2020-11-12
Sulle cure a domicilio gli anestesisti e i medici di famiglia vanno allo scontro
I rianimatori: «La medicina di base non ci aiuta». La Fimmg replica: «Senza protezioni né protocolli siamo allo sbando».I reparti denunciano l'eccessiva pressione. Un paziente su tre viene ricoverato, ma potrebbe essere curato a domicilio e Alessandro Vergallo, presidente dell'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani (Arooi) ha dichiarato che l'emergenza, non solo in terapia intensiva, sta diventando ingestibile «anche a causa di una medicina di famiglia», 43.000 medici di base più i pediatri di famiglia, «che non sta funzionando» e «deve ancora decidere, dopo oltre nove mesi, quale apporto concreto voglia dare nella gestione della pandemia». Dai circa 50.000 medici sul territorio «non sta arrivando aiuto», afferma il presidente Arooi, riproponendo ancora una volta la questione di cittadini costretti all'isolamento domiciliare ma che non sanno a quale santo votarsi per avere assistenza. Non si intaserebbero i pronto soccorso se avessimo la certezza che «ai primi sintomi qualcuno verrebbe a casa a visitarci e curarci», ricordava ieri sulla Verità il sociologo Luca Ricolfi. Di fatto, tra linee sovraccariche, medici di base che lamentano un carico eccessivo di lavoro dal lunedì a venerdì quando sono operativi e per il timore che molti di loro hanno di finire contagiati, perché sprovvisti di dispositivi di protezione individuale, troppo spesso chi è costretto a casa in quanto trovato positivo al Covid vive una situazione di abbandono. Il governo aveva promesso di rafforzare la medicina sul territorio, invece continuano a mancare procedure chiare cui attenersi per curare a casa i tantissimi pazienti Covid, che non hanno bisogno di essere ricoverati. Le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca), che dovevano limitare l'accesso agli ospedali, rappresentano un mezzo fallimento: pochissime risultano attivate. E a pagarne le conseguenze siamo noi, sempre più spaventati, con nessuno disponibile a prendersi carico dei nostri timori, quindi se non comprendiamo i sintomi di una malattia ancora così sconosciuta finiamo in ospedale a chiedere aiuto. Non accetta questa fotografia Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimmg, l'associazione più rappresentativa dei medici di famiglia. «Soffermiamoci sui 30.000 ospedalizzati per il virus in Italia, mentre noi medici di famiglia stiamo seguendo 542.849 pazienti positivi che non trovano risposte dai vari numeri verdi regionali o dei servizi di igiene e sanità pubblica», tiene a precisare. Per il segretario Fimmg, è «troppo comodo» scaricare responsabilità sui medici di famiglia quando li si lascia lavorare sul territorio «senza dispositivi di protezione individuale, senza protocollo e senza personale». La categoria da tempo denuncia l'assenza di mascherine, camici monouso o visiere: «Oltre l'80% dei medici di base non riceve meccanismi di protezione e deve arrangiarsi di tasca propria», ripete Scotti che non accetta questo fuoco incrociato contro i medici di base. I malati protestano perché alle chiamate non ricevono risposta o non sono seguiti a casa puntualmente, in maniera rassicurante. I medici di base obiettano che senza un protocollo «siamo costretti ad agire sulla base dell'esperienza, per cercare di gestire a domicilio i pazienti positivi asintomatici o paucisintomatici (con sintomi lievi, ndr). Consigliamo l'assunzione di vitamine, di antipiretici e se ci sono maggiori difficoltà respiratorie prescriviamo il cortisone, l'eparina quando il quadro diventa più complesso, così pure l'ossigeno. Ci confrontiamo tra colleghi ma purtroppo non abbiamo linee guida». Un quadro sconfortante, per il paziente al quale viene detto «Stai a casa e fatti curare, non portare via il letto a malati più gravi». C'è poi la questione degli infermieri di famiglia, che dovrebbero svolgere un ruolo quasi parallelo a quello dei medici di base, per seguire i pazienti affetti da coronavirus in isolamento a casa e aiutare a svolgere i servizi di assistenza domiciliare. Dove sono finiti? Il segretario Fimmg sostiene che la responsabilità è dei distretti sanitari, ai quali «è andato il miliardo di euro destinato lo scorso maggio per l'assunzione di queste figure professionali». Aggiunge: «Dobbiamo occuparci solo noi di una popolazione che non può andare al distretto o in ospedale. Adesso abbiamo anche più di mezzo milione di cittadini positivi. Il territorio è congestionato, da soli non ce la facciamo più», dichiara Scotti, negando che sia un problema di rivendicazione economica. Siano da una parte o dall'altra le colpe, resta il fatto che non viene fornita risposta alle esigenze della popolazione non autosufficiente, con malattie croniche o costretta, come nel caso del Covid, a curarsi a casa per non saturare gli ospedali.
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