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2021-12-01
In Qatar l'antipasto del Mondiale: torna l'Arab Cup dopo 9 anni
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Una foto prima del fischio d'inizio del match tra Egitto e Libano a Doha (Ansa)
Il Mondiale di calcio del 2022 è ormai alle porte. L'attesissimo evento che si svolgerà in Qatar tra poco meno di un anno, dal 21 novembre al 18 dicembre sarà il primo a essere disputato nel periodo autunnale dell'emisfero boreale e il primo a essere ospitato in un Paese arabo. Il percorso di avvicinamento, fin dal momento dell'assegnazione avvenuta esattamente 11 anni fa, il 2 dicembre 2010, è stato turbolento e carico di ombre e dubbi, dalle accuse di corruzione a quelle di violazione dei diritti umani.
Per non farsi trovare impreparato di fronte a un evento così importante e che vedrà gli occhi di tutto il mondo puntati sul Qatar, Doha ha organizzato anche l'Arab Cup, cominciata lunedì 30 novembre con il match inaugurale tra Tunisia e Mauritania, vinto 5-1 dalla nazionale nordafricana. Si tratta dunque dell'antipasto al Mondiale, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto organizzativo, a livello logistico e strutturale. Si gioca in sette stadi, tutti costruiti e completati per il grande appuntamento del 2022 e messi alla prova in questo mese. Si va dalla capitale Doha, con lo stadio Ras Abu Aboud che può contenere 44.950 spettatori e che dovrebbe essere smantellato una volta conclusi i mondiali e lo stadio Al-Thumama che ha una capacità di 40.000 spettatori, alle città di Al Khor, nel Nordest del Qatar, con lo stadio Al-Bayt, impianto da 60.000 posti dover verrà giocata la partita inaugurale della coppa iridata, e Al Wakrah con lo stadio Al-Janoub, stadio da 40.000 spettatori già inaugurato a maggio del 2019 e costruito dall'azienda italiana Maeg Costruzioni. La quarta città ad ospitare partite è Al Rayyan, distretto alle porte di Doha dove sono stati realizzati ben tre impianti: lo stadio dell'Education City di 45.350 posti, lo stadio Internazionale Khalifa di 45.416 posti e lo stadio Ahmed bin Ali di 44.740 posti.
La Fifa Arab Cup è anche un'occasione per la Fifa per sperimentare nuove regole e tecnologia. L'organizzazione che governa il calcio mondiale, infatti, ha dato il via libera alla sperimentazione del fuorigioco semiautomatico attraverso l'utilizzo e l'implementazione di telecamere specifiche che trasmettono dei dati reali alle sale Var affinché si possa migliorare la lettura e la velocità delle chiamate agli arbitri che guardano la partita dal monitor. Questa tecnologia che si basa sull'intelligenza artificiale crea istantaneamente modelli tridimensionali sulla posizione dei giocatori e identifica quale parte del corpo di un giocatore è più avanti rispetto alla linea del fuorigioco. Un esperimento che nei progetti della Fifa dovrebbe essere approvato e confermato in vista dei prossimi mondiali.
Arab Cup che torna a svolgersi a distanza di 9 anni dall'ultima edizione, quella del 2012 ospitata dall'Arabia Saudita e vinta dal Marocco. Da quest'anno il torneo che vede impegnate le nazionali aderenti alla Uafa, Union of Arab Football Associations, l'ente che governa il calcio nei paesi arabi, sia quelli asiatici che quelli africani, è passato sotto l'egida della Fifa. In questa decima edizione partecipano 16 nazionali, 10 arabe e 6 africane. Oltre al Qatar, ci sono Oman, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Siria, Giordania, Libano, Palestina, Iraq e Arabia Saudita. A rappresentare l'Africa, invece, Marocco, Algeria, Sudan, Egitto, Mauritania e Tunisia. La Coppa araba esiste dal 1963, anno in cui venne organizzata la prima edizione ospitata dal Libano e vinta dalla Tunisia. Il torneo non ha una cadenza regolare, tanto che dal 1966 al 1985 ci fu una lunga interruzione durante la quale furono annullate due edizioni, quella del 1982, saltata a causa della guerra del Libano, e quella del 2009, non disputata per la mancanza di sponsor.
