2022-06-22
Esame Suarez, richiesta di rinvio a giudizio per l'ex rettrice e l'ex dg dell'Università di Perugia
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L'avvocato Maria Cesarina Turco, indicata dai pm come il legale incaricato dalla Juve di seguire la questione e indagata per concorso in falso ideologico, la Procura ha chiesto l'archiviazione.La «forzatura» sulla certificazione della conoscenza della lingua italiana per il bomber Luis Suarez, in quel momento tra gli obiettivi di mercato della Juventus, costa all'ex rettrice dell'Università per gli stranieri di Perugia Giuliana Grego Bolli, all'ex direttore generale Simone Olivieri e alla ex direttrice del Centro di valutazione e certificazione linguistiche Stefania Spina una richiesta di rinvio a giudizio. I reati ipotizzati: falso ideologico e rivelazione di segreti d'ufficio per aver svelato le tracce dell'esame al bomber che in quel momento era l'oggetto del desiderio bianconero. Durante la requisitoria il capo della Procura di Perugia Raffaele Cantone e i pm Paolo Abbritti e Gianpaolo Mocetti hanno ribadito che nel settembre 2020 venne istituita una sessione d'esame «ad personam, solo per consentire a Suarez di ottenere nei tempi richiesti dalla Juventus, all'esito di una fittizia procedura d'esame, la certificazione linguistica». Il bomber, però, nonostante gli sforzi juventini, non riuscì comunque a indossare la maglietta bianconera. Ma un aspetto sembra essere stato accertato, almeno stando alla ricostruzione dell'accusa: fu la Juve a sollecitare all'Università per stranieri di Perugia una data per la sessione d'esame nel più breve tempo possibile. L'acquisto del bomber era, infatti, subordinato al conseguimento della cittadinanza italiana. E lo scoglio da superare era proprio la certificazione di livello B1 di conoscenza della lingua italiana. Nonostante ciò, per l'avvocato Maria Cesarina Turco, indicata dai pm come il legale incaricato dalla Juve di seguire la questione e indagata per concorso in falso ideologico, la Procura ha chiesto l'archiviazione. Dall'inchiesta è risultato che non sapesse con quale motivazione venne istituita la sessione ad personam per Suarez. Turco, che si era avvalsa della facoltà di non rispondere durante le indagini preliminari, ha invece deciso di parlare all'udienza preliminare, spiegando al giudice di non essere stata l'istigatrice della delibera dell'Università di Perugia con la quale venne istituita la seduta d'esame incriminata. Sarebbero stati poi i tre esponenti dell'ateneo, stando alla ricostruzione che ha fatto in aula l'accusa, a fornire in anticipo all'attaccante «l'intero svolgimento della prova» mediante una condivisione sulla piattaforma Teams e, successivamente, via email. Fu proprio Suarez, convocato dai pm come testimone, a raccontare che «la professoressa» gli mandò un pdf dicendogli che doveva studiarlo bene «perché quel testo poteva essere chiesto all'esame». Nello stesso verbale, del 18 dicembre 2020, il bomber svelò anche particolari sulla trattativa con la Juve che erano rimasti oscuri. Spiegò, per esempio, che avvisò subito la dirigenza di non possedere il passaporto italiano. «Verso fine agosto, inizio settembre (periodo che sembra coincidere, secondo i pm, con la strategia messa in campo dalla Vecchia signora a Perugia, ndr)», affermò il bomber, «ho ricevuto prima una chiamata da Pavel Nedved (vicepresidente della Juve, ndr), poi da Fabio Paratici (in quel momento managing director football area bianconero, ndr)». E fu Paratici a dirgli che pensava avesse già il passaporto italiano, come sua moglie. «Gli risposi», verbalizzò Suarez, «che non lo avevo, avevo solo iniziato a fare la relativa pratica chiedendo tutti i certificati necessari nei Paesi in cui ho vissuto». Il tempo però non era favorevole per portare a termine l'iter burocratico: «Il mio avvocato», aggiunse Suarez, «aveva parlato con Paratici e aveva saputo che era difficile ottenere la cittadinanza. Allora ho deciso di proseguire comunque la pratica per ottenere il passaporto. Non ricordo la data esatta ma era durante le lezioni». Dopo tanto sforzo, però, la trattativa sfumò. Suarez ha verbalizzato anche questi dettagli: «Il giorno stesso dell'esame mi chiamò Paratici quando ero in aeroporto per dirmi che avevo fatto la scelta migliore per la mia famiglia. Due giorni dopo mi chiamò il presidente Andrea Agnelli per dirmi che era dispiaciuto che la trattativa non era andata a buon fine e mi ringraziava per quanto avevo fatto per facilitare la trattativa, anche forzando i rapporti con il Barcellona. Agnelli mi disse che con il calcio non si possono mai fare programmi certi». Con gli esami d'italiano all'Università per stranieri di Perugia, invece, a sentire la Procura, sì. Spetterà al giudice dell'udienza preliminare il 12 luglio decidere se accogliere o meno le richieste dei pm.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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Silvia Salis (Imagoeconomica)