiglie stesse ma questa associazione che intascherà 100.000 euro l’anno per l’integrazione di questi immigrati.
Ma non c’erano altri strumenti già esistenti - e gratis -per trovare queste famiglie? Non bastava una lettera in cui si proponesse, dopo aver verificato alcuni requisiti di queste, tipo la fedina penale dei componenti, questa accoglienza gratuita?
Esistono o no a Roma i cosiddetti municipi, cioè istituzioni ed emanazioni del Comune che si occupano dei vari pezzi di territorio? Non esiste una rete importante di associazioni, Caritas in testa, che potesse fare da tramite aiutando a identificare almeno alcune delle famiglie (molte delle quali, magari, componenti di quelle associazioni)? Occorreva ricorrere a un bando del Comune costoso e probabilmente inefficace per cercare queste famiglie? Ma cos’è diventato Gualtieri, un predicatore laico che ha preso a modello predicatori religiosi americani? Che farà questa associazione per cercare queste famiglie? Farà come gli antichi banditori romani o araldi greci, forniti di tamburo che andavano di rione in rione a leggere la richiesta di ospitalità delle famiglie? Ci andrà anche Gualtieri, personalmente vestito adeguatamente da araldo?
È il mondo alla rovescia. In che senso? Esiste un principio, scritto anche nella nostra Costituzione, che si chiama principio di sussidiarietà. Vuol dire che quando una istituzione non riesce a fare qualcosa si rivolge all’istituzione superiore, ad esempio un Comune si rivolge alla Regione. Ma esiste anche nel senso che quando la società civile riesce a fare bene un intervento sociale, meglio dell’istituzione, si affida a essa il compito di svolgerla. Qui Gualtieri ha inventato la sussidiarietà al contrario: chiede alle famiglie di ospitare gratis i migranti e paga un’associazione per prendersene cura.
Ora, finché un’autorità morale come il Papa lo chiede alla Chiesa, ci sta: è la sua missione. Ma qui siamo di fronte a un’autorità civica che si eleva da sola ad autorità morale e chiede ai cittadini un impegno morale. Ma perché pagare un’associazione? Non si potevano scegliere famiglie attraverso i canali del volontariato, dell’associazionismo cattolico e non? Occorreva fare un bando, che per quanto ben fatto, non sarà mai sufficiente per raggiungere quel livello di conoscenza che di quelle potenziali famiglie può avere questa associazione che si aggiudicherà questi quattrini? E se alla proposta aderissero famiglie non benestanti, non si poteva pensare di dare un aiuto direttamente alle famiglie stesse? Ma che cacchio di ragionamento contorto ha dato vita a questo arzigogolo, a questo ghirigoro giuridico senza senso? Abbiamo letto che una rappresentante del Comune ha detto che i soldi devono andare assolutamente a un’associazione, e in nessun modo sarebbero potuti andare alle famiglie stesse. E chi l’ha detto, dove sta scritto?
Ricordiamo che le famiglie fanno parte della società civile, anzi secondo la nostra Costituzione ne sono il nucleo fondamentale. Comunque sia, si tratta di un provvedimento che fa acqua da tutte le parti. La sinistra dice che la destra mette al bando i migranti, un sindaco di sinistra ha fatto un bando per i migranti, mettendo al bando tutti quelli che se ne occupano seriamente e affidando a pagamento il reclutamento di famiglie volenterose. Vi sembrerà di sognare, e invece vi assicuro che siete svegli.
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Nel riquadro la vittima Marco Magrin (IStock)
Il militante per il diritto alla casa ha messo alla porta l’abusivo che non pagava l’affitto. Lui si rifugia in un box e spira al gelo.
Abbiate un minuto di pazienza e leggete il testo che riportiamo qui di seguito, peraltro in molta parte condivisibile. Lo abbiamo facilmente rintracciato sulla Rete e dice così: «Il problema della casa è sempre più presente in tutto il Paese. I salari sono troppo bassi per pagare affitti e mutui, anche per chi vive in una casa popolare; si costruiscono case di lusso per pochi e si preferisce utilizzare le case per affitti brevi per turisti invece che soddisfare i bisogni della popolazione; e soprattutto in questo Paese non c’è un piano per il diritto all’abitare dagli anni 70! Qui a Treviso ormai centinaia di famiglie sono a serio rischio di trovarsi per strada: donne, uomini, genitori single con figli minori, famiglie».