Vietati profumi, ombrelli e baci in pubblico
Il segretario generale dell'organizzazione dell'Arab Cup, Hassan Al Thawadi ha espresso il suo orgoglio per il fatto che tutti gli stadi sono già pronti un anno prima della Coppa del mondo del prossimo anno. Anche il presidente della Fifa Gianni Infantino è entusiasta: «. La Coppa Araba rappresenta oggi ciò che rappresenterà la Coppa del Mondo. il prossimo anno. Quindi, avere partite in uno stadio così bello, così simbolico, è qualcosa che dobbiamo amare e che sarà cruciale per il successo di la Coppa del Mondo». Ma allo stesso tempo il Qatar deve fare i conti con il rispetto dei diritti umani, dopo le polemiche per le morti degli operati per la costruzione a tempo di record degli stadi. Ma soprattutto è stato diramato un elenco degli oggetti proibiti per tutta la durata della FIFA Arab Cup Qatar 2021 che sarà replicato anche il prossimo anno. Non si possono portare, bastoncini per selfie, droni, fotocamere professionali, bandiere e striscioni di dimensioni superiori a 2x1,5 metri, bottiglie di profumo, bicchieri, boccali e lattine, puntatori laser, animali domestici e ombrelli.
Gli omosessuali sono i benvenuti, ma sono vietati i baci in pubblico.' Sarebbe questa ll'unica indicazione da rispettare, «per il resto tutti possono vivere la propria vita» . Il direttore esecutivo dei mondiali Nasser al Khater ha risposto così al calciatore australiano che il mese scorso fece coming out aggiungendo che avrebbe "paura ad andare a giocare" il primo Mondiale in un paese arabo, dove l'omosessualità è potenzialmente punibile con la morte
Nei giorni scorsi, l'associazione britannica Kick It Out aveva accusato BeIn Sport, l'emittente tv qatariota, di alimentare l'omofobia per aver invitato i calciatori musulmani della Premier League a boicottare l'iniziativa dei lacci arcobaleno in quanto l'omosessualità è "incompatibile" con l'Islam.
Al Khater, intervistato dalla Cnn e dall'Indipendent, ha parlato della situazione dei diritti in vista del prossimo Mondiale, aggiungendo che «gli omosessuali possono venire in Qatar come qualsiasi altro tifoso - e possono comportarsi come qualsiasi altra persona. Quel che dico, semplicemente, è che dal punto di vista della percezione dell'affettività in pubblico, la nostra è una società conservatrice».
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L'ultima edizione della competizione che vede impegnate le nazionali aderenti alla Uafa, Union of Arab Football Associations, l'ente che governa il calcio nei paesi arabi, fu disputata nel 2012 in Arabia Saudita e vinse il Marocco. Per Doha si tratta delle prove generali in vista dell'appuntamento planetario del prossimo anno.Non mancano stranezze e divieti: negli scorsi giorni è stata diramata una lista di oggetti che non si possono portare negli stadi, tra cui droni, bastoni per selfie, bandiere e profumi.Lo speciale contiene due articoli.Il Mondiale di calcio del 2022 è ormai alle porte. L'attesissimo evento che si svolgerà in Qatar tra poco meno di un anno, dal 21 novembre al 18 dicembre sarà il primo a essere disputato nel periodo autunnale dell'emisfero boreale e il primo a essere ospitato in un Paese arabo. Il percorso di avvicinamento, fin dal momento dell'assegnazione avvenuta esattamente 11 anni fa, il 2 dicembre 2010, è stato turbolento e carico di ombre e dubbi, dalle accuse di corruzione a quelle di violazione dei diritti umani.Per non farsi trovare impreparato di fronte a un evento così importante e che vedrà gli occhi di tutto il mondo puntati sul Qatar, Doha ha organizzato anche l'Arab Cup, cominciata lunedì 30 novembre con il match inaugurale tra Tunisia e Mauritania, vinto 5-1 dalla nazionale nordafricana. Si tratta dunque dell'antipasto al Mondiale, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto organizzativo, a livello logistico e strutturale. Si gioca in sette stadi, tutti costruiti e completati per il grande appuntamento del 2022 e messi alla prova in questo mese. Si va dalla capitale Doha, con lo stadio Ras Abu Aboud che può contenere 44.950 spettatori e che dovrebbe essere smantellato una volta conclusi i mondiali e lo stadio Al-Thumama che ha una capacità di 40.000 spettatori, alle città di Al Khor, nel Nordest del Qatar, con lo stadio Al-Bayt, impianto da 60.000 posti dover verrà giocata la partita inaugurale della coppa iridata, e Al Wakrah con lo stadio Al-Janoub, stadio da 40.000 spettatori già inaugurato a maggio del 2019 e costruito dall'azienda italiana Maeg Costruzioni. La quarta città ad ospitare partite è Al Rayyan, distretto alle porte di Doha dove sono stati realizzati ben tre impianti: lo stadio dell'Education City di 45.350 posti, lo stadio Internazionale Khalifa di 