2023-03-26
La strage è inutile se non serve alla sinistra
Le croci sul luogo del naufragio a Steccato di Cutro (Ansa)
Nel caso di Cutro, il grosso del sistema mediatico si è servito di quei corpi per attaccare l’esecutivo. I morti al largo della Tunisia, dove non c’è un premier «nemico» da colpire, vengono derubricati a mera statistica. Un doppio standard ormai insopportabile.C’è naufragio e naufragio, c’è naufrago e naufrago, c’è disperso e disperso, c’è morto e morto. In che senso? Forse dal punto di vista umano e morale? Certamente no: chiunque abbia il cuore al posto giusto non può che soffrire per ogni singola vita messa in pericolo o - peggio - spezzata, nel corso delle traversate marittime organizzate dai trafficanti di persone.E allora dove sta il discrimine, la differenza, la «separazione delle carriere» (uso appositamente un’espressione orrenda se applicata a due vite umane)? Sta nella sua «notiziabilità», o - per essere più precisi - nella sua strumentalizzabilità ai fini di una battaglia politica o mediatica. Se un corpo morto «serve» (di nuovo, un’espressione oscena che utilizzo deliberatamente), allora lo si esibisce pornograficamente, lo si fa rimbalzare sui giornali e in tv, lo si mostra con crudeltà necrofila. E in ultima analisi lo si scaglia, lo si scaraventa, nemmeno troppo metaforicamente, come se fosse un corpo contundente che deve colpire l’avversario, anzi il nemico politico. Se invece un corpo morto in tutto e per tutto simile al primo «non serve», se non è «utile», allora sarà «silenziato», nascosto in una «breve», ammassato in una grigia statistica. Al massimo farà numero, ma non farà notizia. E soprattutto non susciterà emozione: perché, nella nostra civiltà ipermediatizzata, solo ciò che vediamo muove i nostri sentimenti. Ciò che invece viene relegato in cronaca fredda (senza immagini, senza colori forti, senza toni accesi) può essere magari registrato come nozione dal nostro cervello, ma non sarà vissuto né avvertito come autentico colpo alla nostra coscienza distratta. Perché questa sconsolata descrizione di due distinti binari mediatici e politici? Perché per settimane - a reti e testate pressoché unificate - abbiamo discusso solo del naufragio di Cutro, e non ci è stato risparmiato nulla: le bare allineate, la disperazione dei familiari, le braccia dei parenti e dei superstiti letteralmente aggrappate per l’ultima volta al feretro dei loro poveri congiunti, il trasporto delle casse da morto, i peluche, o dettagli più impressionanti. E invece - l’ultima notizia è di queste ore - quando un naufragio avviene al largo della Tunisia, tutto è improvvisamente ovattato, nascosto, reso in lontananza, attenuato, sfocato. Dai, non siamo mica così ingenui da credere solo a ragioni meramente «logistiche»: nel primo caso, abbondanza di nostre telecamere, nel secondo caso no. Inutile girarci intorno: sì, ci saranno pure fattori «oggettivi» dal punto di vista della copertura giornalistica, ma il cuore della questione è un altro. Nel caso di Cutro, il grosso del sistema mediatico italiano poteva ragionevolmente pensare di «sparare» quei corpi contro Giorgia Meloni e il suo governo, cioè contro un esecutivo ostile. E allora ogni dettaglio ad alta intensità emotiva era perfettamente funzionale a una narrazione: da una parte il dolore dei poveri naufraghi, dall’altra le gelide figure del potere; da una parte la sofferenza dei deboli, dall’altra il cinismo dei potenti. E via costruendo il solito bipolarismo tra i «buoni» (la sinistra e i suoi media, invariabilmente dotati di cuore e sentimenti «giusti») e i «cattivi» (la destra programmaticamente «spietata»). Se invece uno o più episodi pressoché analoghi, semplicemente per la loro diversa dislocazione geografica (le coste tunisine) non sono addebitabili al governo ostile, allora cambia tutto: improvvisamente il racconto si rattrappisce, le immagini diventano essenziali o addirittura inesistenti, il registro si fa cronachistico e non più emozionale. Chiaro, no? Non c’è un premier «nemico» da colpire, e dunque cambia tutto. Purtroppo, è uno schema non nuovo per gran parte dei nostri media, per quelli più politicizzati e più tenacemente (e ormai quasi inconsapevolmente) ideologizzati a sinistra. Le vittime delle dittature ci fanno pena? Solo se - in un modo o nell’altro - si può colpevolizzare l’Occidente: altrimenti, quelle povere donne e uomini si tengano pure i loro tiranni, i loro aguzzini. I palestinesi ci interessano? No, se sono vittime dei gruppi terroristici che spadroneggiano da quelle parti. Sì, se invece un corpo palestinese è colpito da una pallottola israeliana. È questo doppio standard a essere ormai insopportabile. Non si facciano illusioni - però - i tenutari di questa «informazione»: è sempre più grande il numero di italiani che, in un modo o nell’altro, percepisce e coglie questa disonestà intellettuale. Non ci si sorprenda se le copie vendute in edicola calano, e se - più in generale - è finita la «sacralità» di ciò che sta scritto sui giornali o viene detto in tv. Quanto maggiore è la faziosità di chi parla e scrive, tanto più potenti diventano gli anticorpi di chi legge e guarda.