Ancora un piccolo sforzo, perché ora viene la parte importante: «La casa è un diritto fondamentale, non è un terreno su cui alimentare una guerra fra poveri; le responsabilità del nostro impoverimento non sono di chi sta peggio, ma di chi in alto protegge solo gli interessi delle classi più ricche. Nel Comune di Treviso le case sfitte sono più del 13%, buchi neri che, fra pubblico e privato, se fossero riqualificati andrebbero a soddisfare la necessità delle tante, troppe, persone al momento in difficoltà».
Sapete da dove viene questo documento giustamente indignato e bellicoso? Dal profilo Facebook della associazione Caminantes di Treviso, composta (è scritto nella presentazione ufficiale) pure da frequentatori del centro sociale Django. Per la precisione, il profilo Facebook si chiama così: «Caminantes. La casa è un diritto». Affermazione che senz’altro sottoscriviamo. Peccato che tale diritto sia stato negato a Marco Magrin, un uomo di 53 anni trovato morto lo scorso 30 novembre in un garage di via Castagnole a Treviso. Pare che Magrin vivesse lì dentro, sotto la casa in cui aveva abitato per un periodo assieme alla compagna. Da quella abitazione era stato cacciato, si era rifugiato nel box e lì è crepato. Ed ecco il colpo di scena: la casa da cui Magrin è stato allontanato appartiene a un attivista del centro sociale Django e di Caminantes, tale Andrea Berta.
Secondo il Gazzettino, Berta avrebbe ereditato la casa due anni fa da una zia, mentre il garage non sarebbe di sua proprietà. A quanto risulta, l’attivista si è trovato, assieme alla abitazione, anche i due inquilini. Scrive TrevisoToday: «Quando è arrivato il momento di riscuotere l’eredità l’attivista si è fatto carico di debiti e bollette non pagate trovando dentro casa Marco e la compagna, entrambi senza lavoro. Berta non era in grado di sostenere le spese anche per quell’appartamento senza che nessuno dei due coinquilini pagasse l’affitto. Ha chiesto a Magrin e alla compagna di trovare una soluzione alternativa ma dopo un anno nulla è cambiato. Nel frattempo la compagna di Magrin è sparita dopo essere stata portata in comunità. Marco è rimasto solo nell’appartamento fino allo scorso agosto quando ha detto a Berta di aver trovato una nuova sistemazione. Il cinquantatreenne di Camposampiero avrebbe però continuato a occupare la casa fino a quando il proprietario non ha cambiato le serrature».
Tutto chiaro? Berta, il militante dei centri sociali, riceve una eredità ma, come capita a molti, fatica a gestirla. Non riesce a mantenere la casa avuta dalla zia perché chi la occupa non paga l’affitto, così insiste perché gli inquilini se ne vadano e cambia le serrature. A quel punto, Marco Magrin non sa più dove dormire e si sistema nel garage dove poi muore. Berta sostiene di non sapere che si fosse posizionato lì, dice di non averlo più visto. Sarà, ma la faccenda resta curiosa, e il cortocircuito rimane evidente: l’attivista che va in piazza per il diritto alla casa caccia il poveraccio che non gli paga la pigione e lo lascia al freddo.
Ieri Gaia Righetto, attivista della associazione Caminantes, ha provato a scaricare la colpa sul Comune (amministrato dalla destra) e ha pubblicato un messaggio disperato che Magrin aveva indirizzato a Mario Conte, sindaco di Treviso, per chiedergli aiuto. Secondo la Righetto, insomma, la colpa è delle istituzioni e non di Berta che ha cacciato l’abusivo: « La storia di Marco e della sua compagna è, nella sua drammaticità, semplice», scrive la attivista di Caminantes. «Vivevano da anni in una casa senza pagare l’affitto, in una situazione estremamente difficile. Il fatto è che nessuno si è mai accorto di loro. Alcuni mesi fa la donna è stata male ed è stata presa in carico da una comunità. Ai politici e alle istituzioni non interessa se è viva o morta, come sta, basta che sia scomparsa, presa in carico da qualcun altro. Anche Marco era in difficoltà e, a modo suo, ha chiesto aiuto, senza nemmeno venire preso in considerazione. Resta il fatto che ha provato a contattare il Comune senza ottenere alcuna risposta». Dopo l’attacco al sindaco, la Righetto ha fatto sapere che Andrea Berta metterà a disposizione l’appartamento ereditato per «progetti sociali e soggetti fragili in situazione di marginalità». Un gesto molto bello, ma purtroppo tardivo.
