2021-08-27
Strage annunciata all’aeroporto. Attacco suicida con quasi 100 morti
Uccisi anche 12 militari americani ma il numero è destinato a salire. I feriti sarebbero almeno 150. Il primo indiziato è il gruppo Isis Khorasan, con legami in Pakistan. L'attentato era stato previsto dai servizi segreti.I missionari cattolici erano rimasti anche sotto i bombardamenti del 2001. Ora hanno dovuto lasciare.Lo speciale contiene due articoli.Ci sarebbero anche 12 militari americani, fra cui quattro marines e un medico della Marina, tra le vittime dell'attentato terroristico contro l'aeroporto di Kabul. Mentre La Verità andava in stampa ieri sera, le cifre che circolavano sui media statunitensi erano di almeno 60 morti fra gli afghani e 150 feriti, che sarebbero stati trasferiti negli ospedali della capitale dell'Afghanistan, il 60% dei quali in condizioni gravi. Ma il numero è destinato a crescere. Nessun italiano sarebbe stato coinvolto, hanno riferito fonti dalla Difesa.L'attentato è avvenuto in una zona molto affollata dell'aeroporto, dove dal 15 agosto migliaia di afgani si sono riversati nella speranza di essere imbarcati su voli occidentali per fuggire all'Emirato islamico dell'Afghanistan. Due le esplosioni a distanza di pochi minuti. Una davanti al Baron hotel. Un'altra nei pressi di uno dei cancelli dello scalo, l'Abbey gate, non lontano dal luogo della prima detonazione. Nella notte si sono diffuse voci di una terza esplosione. I sospetti virano tutti sullo Stato islamico del Khorasan.La Germania ha ieri annunciato la conclusione delle evacuazioni. Cercheranno di continuare le procedure, invece, Francia (che per ragioni di sicurezza ieri ha ritirato l'ambasciatore) e Regno Unito. Ieri sera, in consiglio dei ministri, il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio ha spiegato che «nelle prossime ore si concluderanno le operazioni di evacuazione» invitando a «elaborare la fase 2 con una prospettiva di breve e medio periodo che dovrà avere natura ordinata, strutturata e strategica».La tragedia si poteva evitare? Forse. Molti erano stati gli avvertimenti delle intelligence occidentali. Soltanto ieri mattina, James Heappey, sottosegretario alle Forze armate britannico, rispondeva con un semplice ma netto «sì» alla domanda del conduttore di Sky news che gli chiedeva se ci fosse il rischio di un attacco contro l'aeroporto di Kabul da lì alle ore successive.Le uniche speranze per evitarlo, però, erano riposte nei talebani. E lo sono ancora, almeno fino alla scadenza del 31 agosto per il ritiro delle truppe occidentali dall'Afghanistan. Sono gli «studenti coranici», infatti, a controllare il perimetro dell'aeroporto.È in questo scenario che possono essere inquadrate le parole pronunciate ieri pomeriggio all'emittente Cnn da H. R. McMaster, generale statunitense già consigliere per la sicurezza nazionale dell'ex presidente Donald Trump: «Non sarei sorpreso se» lo Stato islamico nel Khorasan «fosse stato utilizzato come cutout dai talebani in modo che possano umiliarci mentre ci ritiriamo». Cutout si prega a due traduzioni ed entrambe potrebbero essere coerenti in questo caso: intermediario e paravento.D'altronde, lo Stato islamico nel Khorasan è nato da una costola dei Tehrik-i-Taliban Pakistan, noti anche come talebani pachistani, molti dei quali appartengono alla tribù pashtun orakzai in Pakistan. Secondo le intelligence statunitense e afghana, i militanti dall'Asia centrale in Afghanistan, che in precedenza erano legati ad Al Qaeda e ai talebani, si sono uniti alla causa dello Stato islamico nel 2014. Chi perché deluso dal Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi, chi per ragioni meramente economiche, si sono stabiliti nell'Est del Paese facendo proseliti anche tra gli afghani. Oggi si presentano come i nemici giurati dei talebani. Come la loro generazione