
Il governo Draghi lascerà morire il Superbonus
Quando mercoledì 13 aprile la folta delegazione del centrodestra guidata da Matteo Salvini è entrata a Palazzo Chigi più o meno pronta a dare battaglia sul fisco, Mario Draghi l’ha accolta cortese, ma non ha praticamente fatto aprire bocca a nessuno. Non che il gruppetto fosse così battagliero: nella riunione fra loro che aveva preceduto l’incontro si era già concordato di non irritare il premier e il solo piglio deciso era stato mostrato da Silvio Berlusconi in collegamento telefonico: «Su una cosa sola non possiamo assolutamente transigere: guai a interrompere ora la fornitura di gas russo».
Ma Draghi, ormai infastidito dalle liturgie della politica, ha anticipato i leader del centrodestra facendo una dotta lezione storica su economia, disuguaglianze e ingiustizie per spiegare a tutti che se anche toccando le rendite catastali per adeguarle ai prezzi di mercato alla fine ovviamente qualcuno avrebbe pagato più di prima, si sarebbe trattato solo di equità fiscale.
Andasse oggi Giuseppe Conte con la sua delegazione a 5 stelle a chiedergli un intervento per sbloccare le difficoltà del Superbonus 110%, riceverebbe lo stesso trattamento e forse una risposta ancora più tranchant. Perché non solo il governo non interverrà nella direzione auspicata dai grillini, ma darà parere negativo anche alle proposte parlamentari di modifica. Draghi probabilmente se fosse stato a Palazzo Chigi già nel 2020 una norma così non l’avrebbe mai varata.
Però ha capito la situazione in cui ci si trovava e la necessità di inventarsi bonus per uscire dal pantano e fare ripartire un po’ l’economia. Secondo il premier poi quella legge ha avuto un effetto distorsivo del mercato prestandosi a numerose illegalità poi corrette dal suo esecutivo. Oggi sta arrivando al capolinea avendone ristretto il mercato finanziario con le grandi banche vicine a esaurire la capienza fiscale dei crediti di imposta dopo che già le più piccole avevano gettato la spugna per lo stesso motivo. Gli si chiede di allargare il mercato finanziario per la cessione di quel credito a terzi (e lui lo aveva appena ristretto per arginare truffe e illegalità) o di spalmare su più anni l’assorbimento, lasciando quindi un peso pluriennale sui bilanci pubblici. Ed entrambe le richieste, pure appoggiate dagli imprenditori e dalle organizzazioni del settore, il governo, secondo quanto risulta a Verità & Affari, dirà di no.
Secondo Draghi, che in questo è in totale sintonia con il ministro dell’Economia Daniele Franco, a causa del Superbonus 110% il settore dell’edilizia è diventato una bolla, che magari temporaneamente ha contribuito a tirare su il pil ma che poi inevitabilmente scoppierà con danni evidenti. Non solo: in questo momento congiunturale lungi da risolvere i problemi dell’economia, rischia invece di aggravarli. Essendo stata la domanda nettamente superiore all’offerta, l’edilizia ha amplificato secondo l’esecutivo la crescita della inflazione dovuta alla scarsità delle materie prime anticipando e poi gonfiando i problemi di una economia di guerra. Nella caro-bollette ci sarebbe riflesso anche di quel settore.
Fosse stato libero dalla sua maggioranza il governo avrebbe accorciato anche legislativamente l’orizzonte del Superbonus, ma ha preferito non alimentare tensioni politiche ulteriori. Se ora è il mercato stesso a mettere un freno alla finanza sui crediti di imposta, non sarà certo Draghi a indirizzarlo altrove e tanto meno a porre le basi per prolungare in legge di bilancio gli effetti del Superbonus. Come sul fisco, eventuali scelte diverse toccheranno fra meno di un anno al governo successivo.
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