2019-04-02
Troppe vecchie (brutte) abitudini per un governo del cambiamento
Non conosco Giovanni Tria, ma devo ammettere che sin dal principio mi è risultato simpatico. Sarà perché appena sedutosi alla scrivania che fu di Quintino Sella la grande stampa ha cominciato a metterlo sulla graticola. O forse perché sulle spalle di questo buffo omino sono state caricate responsabilità che avrebbero schiantato un elefante.Sta di fatto che ho guardato le sue evoluzioni per giustificare l'ingiustificabile come un lodevole esercizio di tenacia. Preso di mira dalla rete e dai comici, silenziato durante un'audizione parlamentare da un improvviso spegnimento del microfono, il ministro dell'Economia è andato avanti nonostante quasi ogni settimana ci fosse qualcuno che ne pronosticasse le dimissioni. Tuttavia, la simpatia che mi suscita Giovanni Tria non mi impedisce di cogliere una serie di cose che non vanno, nella sua azione politica e anche nelle sue scelte. Cominciamo da queste ultime. Qualche giorno fa, Giacomo Amadori ha raccontato sulla Verità di uno strano intreccio di nomine che riconducono a lui. Tutto ruota intorno a Claudia Bugno, una consigliera che il ministro ha voluto al suo fianco in Via XX Settembre. La regola vuole che ogni titolare di dicastero si circondi dei suoi uomini (o donne) e dunque nulla da dire sul fatto che anche Tria abbia voluto qualcuno di fiducia accanto a sé. Il problema però è che la signora Bugno, pur vantando un curriculum adeguato, è stata nel consiglio di amministrazione della Banca Popolare dell'Etruria, quella di cui era vicepresidente il papà dell'ex ministro Maria Elena Boschi. E proprio per aver fatto parte del cda dell'istituto fallito è stata multata dalla Banca d'Italia con una pesante sanzione di 121.500 euro, accusata di non aver controllato e gestito i rischi della banca. La signora si è ben guardata dall'inserire la faccenda nella breve biografia pubblicata sul sito del ministero, ma la storia della multa è venuta a galla. Già questo sarebbe sufficiente per invitare Tria a rinunciare alla preziosa collaborazione, ma, come dicevo, Giacomo Amadori ha scoperto che, poco tempo dopo la nomina a consigliera di Claudia Bugno, il figlio della moglie del ministro è stato assunto in un'azienda di cui è amministratore delegato il compagno della consigliera. Non solo. A quanto pare, in passato, il figliastro di Tria ha lavorato nello staff della stessa Bugno quando questa, su nomina del governo Renzi, era coordinatrice del progetto per la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024. L'intreccio certo non ha nulla di illegale, ma quando si fa parte di un governo che dice di volere il cambiamento forse, se non un po' di attenzione nelle nomine, sarebbe utile per lo meno una disponibilità al chiarimento. Tria, insomma, dovrebbe spiegare perché la signora Bugno, pur multata per le disattenzioni bancarie, sia una collaboratrice attenta per le questioni finanziarie del ministero e quale sia la coincidenza astrale che ha portato il figlio di sua moglie a lavorare prima per la sua collaboratrice e poi per il di lei fidanzato. A maggior ragione in un momento in cui si parla di un possibile conflitto d'interessi della preziosa assistente, che dopo essere stata in Alitalia ha sul suo tavolo proprio il dossier Alitalia.Ma fin qui siamo alle scelte e ora è il caso di occuparci, invece, di politica economica. L'altro ieri Tria si è lasciato andare a una serie di dichiarazioni sull'andamento dell'azienda Italia. Parlando al Festival dell'economia civile, il ministro ha detto che l'Italia va verso una crescita zero. A suo dire la causa andrebbe cercata nella situazione internazionale. «Se la Germania si è fermata, di conseguenza si fermerà anche l'Italia. E visto che da anni cresciamo un punto meno degli altri Paesi europei ci avviamo verso lo zero». Certo non è colpa di Tria se la locomotiva tedesca si è inchiodata e però a un ministro della Repubblica non si chiede di fare il professore e di descrivere i dati macroeconomici, ma si domanda di fare qualche cosa per evitare che le cose vadano peggio. Non a caso il presidente del Consiglio ha commentato le sue parole dicendo che così Tria dimostra di non credere alla sua finanziaria. Se poi ci si aggiunge che, dopo aver sganciato la bomba sulla crescita zero, il numero uno di Via XX Settembre ha detto che non è necessaria una manovra correttiva («non ce la chiede nessuno») e che tutti gli impegni di bilancio saranno rispettati, beh, allora Tria una qualche spiegazione ce la deve. D'accordo, a forza di prese in giro, Tria ci è diventato simpatico, ma il fatto che lo abbiano trasformato in una specie di macchietta non lo autorizza a raccontarci quel che gli passa per la testa, senza dirci con sincerità come stanno le cose. Caro ministro, lei è seduto alla scrivania che fu di Quintino Sella ormai da dieci mesi e dunque ha il dovere di essere chiaro. Sulla consigliera e anche sul resto. Perché non basta dire che una manovra non ce la chiede nessuno e perché una parola chiara sui conti la chiedono gli italiani.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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