2018-11-30
Spiegata la sviolinata del Bullo al Cav. Vuole mollare il Pd e «sposare» Fi
Incontro riservato a Roma tra Matteo Renzi e il colonnello azzurro Paolo Romani. Obiettivo: gettare le basi di un'alleanza anti sovranista pronta per le europee. E pochi giorni dopo il meeting, l'ex segretario dem fa le scuse a Silvio Berlusconi.C'è un sedicente leader che non ha più un partito: Matteo Renzi. Poi, c'è un sedicente partito che ha un leader silenzioso e in attesa: Forza Italia. Infine, c'è la notizia: Matteo Renzi ha incontrato, nei giorni scorsi, il senatore Paolo Romani, uno degli esponenti più autorevoli di Forza Italia. Basta shakerare i tre ingredienti ed ecco servito il cocktail della prossima estate: i contatti tra ciò che resta di Forza Italia e ciò che resta di Matteo Renzi potrebbero tradursi in una clamorosa novità, la nascita di un nuovo soggetto politico, che metta insieme le forze «antipopuliste e europeiste», o se preferite «i moderati e i riformisti», in parole povere i reduci della Seconda repubblica. Un soggetto politico o anche, solo inizialmente, un'alleanza che avrebbe il suo primo, naturale sbocco, alle prossime europee. Fantapolitica, dite? Avreste mai immaginato che i post Dc e i post Pci si sarebbero ritrovati a far parte di uno stesso partito? Invece è successo, ed è nato il Pd. La notizia dell'incontro tra Renzi e Romani, a Roma, pochi giorni fa, avvalora la tesi di chi (e non sono pochi, tra i renziani e i berlusconiani), battezzano come «inevitabile» la formazione di un nuovo partito, che sia in grado di competere con i due protagonisti della fase attuale della politica italiana, vale a dire Lega e M5s. Un terzo polo che, crescendo al tepore della opposizione, e confidando in una serie di insuccessi di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, dovrebbe intercettare gli elettori che non si riconoscono nei due partiti che oggi dominano lo scenario politico italiano ma che non hanno alternative votabili in grado di vincere le elezioni.Sarà un caso, ma poche ore dopo il summit con Romani, Matteo Renzi ha affidato a una diretta Facebook delle frasi che hanno lasciato il segno: «Io adesso la dico. Lo so che ci rimanete male», ha dichiarato Renzi nel suo ufficio di senatore semplice, «ma adesso la dico, la dico, la dico: dobbiamo chiedere scusa a Silvio Berlusconi, perché rispetto alle norme ad personam di Salvini, Berlusconi era un pischello. Dobbiamo chiedere scusa a Berlusconi che faceva le norme ad personam più incredibili: ha fatto votare la nipote di Mubarak e via dicendo, ma non ha mai fatto quello che ha fatto Salvini in questa settimana e ci metto dentro sigarette elettroniche, voto segreto sul peculato che cambia la sorte dei processi in cui sono implicati deputati della Lega, l'accordo sui 49 milioni e la querela solo per Bossi (in realtà solo per Belsito e l'appropriazione indebita procedibile solo su querela, si dimentica di dire il Rottamatore trombato, è frutto proprio del Pd, ndr). Amici», ha concluso Renzi, «lo dico forte, la sinistra che ora sta zitta su Salvini dovrebbe chiedere scusa per par condicio a Berlusconi».Del resto, non è un segreto per nessuno che Berlusconi abbia sempre visto in Renzi il suo vero erede politico. L'idillio tra i due, rafforzato dal patto del Nazareno, andò in frantumi nel gennaio 2015, nelle ore dell'elezione al Quirinale di Sergio Mattarella. Chi visse quei momenti in diretto contatto con Palazzo Grazioli ricorda l'ira funesta di Silvio, che avrebbe voluto sul Colle il suo caro amico Giuliano Amato. «Renzi ha tradito gli impegni!» tuonava Berlusconi, mentre i suoi fedelissimi diramavano l'ordine di attaccare l'ex Rottamatore. La sua rivincita, Silvio se la prese due anni dopo: dicembre 2016, Forza Italia si schierò compatta per il «no» al referendum costituzionale e Berlusconi si diede da fare in campagna elettorale per far naufragare la riforma, contribuendo al tracollo di Renzi.Sono passati due anni, ma sembra un secolo: l'attuale composizione del quadro politico e il panorama dipinto dai sondaggi rendono nuovamente attuale, per non dire fatale, l'attrazione tra Silvio e Matteo. Renzi e il Pd ormai sono separati in casa: il progetto di Matteo di dare vita a un nuovo soggetto politico è concretissimo, si attende solo l'esito del congresso per sancire il divorzio, e non a caso, negli ultimi tempi, l'ex Rottamatore ha intensificato gli attacchi al quartier generale di quello che fu il suo regno. In caso di una vittoria di Nicola Zingaretti, con conseguente apertura del Pd al M5s, l'addio sarà immediato. Per Renzi e Berlusconi riannodare il dialogo è una scelta obbligata: la situazione attuale spinge i protagonisti politici a tenere almeno due forni accesi, per non rischiare di restare a digiuno. Due sono i forni alimentati da Matteo Salvini, che governa con e il M5s facendo sempre balenare l'ipotesi di incenerire il «contratto» e di tornare alle elezioni a capo del centrodestra, scenario che gli spalancherebbe le porte di Palazzo Chigi e gli consentirebbe di portare avanti le sue politiche senza dover fare i conti ogni santo giorno con le paturnie dei «ragazzi» di Luigi Di Maio. Il M5s non è da meno: governa insieme alla Lega, ma tiene sempre d'occhio l'uscita di sicurezza, ovvero la prospettiva di un'alleanza con il Pd in caso di ritorno alle urne. Per non essere da meno, anche Renzi e Berlusconi hanno (ri)acceso il forno «moderato e riformista», nel quale cuocere a puntino un eventuale nuovo partito, sul modello di «En Marche!» di Emmanuel Macron. Anche di questo hanno discusso Renzi e Romani, che ha poi riferito i contenuti della discussione a Silvio Berlusconi.
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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