2023-04-17
Su Rosa e Olindo c’è poco da riaprire
La nostra firma, ex direttore della «Provincia di Como» ai tempi della strage, ricorda come si è arrivati all’ergastolo, adesso che un procuratore vuole riesaminare il caso. «C’è un incendio in centro a Erba, mandiamo un cronista». Erano da poco passate le otto di sera e nella redazione de La Provincia di Como, dov’ero direttore responsabile, nessuno s’immaginava il seguito da MacBeth. Quel fumo sospetto che usciva dalle finestre di un’anonima multifamiliare nella cittadina ai piedi delle Prealpi - primo chilometro dell’immensa Brianza -, nascondeva una strage. Sangue e morte, la distruzione di una famiglia, la mano omicida di due incensurati: ecco uno dei casi giudiziari più semplici ma controversi dell’ultimo mezzo secolo. Lo è, con i suoi fantasmi che tornano dal passato, se 17 anni dopo il sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, ha deciso di chiedere la revisione della condanna all’ergastolo per i due colpevoli per antonomasia, i vicini di Erba, Olindo e Rosa. Secondo due sentenze di merito e la Cassazione, quella sera dell’11 dicembre 2006 la coppia uccide tre donne, un bambino di due anni, ferisce gravemente un uomo; tutti con numerose coltellate alla gola e colpi alla testa con una sbarra di ferro. È la mattanza in via Diaz al 25. Bastano nove minuti a Olindo Romano e Rosa Bazzi per compiere il più efferato e inspiegabile massacro del dopoguerra in Italia. Lui netturbino, lei collaboratrice domestica a ore. La ricostruzione dei fatti viene affidata alla Procura di Como e ai carabinieri che dopo un mese arrivano alle conclusioni arrestando la coppia con alibi traballanti, messa fin dall’inizio nel mirino degli investigatori per i numerosi screzi di vicinato, per i dissapori sfociati in liti da cortile con il papà del piccolo Youssef, Azouz Marzouk, tunisino dalla vita complicata (precedenti per spaccio e amicizie nel sottobosco della criminalità) che si era accasato in una delle famiglie benestanti della città. La conta delle vittime è un albero genealogico: Paola Galli (la nonna di Youssef), Raffaella Castagna (la mamma), il bambino stesso trovato riverso sul divano con due pugnalate alla gola, più Valeria Cherubini (una vicina) allertata dal fumo nell’appartamento. Suo marito, Mario Frigerio, viene trovato in fin di vita con una coltellata alla gola, salvato da una malformazione congenita dell’arteria carotide, deviata rispetto al normale. Sarà lui ad accusare Olindo, a descriverlo, e a ribadire in aula: «L’ho visto, mi fissava con gli occhi da assassino, non dimenticherò mai il suo sguardo, era una belva». Un testimone oculare che convince i giudici e porta i procedimenti a sentenze «oltre ogni ragionevole dubbio». Dopo un mese di lavoro sulla pista di Marzouk e del regolamento di conti nel mondo della droga, l’attenzione degli investigatori si concentra su Olindo e Rosa. Sul battiscarpe della Seat Arosa di lui viene trovata una traccia di sangue della Cherubini. Secondo i pm la verità si avvicina e la svolta arriva prima con le intercettazioni ambientali, poi con le due confessioni degli indagati, contrappuntate da frasi da legal thriller, allucinate: «Disturbavano, non ci facevano dormire», «Se lo meritavano, abbiamo fatto pulizia», «Siamo diventati assassini per colpa loro». L’acredine sarebbe montata giorno dopo giorno, corroborata da ripetuti gesti provocatori e sconci che Rosa Bazzi attribuì a Marzouk. «Il movente e la ferocia che li ha spinti a uccidere non fa parte solo del loro mistero ma anche del nostro. Come un’insonnia che non ci spieghiamo, come un cattivo pensiero. Che Rosa e Olindo hanno coltivato nel cortile di casa, nella noia dei giorni, come si fa con il rancore e con i gerani». (Pino Corrias nel libro Vicini da morire). Secondo gli avvocati difensori, che hanno ispirato le 58 pagine del ricorso della Procura generale di Milano, tutto ciò sarebbe artificioso, le confessioni indotte, le ricostruzioni lacunose e fuorvianti. Tesi cavalcate da numerose rivisitazioni giornalistiche e dal programma Le Iene. Il procuratore Tarfusser ritiene che 17 anni dopo, la strage di Erba possa essere riletta anche dal punto di vista giudiziario e parla di nuove prove per chiedere alla corte d’Appello di Brescia la revisione del caso. Ma in realtà si tratta dei tre capisaldi rovesciati ed elencati in un differente ordine cronologico: la testimonianza di Frigerio sarebbe inquinata, irricevibile; la macchia di sangue labile e non probatoria; le confessioni indotte, ottenute sotto stress, quindi tutt’altro che inoppugnabili. Una svolta o solo congetture con il vento mediatico in poppa?Un dettaglio torna alla mente di quei giorni. Per un mese Olindo e Rosa, intercettati con le cimici, nelle loro conversazioni non parlarono mai fra loro, a cena o davanti alla tv, di ciò che era accaduto al piano di sopra. Mai una parola sul massacro. Solo una frase sussurrata da lei: «Hai visto come si dorme bene, adesso?».
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