2022-03-01
Spunta la carta degli oligarchi ebrei. Anche Abramovich va a negoziare
I magnati sono fedeli al Cremlino. Eppure, gli Alleati sperano di usarli contro lo zar.Immettendo Roman Abramovich nella delegazione Ucraina, designata per le trattative in Bielorussia con i rappresentanti di Vladimir Putin, i servizi segreti inglesi, che sarebbero gli artefici dell’operazione, potrebbero aver deciso di mandare un chiaro segnale di benevolenza dell’Occidente nei confronti degli oligarchi russi, sottoposti a forti pressioni dalle sanzioni decise la settimana scorsa dal mondo Nordatlantico. Il padrone del Chelsea, che proprio a causa di tali misure ha dovuto intestare la proprietà formale del club a una fondazione, si è trovato catapultato al tavolo negoziale non quale fine conoscitore della mentalità russa, dato che in questo gli ucraini non necessitano certo di aiuto, ma quale garante di una possibile soluzione politica per le élite benestanti, in maggioranza, come Abramovich di religione ebrea, e che a Mosca si foraggiano grazie alla presenza al potere di Putin. L’Occidente, nei giorni scorsi, ha visto aprirsi una crepa nel muro di relativa omertà che fin dalle sanzioni del 2014, lanciate dall’Ue e da Washington in seguito all’annessione della Crimea, caratterizzava i miliardari russi e ha pensato di approfittarne. Mikhail Friedman, fondatore di Alfa, la maggiore banca privata del Paese, i cui genitori vivono in Ucraina, è stato il primo, domenica scorsa, a parlare di una tragedia inutile, a proposito dell’azione militare lanciata da Putin. Lo ha seguito a ruota l’industriale del settore minerario Oleg Deripaska, pretendendo immediati negoziati, con un post sul canale social Telegram. Tuttavia, nonostante queste prime manifestazioni di contrarietà, il cordone sanitario dei magnati rimane abbastanza solido intorno al capo del Cremlino.Nel 2000, non appena eletto, Putin ha chiarito che i miliardari sarebbero potuti restare tale se si fossero estromessi volontariamente dalla politica. Chi non ha accettato il diktat è stato incarcerato, si è suicidato oppure, nel migliore dei casi, è stato invitato a emigrare. Putin ha ribaltato lo schema. Non doveva più essere lui, come furono i suoi predecessori, a dipendere dai facoltosi concittadini, ma loro da lui. Friedman e Deripaska appartengono alla categoria di coloro che hanno accettato le nuove regole del gioco e certamente non sono tra le persone più amate dalla popolazione russa, sia per la loro esagerata ricchezza, sia per la loro distanza dalla religione della maggioranza. Friedman, tra i king maker di Boris Eltsin, sentendo montare la narrativa antisemita per l’eccessivo accumulo di ricchezze, si affrettò, negli anni Novanta, a fondare il Congresso ebreo russo, in modo da attutire l’immagine negativa sua e dei suoi colleghi oligarchi. Successivamente accettò anche la cittadinanza israeliana, mentre Deripaska ha preso quella cipriota nel 2017.In Russia esistono tre tipi differenti di oligarchi. La prima categoria è rappresentata dagli amici personali di Putin, legati a quest’ultimo dalla società Ozero Dacha; la seconda categoria è quella dei cosiddetti silovarki, un misto di siloviki (dirigenti statali) e oligarchi, mentre alla terza appartengono tutti gli altri super ricchi.Gli amici personali, gli unici ad avere accesso personale a Putin, sono i meno ricettivi alle sirene delle sanzioni, in quanto completamente dipendenti dall’esistenza del capo. I siloviki, dirigenti dei servizi segreti e delle altre strutture statali, potrebbero in parte comprendere l’opportunità di un colpo di Stato, ma non possono mettere in salvo all’estero, anticipatamente, i loro beni, in quanto verrebbero intercettati e fino ad ora non hanno avuto bisogno di isolare Putin per l’esistenza del tacito accordo, sulla base del quale eventuali perdite di rendita causate dalle sanzioni vengono parzialmente compensate da nuovi benefici interni. Pertanto Bruxelles e Washington, se desiderano innescare l’insoddisfazione delle élite russe, possono verosimilmente contare solo sulla categoria degli indipendenti, sui vecchi oligarchi rinnegati e su quei pochi che hanno deciso apertamente di rimanere in patria opponendosi al regime, come Aleksander Lebdev e Mikhail Prokhorov. Ma, anche se indipendenti, gli oligarchi, non hanno un grande appiglio presso la popolazione, che alla fine dovrebbe legittimare un cambio di regime e garantire la loro continuità di fortune. L’oligarca medio russo, alle incertezze della democrazia, fino ad ora ha dimostrato di preferire le zone grigie garantire dal regime autoritario. Lebdev, ex agente Kgb, banchiere e comproprietario di giornali russi e inglesi, e Prokhorov, comproprietario di società Usa, sono invece visti come cavalli di Troia di un sistema straniero a cui comunque il russo medio non intende prostrarsi.
Jose Mourinho (Getty Images)