2025-07-11
L’Uomo d’acciaio diventa Super-clandestino
Una scena di Superman di James Gunn (Warner Bros Entertainment)
Il film del regista Gunn, appena uscito nelle sale, dipinge l’eroe di Krypton come un immigrato: «Rappresenta l’America». In nome del woke, si occulta il ruolo della cultura ebraica nella genesi del personaggio. Cresciuto da «bifolchi» molto simili ai fan di Trump... È un uccello, è un aereo, è... un immigrato clandestino! Ecco, così magari si esagera un po’ con la parodia, ma a ben vedere la descrizione di Superman offerta da James Gunn, regista del nuovo film appena atterrato anche nelle sale italiane è fedele. Si tratta di un lungometraggio particolarmente importante, dal quale potrebbe dipendere il futuro dei kolossal supereroistici al cinema. Ultimamente, infatti, le grandi produzioni dedicate ai personaggi mascherati di Marvel e Dc Comics non hanno ottenuto grandi risultati, forse anche perché il pubblico comincia a essere stanco di trame esili offuscate da effetti speciali fuori misura. A Gunn la Dc Comics ha affidato quello che dovrebbe essere il primo mattone di un universo in cui si muoveranno anche Batman, Wonder Woman, Flash, Lanterna Verde e molti altri. Ma l’inizio non è stato dei migliori. Gunn è intervenuto sul Times spiegando che «Superman è la storia dell’America. Un immigrato arrivato da altri luoghi e che ha popolato il Paese, ma per me è soprattutto una storia che dice che la gentilezza umana di base è un valore ed è qualcosa che abbiamo perso». A suo dire il film «parla di gentilezza umana e ovviamente ci saranno degli idioti là fuori che non sono gentili e lo prenderanno come offensivo solo perché parla di gentilezza. Ma che si fottano». Insomma, secondo Gunn il film è «una questione di politica. Ma a un altro livello è una questione di moralità». Sean Gunn, fratello del regista e attore nel film, alla prima ha rincarato la dose, dichiarando che il tema dell’immigrazione «è esattamente ciò di cui parla il film. Noi sosteniamo la nostra gente, capito? Amiamo i nostri immigrati. Sì, Superman è un immigrato, e sì, le persone che sosteniamo in questo Paese sono immigrati e se questo non ti piace, non sei americano. Chi dice di no agli immigrati è contro il modo di vivere americano». Il fatto è che queste uscite arrivano mentre negli Stati Uniti continua il feroce dibattito sulla gestione dell’immigrazione da parte di Donald Trump. Come noto ci sono state rivolte dopo le espulsioni di stranieri irregolari, alcune città sono state messe a ferro e fuoco e The Donald è stato descritto come una sorta di nazista intenzionato a svolgere pogrom contro gli allogeni. A Gunn certo non sfuggiva il contesto quando ha scelto di raccontare l’Uomo d’acciaio come un immigrato venuto da lontano che ha fatto grande l’America: sapeva che avrebbe indispettito qualcuno. E infatti sul versante conservatore in molti hanno storto il naso: il nuovo Superman, dicono, è l’apoteosi del politicamente corretto, è «Superwoke». Ben Shapiro, fondatore di The Daily Wire, è stato particolarmente duro, deprecando le (del resto innegabili) derive liberal dell’ambiente hollywoodiano. La vicenda è solo apparentemente grottesca. A volerla prendere sul serio, la si può trovare estremamente emblematica della guerra civile culturale che da tempo è in corso negli Stati Uniti e non fa prigionieri. Da una parte ci sono le esagerazioni caricaturali della cancel culture e del già citato wokismo. Dall’altra le reazioni talvolta esagerate ma più che comprensibili di chi vorrebbe raddrizzare il mondo al contrario.Riguardo ai supereroi, da anni il dibattito è particolarmente infuocato. La Marvel comics, casa editrice che ha prodotto l’Uomo Ragno, Capitan America, i Fantastici Quattro, Thor e altri eroi, nell’ultimo decennio ha abbracciato totalmente l’ondata woke, del resto è sempre stata pendente un po’ a sinistra fin dagli anni Sessanta. Non per nulla, per intercettare