45.416 posti e lo stadio Ahmed bin Ali di 44.740 posti.La Fifa Arab Cup è anche un'occasione per la Fifa per sperimentare nuove regole e tecnologia. L'organizzazione che governa il calcio mondiale, infatti, ha dato il via libera alla sperimentazione del fuorigioco semiautomatico attraverso l'utilizzo e l'implementazione di telecamere specifiche che trasmettono dei dati reali alle sale Var affinché si possa migliorare la lettura e la velocità delle chiamate agli arbitri che guardano la partita dal monitor. Questa tecnologia che si basa sull'intelligenza artificiale crea istantaneamente modelli tridimensionali sulla posizione dei giocatori e identifica quale parte del corpo di un giocatore è più avanti rispetto alla linea del fuorigioco. Un esperimento che nei progetti della Fifa dovrebbe essere approvato e confermato in vista dei prossimi mondiali.Arab Cup che torna a svolgersi a distanza di 9 anni dall'ultima edizione, quella del 2012 ospitata dall'Arabia Saudita e vinta dal Marocco. Da quest'anno il torneo che vede impegnate le nazionali aderenti alla Uafa, Union of Arab Football Associations, l'ente che governa il calcio nei paesi arabi, sia quelli asiatici che quelli africani, è passato sotto l'egida della Fifa. In questa decima edizione partecipano 16 nazionali, 10 arabe e 6 africane. Oltre al Qatar, ci sono Oman, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Siria, Giordania, Libano, Palestina, Iraq e Arabia Saudita. A rappresentare l'Africa, invece, Marocco, Algeria, Sudan, Egitto, Mauritania e Tunisia. La Coppa araba esiste dal 1963, anno in cui venne organizzata la prima edizione ospitata dal Libano e vinta dalla Tunisia. Il torneo non ha una cadenza regolare, tanto che dal 1966 al 1985 ci fu una lunga interruzione durante la quale furono annullate due edizioni, quella del 1982, saltata a causa della guerra del Libano, e quella del 2009, non disputata per la mancanza di sponsor.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/speciale-calcio-2655899233.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="vietati-profumi-ombrelli-e-baci-in-pubblico" data-post-id="2655899233" data-published-at="1638372957" data-use-pagination="False"> Vietati profumi, ombrelli e baci in pubblico Il segretario generale dell'organizzazione dell'Arab Cup, Hassan Al Thawadi ha espresso il suo orgoglio per il fatto che tutti gli stadi sono già pronti un anno prima della Coppa del mondo del prossimo anno. Anche il presidente della Fifa Gianni Infantino è entusiasta: «. La Coppa Araba rappresenta oggi ciò che rappresenterà la Coppa del Mondo. il prossimo anno. Quindi, avere partite in uno stadio così bello, così simbolico, è qualcosa che dobbiamo amare e che sarà cruciale per il successo di la Coppa del Mondo». Ma allo stesso tempo il Qatar deve fare i conti con il rispetto dei diritti umani, dopo le polemiche per le morti degli operati per la costruzione a tempo di record degli stadi. Ma soprattutto è stato diramato un elenco degli oggetti proibiti per tutta la durata della FIFA Arab Cup Qatar 2021 che sarà replicato anche il prossimo anno. Non si possono portare, bastoncini per selfie, droni, fotocamere professionali, bandiere e striscioni di dimensioni superiori a 2x1,5 metri, bottiglie di profumo, bicchieri, boccali e lattine, puntatori laser, animali domestici e ombrelli. Gli omosessuali sono i benvenuti, ma sono vietati i baci in pubblico.' Sarebbe questa ll'unica indicazione da rispettare, «per il resto tutti possono vivere la propria vita» . Il direttore esecutivo dei mondiali Nasser al Khater ha risposto così al calciatore australiano che il mese scorso fece coming out aggiungendo che avrebbe "paura ad andare a giocare" il primo Mondiale in un paese arabo, dove l'omosessualità è potenzialmente punibile con la morteNei giorni scorsi, l'associazione britannica Kick It Out aveva accusato BeIn Sport, l'emittente tv qatariota, di alimentare l'omofobia per aver invitato i calciatori musulmani della Premier League a boicottare l'iniziativa dei lacci arcobaleno in quanto l'omosessualità è "incompatibile" con l'Islam.Al Khater, intervistato dalla Cnn e dall'Indipendent, ha parlato della situazione dei diritti in vista del prossimo Mondiale, aggiungendo che «gli omosessuali possono venire in Qatar come qualsiasi altro tifoso - e possono comportarsi come qualsiasi altra persona. Quel che dico, semplicemente, è che dal punto di vista della percezione dell'affettività in pubblico, la nostra è una società conservatrice».
iStock
Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
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Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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