La morale di questa storiaccia è fin troppo semplice. È facile fare i fenomeni e straparlare di diritti fingendo che la realtà non esista. È vero che esistono persone in drammatica emergenza abitativa. Ma è anche vero che non possono essere altri cittadini a farsi carico di costoro.
Berta, militante antagonista, ha scoperto suo malgrado il mondo reale: i padroni di case non sono tutti cattivi capitalisti. Talvolta sono povera gente che se non incassa l’affitto non sa come fare quadrare i conti. È per questo, non per crudeltà, che tanti invocano sfratti rapidi. L’attivista del centro sociale, quando è toccato a lui, ha fatto la cosa più ragionevole: si è ripreso la casa di sua proprietà. E tanti saluti alle chiacchiere in stile Ilaria Salis sulla difesa degli abusivi. Se queste chiacchiere non dominassero la scena a beneficio dei centri sociali e di qualche politicante, forse del tema della casa di potrebbe parlare più seriamente. E magari poveri cristi come Magrin non creperebbero di freddo in un garage.
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Dario Nardella (Imagoeconomica)
Il pronunciamento dei giudici sugli affitti brevi nei condomini: il divieto di utilizzo dei locali lede il diritto di proprietà immobiliare.
Non si placa la battaglia tra cittadini residenti proprietari di un immobile e gestori di immobili destinati agli affitti brevi. Questa volta, però, ad avere la peggio sono stati i cittadini residenti che, a Firenze, avevano fatto causa a una società che aveva rilevato due appartamenti del palazzo per proporli per affitti brevi. A raccontare la storia è Repubblica secondo cui due proprietari, difesi dall’avvocato Beatrice Francioli, avevano fatto causa spiegando che il regolamento condominiale del palazzo situati nel centro di Firenze imponeva agli immobili un uso esclusivamente residenziale o destinato a studi residenziali privati. Il giudice ha però dato ragione alla società che si era presa in carico gli appartamenti e difesa dal legale Francesco Spagnoli. Il motivo? La clausola del regolamento condominiale mostrata alla corte non era stata votata all’unanimità da tutti i condomini. Inoltre, i condomini aveva anche chiesto un risarcimento perché il viavai di turisti avrebbe ridotto sicurezza, decoro e tranquillità del palazzo. Ma, anche questa richiesta è stata rispedita al mittente perché, secondo i giudici, non sarebbe corretto affermare che l’arrivo di turisti debba per forza determinare problemi di sicurezza nel condominio. «Il divieto di esercitare una determinata attività all’interno di un appartamento, come quella di affittacamere, self catering apartments, etc.», si legge nella sentenza, «rappresenta una limitazione alle facoltà di godimento incluse nel diritto di proprietà immobiliare». Inoltre, «In astratto», si legge sempre nella sentenza, «l’ospitare turisti in appartamento non comporta alcun tipo di molestia o di danno, non essendovi alcun motivo per ritenere che le persone alloggiate debbano comportarsi, all’interno dell’appartamento, in modo meno civile».
Insomma, questa volta i magistrati hanno dato ragione a chi ritiene che un legittimo proprietario di un immobile abbia il diritto di utilizzare il suo bene come meglio crede. «È corretto che i proprietari di un immobile possano utilizzarlo nel modo che ritengono più opportuno», ha ribadito Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confediliza, alla Verità. «L’unico modo che un condominio ha per vietare il ricorso agli affitti brevi è quello di una votazione all’unanimità. In più, anche in questo caso, la clausola condominiale avrebbe valore solo per gli immobili futuri destinati agli affitti brevi. Non potrebbe essere retroattiva».
Il tema della lotta agli affitti brevi, in realtà, viene da oltreoceano con la città di New York che ha vietato gli affitti inferiori a 30 giorni, a meno che il proprietario non risieda nell’alloggio e non a più di due ospiti. In Italia la questione è molto dibattuta nelle città d’arte come Firenze o Venezia. Quello che però non va dimenticato è che il diritto alla proprietà immobiliare non può essere violato e che chi possiede legittimamente un immobile ha diritto a ottenerne una rendita senza doverne dare conto ai vicini.
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