
Ho atteso fino a sera prima di scrivere questo articolo, fiducioso che per l’ora di mandare in stampa La Verità, l’onorevole Aboubakar Soumahoro avrebbe aperto bocca. «Non è possibile», mi sono detto, «che non commenti la chiusura delle indagini che riguardano sua moglie e la suocera». Se non lui, ho pensato, parleranno in sua vece Nicola Fratoianni o Angelo Bonelli, dioscuri dell’Alleanza Verdi e Sinistra, cioè coloro che lo hanno portato in Parlamento, regalandogli una carriera a Montecitorio. E invece no, arrivata l’ora di cena mi sono arreso: sia il deputato con gli stivali sporchi che i suoi mentori hanno optato per il silenzio stampa. No comment, anche se dalla Procura di Latina sono arrivate notizie sconcertanti, come l’uso dei fondi destinati ai migranti per acquisti nelle boutique di lusso. Si parla di un giro di fatture false per oltre 2 milioni di euro, di altri soldi (500.000) incassati e spariti con misteriosi quanto ingiustificati bonifici, molti dei quali riconducibili a un entourage familiare. E Soumahoro, quello che lacrimava in diretta, chiedendo in favor di telecamere perché «mi fate questo», cioè perché giornali come La Verità si occupassero di lui e della moglie? Sparito. Sul suo profilo Facebook c’è una foto che lo ritrae con il pugno chiuso mentre ringrazia di essere stato eletto alla Camera, gli auguri a papa Francesco per una pronta guarigione e una lettera a Giorgia Meloni in vista della riunione del Consiglio europeo. Ma di commenti sulla storiaccia della cooperativa che prendeva soldi per aiutare i migranti e forse aiutava solo i parenti, zero. E dire che ieri, sulla prima pagina del nostro quotidiano, era ben visibile l’articolo che segnalava la chiusura delle indagini. In esso, oltre alla notizia della conclusione degli accertamenti da parte della Procura, si segnalava la possibilità di una richiesta di rinvio a giudizio. Intendiamoci, essere mandati a processo non equivale a una condanna. Tuttavia, se i pm ritengono che ci sia materia per un procedimento penale e chiedono a un giudice il dibattimento, significa che qualche elemento per sostenere l’accusa lo hanno trovato e intendono sottoporlo al giudizio del tribunale. Altro che chiedere «perché mi fate questo?», quasi a lasciar intendere che la vicenda sia frutto di una macchinazione allo scopo di colpirne l’attività politica. Sulle accuse, ovviamente deciderà il gip ma viste le premesse, l’eventualità di un processo è tutt’altro che esclusa, mentre cade l’idea del complotto e della strumentalizzazione.
Tutti quanti ricordano quando, di fronte alle fotografie che ritraevano la consorte, ufficialmente disoccupata, con abiti e accessori di lusso, in tv, Soumahoro si difese e difese la moglie sostenendo il diritto all’eleganza. Ovvio, tutti hanno l’ambizione di vestirsi bene e anche di fare la bella vita, italiani ed extracomunitari. Tuttavia, se si maneggiano soldi pubblici, cioè denaro dei contribuenti che ha come missione l’assistenza e l’accoglienza dei migranti, si ha l’obbligo di amministrarli bene, cioè nell’interesse delle persone per cui è stato stanziato. Invece, a quanto pare, quei fondi avevano un impiego diverso da quello per cui erano stati concessi. Al posto di vitto e alloggio decenti per i profughi, decine se non centinaia di migliaia di euro servivano per spese che con i migranti non avevano nulla a che fare. I pm parlano di opacità nella gestione dei finanziamenti, spesso utilizzati per scopi estranei all’oggetto sociale.
Soumahoro dice di non aver nulla da spartire con ciò che succedeva all’interno della cooperativa che accoglieva i profughi, perché di quello si occupava la suocera (anche se i pm aggiungono pure il nome della figlia di lei). «Non la frequentavo e non avevo alcun incarico operativo», ha spiegato. Certo, può essere che una volta chiusa la porta di casa dopo una dura giornata di lavoro per aiutare i migranti appena sbarcati in Italia, lui e la moglie non parlassero di lavoro. E può capitare che fra l’onorevole con gli stivali sporchi, che pure si occupava di profughi, e la suocera, la conversazione sulla questione migranti fosse bandita dal tavolo di casa. E però ora, dopo che l’indagine della Procura ha cristallizzato alcuni comportamenti penalmente rilevanti, forse una parola sarebbe opportuna.
Troppo facile autosospendersi dal partito, ma non dallo stipendio. Troppo semplice uscire dal partito senza uscire dal Parlamento, continuando dunque a fare quello che si faceva prima, senza neppure il bisogno di chiarire quello che è successo. Da quando esistono i gruppi di Camera e Senato, una sospensione non si nega a nessuno, perché nei fatti non solo non comporta alcuna sanzione, ma alla fine passa inosservata. Sarà per questo che Soumahoro tace? Di certo è la ragione per cui anche due tipi di solito loquaci come Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli in questi giorni sono improvvisamente diventati muti. Come le scimmiette, non vedono, non sentono e non parlano. E neppure hanno sensi di colpa di averci regalato un deputato con gli stivali sporchi di fango.





