
Un sieropositivo costa allo Stato migliaia di euro l’anno. Tra chi usa la profilassi, però, aumentano i rapporti non protetti. Quindi, si diffondono di più le altre malattie veneree.Solo guardando il dito, e non la luna, si può accogliere con toni trionfalistici la notizia dell’approvazione del rimborso, da parte dell’Agenzia del farmaco (Aifa), della Prep, la profilassi pre esposizione per prevenire l’infezione da Hiv. La pillola anti Aids infatti è in grado di prevenire l’infezione da Hiv, ma solo questa, che è una delle malattie a trasmissione sessuale (Ist), circa una trentina per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Paradossalmente, in assenza di altre protezioni, proprio nei soggetti che fanno uso della Prep si stima un incremento intorno al 25% di Ist, come ricordano gli specialisti dell’Icar (Italian conference on Aids and antiviral research). «Bisogna che chi assume la Prep abbia coscienza che funziona solo per Hiv», spiega Renzo Scaggainte, direttore delle Malattie infettive dell’Ospedale di Belluno ed esperto di Hiv. «Va usata in soggetti con partner sessuale positivo o con attività sessuale promiscua. Una cosa buona», continua, «è il fatto che la prescrizione sia da parte di un infettivologo che può non solo valutare il rischio, ma spiegare anche i limiti di una terapia del genere, che non copre per altri virus e batteri per il quale la Prep non protegge. Come prima indicazione», ricorda lo specialista, « resta il profilattico, che è mezzo di barriera che previene non solo Hiv, ma anche Hpv e altri batteri». Attualmente la Prep, una pillola composta da emtricitabina e tenofovir, viene assunta in profilassi pre o post esposizione in particolare da maschi che fanno sesso con maschi (Msm), donne ad alto rischio, transgender, sex worker. «Impedisce al virus di replicarsi e blocca così l’infezione», ricorda Giovanni Di Perri, professore di Malattie infettive all’Università di Torino. Prima di un rapporto a rischio, l’infettivologo prescrive il farmaco che viene ritirato in farmacia e, finora, pagato di tasca propria dall’assistito, che dovrà assumerlo qualche ora prima del rapporto a rischio. Il costo è intorno ai 50-60 euro, ma essendoci il generico, i costi possono essere anche più bassi. Esiste poi la profilassi post esposizione che, «introdotta inizialmente per gli operatori sanitari, nel caso ad esempio di contatto con ago infetto», aggiunge Di Perri, «scongiura l’infezione nelle persone che hanno avuto rapporti a rischio. In questo caso l’assunzione è per 30 giorni e la distribuzione è già gratuita». Bisogna fare i conti però con infezioni come sifilide, gonorrea, uretriti da clamidia. La vera questione è che «si ha una sorta di deresponsabilizzazione», sottolinea Scaggiante, «e passa il concetto che facendo la Prep non si è a rischio, mentre non è così. E, in ogni caso è una spesa di non pochi milioni di euro, rispetto a un mezzo di barriera, come il profilattico, che è una soluzione anche per altre patologie». Proprio a livello economico, va fatto presente che evitare un’infezione da Hiv significa risparmiare 5-6.000 euro l’anno: tanto costa un paziente Hiv positivo. Certo, di solito il Sistema sanitario valuta la riduzione del danno però, in questo caso si dovrebbe valutare anche l’impatto per il trattamento delle altre infezioni contratte per via sessuale. Tutte curabili, certo, ma con gli antibiotici il cui uso, è risaputo, è collegato al problema dell’antibiotico-resistenza: i batteri resistenti ai farmaci causano circa 200 morti al giorno in Italia. Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, in Italia il numero di casi acuti di Ist è quasi duplicato negli ultimi 15 anni. Le patologie più segnalate sono i condilomi ano-genitali, la sifilide, l’herpes genitale e le infezioni da clamidia. La fascia di età più colpita è quella tra 25 e 44 anni. In chi ha una Ist la prevalenza di Hiv è 40 volte superiore rispetto alla popolazione generale. I dati del check point di Milano, raccolti tra il 2017 al 21, mostrano che durante l’assunzione di Prep il numero di rapporti non protetti è quasi raddoppiato, per poi assestarsi nel medio-lungo termine a un livello intermedio. Non risulta variato in modo significativo il numero di partner occasionali nel tempo. Per quanto riguarda le infezioni osservate, avevano anche Hiv: over 45 (18%), Msm (30%), persone con sifilide primaria o secondaria (33%), gonorrea (16%) e uretrite da mycoplasma genitalium (14%). Tutte infezioni asintomatiche, quindi più facilmente trasmissibili con possibili effetti anche a lungo termine anche gravi come il cancro, ad esempio nel caso dell’Hpv. «In tutte le prevenzioni», afferma Di Perri, «c’è una quota di fallimento. In questa realtà si rischia un’interpretazione scorretta, di false sicurezze sulla trasmissione di altre infezioni a trasmissioni sessuale. Con la Prep evito l’Hiv, ma se non metto il preservativo mi prendo altro. È un problema di educazione a tutto tondo», ribadisce l’esperto.
La sede olandese di Nexperia (Getty Images)
Il governo olandese, che aveva espropriato Nexperia, deve a fare una brusca marcia indietro. La mossa ha sollevato Bruxelles visto che l’automotive era in panne a causa dello stop alla consegna dei semiconduttori imposto come reazione da Pechino.
Vladimir Putin (Ansa)
Il piano Usa: cessione di territori da parte di Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza. Ma l’ex attore non ci sta e snobba Steve Witkoff.
Donald Trump ci sta riprovando. Nonostante la situazione complessiva resti parecchio ingarbugliata, il presidente americano, secondo la Cnn, starebbe avviando un nuovo sforzo diplomatico con la Russia per chiudere il conflitto in Ucraina. In particolare, l’iniziativa starebbe avvenendo su input dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che risulterebbe in costante contatto con il capo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev. «I negoziati hanno subito un’accelerazione questa settimana, poiché l’amministrazione Trump ritiene che il Cremlino abbia segnalato una rinnovata apertura a un accordo», ha riferito ieri la testata. Non solo. Sempre ieri, in mattinata, una delegazione di alto livello del Pentagono è arrivata in Ucraina «per una missione conoscitiva volta a incontrare i funzionari ucraini e a discutere gli sforzi per porre fine alla guerra». Stando alla Cnn, la missione rientrerebbe nel quadro della nuova iniziativa diplomatica, portata avanti dalla Casa Bianca.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.