precedente, quella che fondò l'Emirato islamico dell'Afghanistan nel 1996 e lo governò fino all'intervento militare occidentale del 2001, definiscono «non islamici» la coltivazione e il traffico di oppio. Considerano la versione di islam dei talebani afghani troppo morbida e, a differenza di questi ultimi la cui attenzione rimane sull'Afghanistan, i militanti dello Stato islamico nel Khorasan hanno ripetutamente espresso la volontà di attaccare le Nazioni unite e le potenze occidentali.Ma c'è un dettaglio che quantomeno aggrava le responsabilità dei talebani per l'attentato di ieri. La forza dello Stato islamico nel Khorasan è concentrata nelle province che confinano con il Pakistan ma le principali minacce di possibili attacchi non hanno riguardato quelle zone bensì (com'è accaduto ieri) la capitale Kabul, già presa di mira in passato con attentati suicidi. Intanto, proseguono le sconfessioni da parte dei talebani alle iniziali promesse di apertura e moderazioni. Tre fatti di ieri. Il primo: gli «studenti coranici» hanno deciso di togliere armi e mezzi alla scorta Hamid Karzai, ex presidente coinvolto nelle trattative di governo, e ad Abdullah Abdullah, capo dell'Alto consiglio per la riconciliazione nazionale. In questo modo, i due sono di fatto agli arresti domiciliari, come ha ricostruito la Cnn. E pensare che proprio i talebani, sempre alla Cnn, avevano detto che era loro obiettivo trovare un'intesa per un governo inclusivo e a questo fine avevano iniziato a dialogare con Karzai e Abdullah. Il secondo: Ziar Yaad, giornalista dell'emittente afghana Tolo News, e Bayes Majidi, il suo cameraman, sono stati picchiati dai talebani a Kabul mentre stavano girando un reportage su disoccupati e lavoratori in una piazza della capitale. «Abbiamo mostrato il tesserino da giornalisti, ma ci hanno schiaffeggiati e colpiti con le loro armi», ha raccontato Yaad. Il terzo: Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani, ha dichiarato al New York Times che la musica, «proibita nell'islam», tornerà a essere vietata. Proprio come accadeva sotto il governo talebano negli anni Novanta quando musica, televisione e cinema erano severamente vietati e infrangere le regole significava seri guai.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/strage-aeroporto-attacco-100-morti-2654806332.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="addio-alla-speranza-evacuate-le-ultime-suore" data-post-id="2654806332" data-published-at="1630016440" data-use-pagination="False"> Addio alla speranza: evacuate le ultime suore L'Afghanistan come 20 anni fa? No, molto peggio. Vent'anni fa c'era la speranza. C'erano (anche) loro, le Piccole sorelle di Gesù: a Kabul dal '56, erano rimaste nella guerra civile, con i talebani al potere, sotto i bombardamenti americani dopo la strage delle Torri Gemelle. Non ci sono più. Non se ne sono andate a giugno, a luglio alle avvisaglie di questo 8 settembre globale. Se ne sono andate nel febbraio del 2017: ma i talebani non hanno torto loro un capello. Suor Marianne, svizzera, la pioniera fin dagli Anni Cinquanta, suor Chantal, nobildonna francese, e Catarina, giapponese, ormai stanche e anziane non avevano nessuno che le sostituisse. Crisi delle vocazioni, la spiegazione. Ed è qualcosa che ci riguarda da vicino, laici o credenti, molto più di quanto sembri. Al loro posto erano arrivate le suore di Madre Teresa, ad assistere gli ultimi degli ultimi, i bambini disabili. Erano. Mercoledì sono rientrate a Fiumicino, con uno dei voli di evacuazione garantiti dalle nostre forze militari, insieme ai «loro» bambini e alle famiglie, e insieme a padre Scalise, dei Barnabiti, cappellano dell'ambasciata italiana. Con la sua partenza si interrompe anche la presenza di questo ordine, la presenza cristiana e cattolica, in Afghanistan che durava da 90 anni, dagli Anni