
L'istituto prova a gettare acqua sul fuoco. Resta da chiarire perché il Lazio faccia accordi con Mosca saltando il governo.L'accordo tra Spallanzani e istituto Gamaleya va avanti. Abbiamo raccontato ieri il perimetro degli scambi scientifici e soprattutto d'informazioni che riguardano dati genetici e ben 120 ceppi virali. Ieri l'istituto laziale ha risposto con un lungo comunicato stampa. La collaborazione scientifica tra i due istituti «proseguirà nel rispetto di ruoli e procedure che sono ben codificate», si legge nella nota. Lo Spallanzani ci tiene pure a precisare che non intende «derogare alle stringenti direttive comunitarie in tema di scambio di informazioni e di dati nel rispetto di quanto previsto dal Garante per la privacy e solo per dati specifici definiti attraverso appositi protocolli». Inoltre lo stesso ospedale ha spiegato che lo scambio di informazioni scientifiche tra i due istituti avverrà con le «preventive approvazioni dei comitati etici e delle Agenzie regolatorie ove richiesto». Al momento il Garante non risulta essere stato coinvolto preventivamente. Trasferire dati sensibili al di fuori della Ue richiede espressamente un intervento e un parere dell'Authority. L'annuncio dell'accordo sostenuto dalla Regione Lazio e spinto dall'ex segretario del Pd potrebbe rischiare forti limitazioni e numerosi puntelli. Anche se l'istituto conferma la propria scelta. «Lo stesso vale», si legge sempre nella nota, «per lo scambio di materiali biologici ai quali si applica la legislazione in termini di biosafety e biosecurity, che definisce un percorso coordinato dal comitato nazionale italiano per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita presso la presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero della Salute per l'importazione e l'esportazione di materiali, la piattaforma europea per lo scambio di virus in accordo al protocollo di Nagoja». Insomma, tutta una comunicazione declinata al futuro. Agli enti che saranno interrogati spetta un forte controllo e ci auguriamo che nessuna informazione esca dal territorio nazionale senza il consenso degli interessati. Restano però una serie di interrogativi. Perché tutta questa fretta di annunciare un accordo? Perché la volontà di rivolgersi ai russi proprio nel momento in cui gli Stati Uniti di Joe Biden confermano il rischio concreto di sanzioni per quelle nazioni desiderose di approcciare vaccini russi. Immaginate se una tale scelta geopolitica fosse stata sottoscritta dal governatore della Lombardia, Attilio Fontana. Come minimo sarebbe stato crocifisso dai media italiani. Sarebbero ripartiti tutti i riepiloghi su Gianluca Savoini e i suoi presunti affari a Mosca. Se a varcare l'ex cortina di ferro è invece il Lazio nessuno si interroga. L'impressione è che in questo caso sia difficile scindere il perimetro della scienza dalle scelte politiche. Va notato infatti che lo Spallanzani si è da subito (marzo 2020) attivato per attirare nel suo perimetro Reithera, con l'intento di sviluppare un vaccino made in Italy. A distanza di 13 mesi i ritardi rischiano di essere irrecuperabili. In futuro qualcuno dovrà fare chiarezza sul ruolo di Domenico Arcuri e della sua Invitalia. Il finanziamento parziale è arrivato soltanto a febbraio del 2021. È inoltre insufficiente per gestire la fase 3. È chiaro a questo punto che raggiungere la concorrenza è praticamente impossibile. È difficile anche immaginare che lo stabilimento di Castel Romano possa essere utilizzato per insaccare altri vaccini. Da qui si comprende la fretta politica di Nicola Zingaretti di chiudere accordi extra Ue nella speranza di garantire alla propria popolazione il vaccino. Una esigenza sacrosanta che va però pesata con attenzione. Un conto è ragionare sul lungo termine e sugli impatti geopolitici. Un altro è muoversi tenendo conto solo dello scacchiere locale e magari dei ritorni elettorali. Dovrebbe infine spettare solo al governo centrale la possibilità di stringere accordi di tale portata. Si rischia di trovarsi nello scacchiere sbagliato senza ottenere nulla di concreto. Non c'è la garanzia di avere dosi o di averne ma in numero irrilevante. In cambio invece ai russi andrebbe il know how e le informazioni genetiche che tanto desiderano per rilanciare Sputnik.
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».
La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.




