Di loro si erano perse le tracce a metà dicembre del 2018. Erano in viaggio verso Ougadougou. Dopo la fuga hanno fermato un auto e sono stati portati alla più vicina base dei caschi blu in Mali.
Di loro si erano perse le tracce a metà dicembre del 2018. Erano in viaggio verso Ougadougou. Dopo la fuga hanno fermato un auto e sono stati portati alla più vicina base dei caschi blu in Mali.Erano scomparsi in Burkina Faso il 15 dicembre 2018, l'italiano Luca Tacchetto e la fidanzata canadese Edith Bias. Dopo 15 mesi di ricerche e di appelli per la liberazione oggi sono finalmente liberi. I due si trovano a Bamako, in Mali, e faranno pesto ritorno in Italia. Secondo la ricostruzione del capo della missione Onu Minusma, Mahamat Saleh Annadif, sono riusciti a scappare dai rapitori. Dopo la fuga hanno fermato un auto e sono stati portati alla più vicina base dei caschi blu. I due giovani, vestiti da tuareg, «sono sicuramente riusciti a fuggire, sono stati prelevati da un veicolo civile che li ha portati al campo di Minusma», ha spiegato Saleh Annadif che li ha accolti. Di loro si erano perse le tracce a metà dicembre dello scorso anno. Erano in viaggio verso Ougadougou,. Tacchetto è originario di Vigonza, in provincia di Padova, ed è il figlio dell'ex sindaco della città, Nunzio Tacchetto. «Era in viaggio di piacere in Burkina Faso, ma la destinazione era il Togo, dove avrebbe cominciato a lavorare a breve. Sono venti giorni e più che non lo sentiamo», aveva spiegato il padre a Padova Oggi. A quanto pare Tacchetto aveva scelto di partire in auto per fare un'esperienza da volontario. «In questo momento di difficoltà per il Paese arriva una buona notizia: il nostro connazionale Luca Tacchetto è libero. L'ho appena sentito al telefono e sta bene. Ho sentito anche il padre». Scrive il ministro degli Esteri Luigi Di Maio postando una foto di Tacchetto. «Grazie a tutti gli apparati dello Stato che hanno lavorato per riportarlo a casa. Continuiamo a dare il massimo ogni giorno. L'Italia va avanti, a testa alta», scrive ancora il ministro.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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