Venti. «Sì, sì non ci sono vocazioni» si limita a confermare al telefono madre Bernardette, dalla casa generalizia delle Tre Fontane a Roma, a fare da filtro come sempre all'invadenza dei media. La regola numero uno è sempre quella: non attirare l'attenzione su di sé. «Non era più possibile mantenere la nostra presenza. Qui da Roma con loro non abbiamo più contatti». Padre Giuseppe Moretti, 83 anni, le ha conosciute da vicino queste piccole grandi donne. «La prima volta le ho incontrate nel 1977 appena arrivato a Kabul» racconta. Padre Moretti è stato cappellano dell'ambasciata italiana fino al 2015 (nel '94 rimase ferito da una scheggia di razzo): «Era imprescindibile il rapporto con loro per chiunque dovesse operare laggiù». Le Piccole sorelle osservano le regole semplici di spiritualità, lavori materiali e assistenza agli ultimi, secondo il pensiero e l'opera di Charles De Foucaud, il missionario del Sahara trucidato nel 1916. A Kabul parlavano il farsi, vestivano e vivevano come le afghane. «Erano specializzate, lavoravano negli ospedali. Vivevano nelle case popolari» ricorda padre Moretti, «lì ricevevano le donne afghane, le loro confidenze, davano loro consigli. Erano un punto di riferimento per la gente e per le donne soprattutto». Ovviamente senza mai tradirle. Personalmente ho avuto la fortuna di avere un primo contatto, sempre mediato dalla casa generalizia di Roma, nell'ottobre del 2001. Durante l'alluvione di bombe che gli Usa fecero piovere alla caccia di Al Qaeda e Bin Laden rifugiati nelle grotte afghane. Le Piccole sorelle erano lì sotto le bombe. La solo presenza occidentale, la certezza, oltre le armi, della vita e della speranza. Poi nell'agosto del 2008 a Kabul, «embedded» con i militari, ho avuto modo di avvicinarmi a loro. Padre Moretti mi pose una sola condizione per visitare quel miracolo, la sua Scuola di pace, realizzata dopo l'appello di Giovanni Paolo II «salviamo i bambini afghani»: «Ma l'avrei fatta anche senza quell'appello» spiega, «sono un barnabita, credo nell'educazione come base della democrazia». Dovevo andarci solo, niente gente in divisa. Così mi ritrovai a passare dai Lince e dalla scorta attentissima dei nostri soldati al pulmino sgangherato del padre che correva per Kabul. La scuola era all'estrema periferia, in piena zona di etnia pashtun, cioè il mare in cui nuotano i talebani. Era per i bambini con handicap gravi, anche cerebrali, e divisa in due. Dei piccoli abbandonati per strada si occupavano le suore di Madre Teresa, degli altri con famiglia la missione Pro bambini di Kabul con suore di varie congregazioni. «Nella società afghana i disabili sono un peso, abbandonati o comunque lasciati a sé», mi spiegavano. «Le famiglie, per quelli che hanno una famiglia, all'inizio ci guardavano con diffidenza, poi hanno capito, portano i bambini la mattina e li vengono a prendere alla sera, partecipano». Le Piccole sorelle non erano direttamente presenti alla Scuola di pace, ma anche questa esperienza era stata resa possibile dalla loro opera. Durante gli anni del terrore dal '96 al 2001 i talebani lasciavano che andassero a pregare nella cappella dell'ambasciata italiana che per il resto era chiusa. Come è stato possibile, quale è il segreto? «La credibilità», risponde padre Moretti, «Tutti sapevano che erano cristiane, il cristianesimo parla di amore, e loro vivevano il messaggio cristiano, senza fare proselitismo. La loro umanità radicata in una fede profonda le rendeva rispettabili». Da ieri siamo tutti più deboli e indifesi insieme agli afghani. Dovremmo chiederci quale futuro (anche) dell'Occidente garantisca l'ideologia dei diritti che da tempo ha soppiantato l'etica del dovere, il realizzare sé stessi al servizio degli altri.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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