il pubblico nero, il fondatore Stan Lee sviluppò il personaggio di Pantera nera, chiaro richiamo alle Black Panthers tornato di recente alla ribalta per motivi evidenti.La Dc Comics è sempre stata più conservatrice. Dopo tutto possedeva i diritti di Superman, che è una sorta di icona della American way of life, e di Batman, eroe che a più riprese è stato descritto come fascistoide e che incarna perfettamente gli ideali tradizionali della cavalleria. Negli ultimi tempi, tuttavia, la pervasività del woke ha costretto la Dc ad adeguarsi. Nel 2015, quando l’astro trumpiano iniziava a splendere forte, uscì Superman: american alien, fumetto di Max Landis decisamente politico che si spingeva a raccontare l’Uomo d’acciaio appunto come un immigrato. Nel 2017 uscì sulla mitica rivista Action comics una storia di Dan Jurgen (storico sceneggiatore di supereroi) in cui Superman prendeva le difese di immigrati clandestini proteggendoli da un gruppo di estremisti di destra modellati sui sostenitori del Movimento Maga. Il nuovo film di Gunn sembra collocarsi, per volontà del regista, in questo filone, anche se la storia non è così esplicitamente politicizzata. Il tema è molto interessante, perché Superman è effettivamente uno straniero: viene da Krypton, e non è americano e nemmeno terrestre. Per altro è stato creato da due autori ebrei, Jerry Siegel e Joe Shuster, e la cosa non è irrilevante. Secondo Roy Schwarz, autore di un saggio di «storia ebraica» del supereroe intitolato Superman è circonciso?, l’Uomo d’acciaio fu la reazione di Spiegel e Shuster «all’ascesa del nazismo in Europa e all’antisemitismo in patria. Per molti versi, il famoso scudo a forma di S di Superman era un simbolo semplice e potente, usato come controargomentazione alla svastica. È la storia di un immigrato nato con il nome ebraico Kal El che arriva dal suo vecchio paese, cambia il suo nome in quello dell’ultra-Wasp Clark Kent e nasconde il suo mantello nei pantaloni come un tallit. Decide in ogni momento quale lato di sé - non solo personale, ma anche etnico e razziale - condividere con il mondo. Può decidere se mostrarlo o meno. Questa è, in sintesi, l’esperienza degli immigrati ebrei». La lettura è affascinante e per niente peregrina, tanto più che nel nuovo film di Gunn, a interpretare l’Uomo d’acciaio è l’attore ebreo David Corenswet. Sicuramente, parlare dell’influenza della cultura ebraico americana su Superman è molto più sensato del tentativo di farne un immigrato clandestino perseguitato da Trump.Volendo, poi, si potrebbe notare l’ennesimo cortocircuito: il wokismo non è noto per avere in particolare simpatia gli ebrei, soprattutto quelli israeliani e fa sorridere pensare che si possa appropriare di un personaggio creato da due immigrati ebrei legatissimi ai valori dell’americanismo più borghese. Questo è in fondo Superman: un super americano del Midwest. È il poliziotto del mondo che vigila sui terresti incapaci di gestirsi da soli (non è stato questo l’atteggiamento degli Usa nei decenni?), il palestrato gonfio e ingenuo, una versione più innocente della maschera che Hulk Hogan incarna sui ring del Wrestling. Dopo tutto, il nostro è nato su Krypton ma è stato adottato e cresciuto da due agricoltori con la camicia a quadri che gli hanno insegnato a comportarsi bene, a mangiare le vitamine e ad aiutare il prossimo. Probabilmente, oggi la famiglia Kent, impoverita dalla globalizzazione, voterebbe Trump e adorerebbe J.D. Vance. O forse, se il piccolo Kal El precipitasse ora dallo spazio nell’America bianca «profonda», finirebbe a farsi i tatuaggi in faccia e a distruggersi di meth. Chissà, magari proprio questa sarà la trama di un prossimo lungometraggio dedicato all’eroe Dc, e potrebbe scaturirne l’ennesimo dibattito surreale nella migliore tradizione statunitense: devono fare un guerra culturale per dimostrare di avere una cultura.
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli