2024-11-18
Stefania Craxi: «Chi accusa Musk di ingerenza non disse nulla su Mani Pulite»
Stefania Craxi (Imagoeconomica)
La figlia di Bettino: «Quando il pool di Milano bazzicava il consolato americano, tutti zitti. Dalla sinistra due pesi e due misure. Oggi come ieri, i giudici esondano: serve una legge».«La sinistra se la prende con Elon Musk, e grida all’ingerenza americana? Io difendo la sovranità del mio Paese sempre, anche ora che Musk accusa certa magistratura politicizzata. Ma mi chiedo dove fossero queste anime belle quando il pool di Milano, ai tempi di Tangentopoli, entrava e usciva dal consolato Usa o quando i governanti di mezza Europa lavoravano, come racconta Zapatero, per rovesciare Berlusconi». Stefania Craxi, presidente della Commissione esteri e difesa del Senato, non è una persona che dimentica facilmente. Anche quando affronta le cronache della politica di oggi - da Donald Trump alle toghe in battaglia sui migranti - ai suoi occhi si ripresentano certi spettri d’altri tempi. Gli spettri di un Paese che non ha ancora pienamente fatto i conti col passato e con le sue contraddizioni. La copertina del suo ultimo libro, All’ombra della storia (Piemme), la ritrae mentre passeggia al fianco di suo padre. Un lavoro editoriale nel quale politica e vita famigliare procedono intrecciate. «Non ho mai voluto scrivere questo libro. Temevo che gli avversari mi avrebbero confinato nell’angolo dell’“orfana”, evitando così di fare i conti con la storia di Craxi. Ma la mia è stata ed è una battaglia politica».Che genere di padre è stato Craxi?«Un padre grandissimo, con tratti duri e difficili, che però celavano un cuore di tenerezza. Magari non mi aiutava a fare i compiti, non si occupava delle mie prime cotte a scuola o delle prime delusioni. Privilegiava l’esempio. In una famiglia, la nostra, dove la politica si poteva quasi respirare. Era una signora che sedeva in tavola con noi ogni giorno. Si può dire che la prima campagna elettorale l’ho affrontata a 8 anni». Craxi è stato esecrato. Poi discusso. Oggi quasi rimpianto?«La mia vita è sempre stata segnata da una battaglia di verità, per rompere un muro di pregiudizio. E devo dire che l’aria, dopo tanti anni, è cambiata. La polvere si è posata, ed emerge con chiarezza la figura di un uomo che ha lavorato tutta la vita per il suo Paese che, per inciso, chiamava Patria. La maggior parte degli italiani oggi è disposta a restituire a Craxi il posto che merita nella storia positiva dell’Italia. Sebbene certa Italia ufficiale, soprattutto a sinistra, fatichi ancora a pronunciarne il nome». Nel suo libro racconta di aver visto suo padre morire tra le sue braccia, spiegando che il senso d’ingiustizia è stato ancora più doloroso della perdita in sé. È per questo che ha rifiutato i funerali di Stato, proposti dall’allora governo D’Alema? «Mi chiamò da Palazzo Chigi il sottosegretario alla presidenza, Marco Minniti, offrendo a nome del governo i funerali di Stato. Io rifiutai, perché se Craxi aveva diritto alle esequie pubbliche aveva anche diritto a essere curato da uomo libero nel suo Paese, cosa che gli fu impedita. È stata una grande ipocrisia, ed è una macchia di infamia che pesa ancora sulla storia repubblicana».Quella degli anni Ottanta e Novanta era una politica molto diversa. Uno spessore differente della classe dirigente?«È l’altro obiettivo del mio libro: restituire al pubblico quel pezzo di vita repubblicana di cui sono stata testimone, che trovava fondamento sulla comunità dei partiti della Prima Repubblica. È un’ode al primato della politica». Primato oggi messo a repentaglio da altri poteri? Dopo tanti anni, e numerosi governi diversi, i rapporti tra politica e magistratura non hanno ancora trovato un equilibrio. «In generale, il nodo fondamentale sta nel rapporto tra finanza e politica. L’ideologia globalista ha reso la finanza più potente della politica. La politica, si diceva anni fa, non serve più: “basta il mercato”. L’altro tema cruciale è certamente lo sconfinamento di parte della magistratura in terreni che non le appartengono. Un fenomeno iniziato negli anni Novanta. Urge una legge seria che ristabilisca l’equilibrio dei poteri dello Stato, perché il conflitto fa male a tutti. Soprattutto fa male alla giustizia, che deve tornare a essere un servizio a tutela delle ragioni del cittadino». I magistrati ricorrono contro il decreto Paesi sicuri. Anche