2018-11-07
Suicidio assistito: la storia di Randy Hillard
Vorremmo raccontare ai nostri giudici della Corte costituzionale, ai nostri parlamentari che dovranno legiferare sul suicidio assistito e a quelli che raccolgono le firme per l'eutanasia la storia di Randy Hillard.Hillard è uno psichiatra americano che nel 2010 aveva pianificato nel dettaglio di andare in Svizzera per farla finita: gli avevano diagnosticato un cancro allo stomaco al 4 stadio e lui da medico sapeva bene cosa volesse dire (il tasso di sopravvivenza con quella malattia è del 18%). Era tutto pronto. Aveva lucidamente organizzato, oltre al suicidio, anche il suo funerale.All'ultimo momento il suo oncologo gli ha proposto un nuovo farmaco, l'Herceptin, che poteva allungargli la vita di circa un anno. L'uomo ha accettato, non molto convinto. Nel 2013 Hillard è stato dichiarato guarito.Da allora - ha detto - ogni mattina si sveglia meravigliato e con la sensazione meravigliosa di essere vivo. E ha cominciato una nuova vita, viaggiando in tutto il mondo, come testimone nella lotta al cancro allo stomaco.Che ne sarebbe di lui se fosse andato in Svizzera prima che l'oncologo gli avesse fatto la proposta di usare il nuovo farmaco? Quanta gente che si è arresa col suicidio assistito o l'eutanasia ha perso la chance di cominciare una vita nuova e «meravigliosa»?Intanto un'associazione di medici canadesi, la Physicians' Alliance against Euthanasia, ha inviato un messaggio di allerta al parlamento spagnolo, impegnato nella discussione di una legge sull'eutanasia. Anche questo appello sarebbe bene estenderlo ai nostri rappresentanti. I medici canadesi ritengono «che sia essenziale portare alla vostra [dei deputati spagnoli] attenzione i pericoli e i fallimenti dell'eutanasia e delle leggi sul suicidio assistito che sono in vigore dal 2016 in Canada». Nel comunicato stampa in oggetto, spiegano che da quando è stata introdotto il «Maid» (medical aid in dying), c'è stata una costante pressione per normalizzare ed espandere le pratiche eutanasiche di cui sono vittime le persone più vulnerabili.Oggi, dopo solo due anni, si sta cercando di estendere l'eutanasia e il suicidio assistito a bambini e alle persone con malattie mentali e disturbi cognitivi. Medici e ospedali sono sotto pressione: non hanno diritto di sollevare obiezione di coscienza. Quando si rifiutano di uccidere loro stessi, sono obbligati a fornire ai pazienti indirizzo e modalità di accesso al «servizio» richiesto in altro luogo.Il consenso e l'autodeterminazione dei pazienti non sono realmente tenuti in conto perché non viene loro offerta assistenza sanitaria adeguata, né cure palliative (è molto più economica l'eutanasia): la denuncia è arrivata anche dal College of Physician del Quebec, che è l'organismo di regolamentazione per la pratica medica.La legalizzazione dell'eutanasia e del suicidio assistito, secondo i medici scriventi, getta nell'abisso della disperazione tutti quelli che - malati o no - soffrono di depressione, o si sentono un peso per i familiari, o si sentono soli. Con la legalizzazione della morte assistita lo Stato cessa di proteggere la vita come un bene dei cittadini e in particolare di quelli che affrontano malattie e disabilità.Anche l'Associazione medica mondiale, che comprende 114 paesi in tutto il mondo, ha recentemente condannato l'eutanasia come pratica non etica.Ma la nostra Consulta probabilmente non ha avuto tempo e modo di documentarsi sulla deriva mortifera, gli abusi e gli orrori che hanno preso piede nei sei Paesi del mondo in cui l'eutanasia e il suicidio assistito sono legali. Né si è distinta per coraggio e determinazione quando ha passato la patata bollente nelle mani del Parlamento: il nostro, come quello spagnolo, trovino il tempo di documentarsi e di comprendere che la legge deve proteggere i beni dei consociati. E la morte non è e non deve essere mai considerata un bene: altrimenti, se è un bene, per par condicio deve essere data a tutti.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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