questo è un attentato alle prerogative della politica? «Più semplicemente, si appellano alla normativa europea. E forse il governo avrebbe dovuto stilare i provvedimenti tenendo presente ogni sfaccettatura, e magari prevedendo l’intervento a gamba tesa della magistratura. Detto questo, una magistratura che ha a cuore i destini del Paese dovrebbe muoversi con più prudenza. Il progetto in Albania è un esperimento visto con molto interesse da tanti Paesi europei, un modo per governare un fenomeno epocale, che nessuno ha visto arrivare. Al di là delle questioni burocratiche, c’è ancora una parte di magistratura che continua a usare la giustizia per fini politici». Persino Musk, il magnate di Tesla oggi membro del nuovo governo Trump, ha criticato la magistratura italiana. Poteva risparmiarselo?«Sta per assumere un incarico importante nella nuova amministrazione, e il presidente Mattarella ha ragione: Musk non può intervenire con certi toni sulla magistratura di una democrazia alleata». Tuttavia?«Tuttavia, mi chiedo come mai le anime belle che gridano allo scandalo per la “ingerenza” di Musk, non proferirono parola quando alcuni soggetti del pool di Milano entravano e uscivano dal consolato americano». Entravano e uscivano per quale motivo? Le toghe di Tangentopoli hanno sempre negato “regie” oltreoceano. Pillitteri diceva che, secondo Craxi, gli Usa non avevano mai digerito Sigonella. Qualcuno tirava i fili delle procure?«Io non credo che la vicenda Sigonella abbia fatto da detonatore, e questo non lo credeva nemmeno mio padre. Reagan comprese le ragioni italiane, e si rese conto dell’errore che gli americani avrebbero commesso seguendo una strada diversa, che avrebbe impattato negativamente sulla stessa credibilità occidentale di fronte ai leader arabi moderati. Dopodiché, in questi anni i documenti americani declassificati hanno testimoniato con certezza che le toghe di Milano avevano un canale privilegiato soprattutto con il console Peter Semler. Toccherebbe domandare a loro i motivi di così tanta assidua frequenza».Tornando a Musk, vari intellettuali del mondo della cultura e dello spettacolo stanno fuggendo dai suoi social, per protesta. «Continuo a chiedermi: dov’erano quando un altro miliardario, George Soros, nel 1992 sferrava un colossale attacco speculativo contro la lira italiana? Dov’erano, quando i governi di Francia e Germania imbastivano un tentativo golpista contro Berlusconi? Siamo alle solite: due pesi e due misure. Oggi come ieri». Donald Trump è un pericolo per la democrazia occidentale, e l’Europa è destinata a essere abbandonata a sé stessa?«Quando vincono gli altri, per la sinistra italiana c’è sempre aria di pericolo democratico. Trump ha ottenuto un ampio consenso dal popolo americano. È vero, è un personaggio a tratti imprevedibile, ma il contatto con la realtà farà premio sulle dichiarazioni da campagna elettorale. In un momento così impegnativo sul piano geopolitico, non credo che la nuova amministrazione potrà davvero allentare i rapporti con l’Europa, cioè con l’altra gamba del mondo libero. Certo, sarà certamente un governo “sfidante”, e sta a noi europei raccogliere la sfida». Dunque non ci saranno svolte a 360 gradi, come paventano un po’ tutti in queste ore? «Quello che le vedove di Kamala Harris faticano a capire è che la democrazia americana, nelle sue linee guida, è più forte di una singola presidenza. Una volta John Fitzgerald Kennedy, non esattamente un presidente di destra, disse che gli Usa non dovrebbero farsi carico in toto della Nato, se l’Europa non partecipa attivamente alle spese relative. È un tema che si ripresenta ciclicamente, e che ho sentito riproporre da democratici e repubblicani in una mia recente missione a Washington. Se l’Europa non è ancora un soggetto politico, se non ha ancora una politica estera e di difesa comune, la colpa non è certo degli americani». Si aspettava una così cocente sconfitta dei democratici americani? «Il popolo americano ha rigettato quel progressismo che ha figliato la cultura woke. Hanno rigettato le ingerenze dello star system hollywoodiano. Ha votato l’America reale, la working class, gli immigrati integrati che temono gli irregolari. A sventolare ancora la bandiera del politicamente corretto, tutto sommato, è rimasta solo Elly Schlein».
Federica Mogherini e Stefano Sannino (Ansa)
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