2022-01-27
Sotto inchiesta pagava il fratello di Pignatone
Giuseppe Pignatone (Ansa)
Dal 2014 al 2016 il parente del magistrato è stato consulente di Ezio Bigotti, proprio in quel periodo coinvolto in un’indagine a Roma. Parcella da 120.000 euro più Iva. La notizia è rimasta nel cassetto fino alla pensione del procuratore, che è intervenuto sul fascicolo.Da tempo abbiamo capito che molti colletti bianchi per districarsi nel labirinto delle Procure non cercano solo buoni avvocati, ma puntano direttamente a mettersi in tasca i pubblici ministeri. Che ci riescano o meno non sta a noi deciderlo. Ma, in caso di successo, porterebbero dalla propria parte la polizia giudiziaria e i giornalisti di complemento. Insomma tutto il Sistema per dirla con Luca Palamara. Il faccendiere Piero Amara aveva già svelato la formula magica della giustizia su misura: «Cercavo di nominare persone (avvocati, ndr) che erano vicine, perché erano testimoni di nozze, a qualche magistrato». Ma c’è anche un imprenditore che ha pagato una ricca consulenza non al compare, bensì al fratello di un noto magistrato e, per mesi, la prova è rimasta chiusa in qualche cassetto. Come i nostri lettori ben sanno, nel maggio del 2019 abbiamo pubblicato la notizia della presentazione da parte del pm Stefano Fava di un esposto al Csm contro l’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, oggi presidente del Tribunale del Vaticano, per un suo presunto conflitto di interesse, essendo il fratello Roberto legato professionalmente ad alcuni indagati della Procura di Roma. Apriti cielo. Fava è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e rivelazione di segreto ai danni di Pignatone proprio a causa dell’esposto ed è stato sottoposto a procedimento disciplinare davanti al Csm, dove la segnalazione è stata archiviata per decorrenza dei termini. Ma adesso, in un processo connesso, spunta una carta da cui risulta che l’imprenditore Ezio Bigotti, coinvolto nelle indagini della Procura di Roma già nella seconda metà del 2016, nell’ottobre del 2014 aveva ingaggiato come consulente da oltre 6.000 euro al mese proprio Roberto Pignatone. Una scelta fatta anche dal già citato Amara.Ma, sia mentre Roberto Pignatone ancora incassava che subito dopo, il consanguineo capo della Procura prendeva, senza astenersi, qualche decisione che coinvolgeva lo stesso Bigotti. Il documento è stato rinvenuto il 27 luglio del 2018 dal Gico della Guardia di finanza durante la perquisizione dell’abitazione di un agente dei servizi segreti, Loreto Francesco Sarcina, un personaggio oscuro che in questo momento è sotto processo per millantato credito. In casa dello 007 c’erano anche due decreti di perquisizione nei confronti di Bigotti e i relativi verbali del materiale rintracciato. Ma anche «scritture contabili afferenti la medesima Sti spa e contratto di prestazione professionale» scrivono i finanzieri. Una descrizione anodina della documentazione sequestrata che non consentiva di cogliere l’importanza del reperto. Infatti l’anonimo contratto citato non è altro che quello di Roberto Pignatone. Ciò che sorprende in questa scelta è che nelle precedenti pagine del verbale (lungo ben 14 facciate) le Fiamme gialle erano state di una precisione quasi certosina nell’indicare tutti i nomi indicati sui dossier o al loro interno, per poi diventare generici davanti all’identità dell’illustre parente. L’accordo siglato tra la Sti, società piemontese, nella persona di Ezio Bigotti, e il tributarista palermitano Pignatone, l’1 ottobre del 2014, viene prorogato a fine settembre del 2015 sino al 31 dicembre. C’è poi un secondo contratto firmato nel gennaio del 2016 con scadenza a fine anno. Roberto Pignatone è ingaggiato come «advisor legale esterno» ovvero è chiamato a dare «un supporto di carattere generale su tutte le questioni di natura tributaria e commerciale d’interesse della Sti». Il corrispettivo annuo «per l’attività di consulenza e assistenza legale, oggetto del contratto, tenuto conto anche del livello di complessità delle stesse viene pattuito in euro 60.000, oltre oneri previdenziali e fiscali, ripartito in 12 rate a cadenza mensile». In totale 120.000 euro in due anni. Il compenso ogni 30 giorni, alla fine, sembra di capire dalla scheda contabile della Sti rinvenuta a casa di Sarcina, era di 6.344 euro. A dicembre 2016 risulta un ultimo pagamento da 10.000 euro per un totale di 114.000 in circa due anni. Va ricordato che, nello stesso periodo, con la scusa di offrire un’assistenza in campo penale, fiscale e tributario, l’avvocato Amara ha emesso fatture per prestazioni inesistenti, per le quali è stato arrestato, nei confronti delle società di Bigotti. Come abbiamo anticipato, a fine del 2016 Giuseppe Pignatone prende almeno un’iniziativa che influisce sulla vicenda processuale di Bigotti. Il 12 novembre, il comandante del Nucleo di polizia valutaria Giuseppe Bottillo consegna direttamente al procuratore un’informativa collegata a un procedimento del 2013 affidato a Fava. L’annotazione consegnata al procuratore anziché al pm riguardava il coinvolgimento nell’inchiesta del presidente di sezione del Consiglio di Stato Riccardo Virgilio, vecchia conoscenza di Pignatone, di Amara e di Bigotti, entrambi ex datori di lavoro del fratello Roberto.Sull’informativa si legge un appunto a mano di Pignatone: «Visto, (si assegna, ndr) al dottor Ielo per unione agli atti del procedimento 44630/16 e per il coordinamento con il dottor Fava». In pratica il magistrato coassegna la pratica ad altri tre pm, commissariando di fatto Fava, e, successivamente, sostituisce la polizia giudiziaria, facendo subentrare il Gico al Valutario. La posizione di Amara viene stralciata e anche quella di Bigotti, di cui Fava si apprestava a fare l’iscrizione, confluisce nel fascicolo in mano ai quattro magistrati. Per l’imprenditore la Procura a fine 2017 comunque chiederà e otterrà l’arresto. Non è finita. A marzo 2017 anche l’avvocato della Sti Angelo Mangione consegna brevi manu direttamente al procuratore una denuncia di Bigotti contro Alfredo Romeo, suo concorrente per gli appalti Consip. Solo due mesi dopo, a maggio, quando Roberto Pignatone non è più consulente della società, il fratello Giuseppe scrive al procuratore generale della Corte d’Appello Giovanni Salvi per informarlo dei suoi incroci con Amara e Bigotti. Leggiamo: «Non conosco e non credo di aver mai visto né l’Amara, né il Bigotti, sapevo invece - in modo del tutto vago - che essi avevano rapporti di natura professionale con mio fratello Roberto, professore associato di diritto tributario a Palermo e che esercita attività di avvocato e consulente in tale settore (non ha mai difeso in nessun procedimento penale a Roma)».Per Salvi la vicenda non è motivo di astensione, contrariamente a quanto riterrà Fava. In una lettera del marzo del 2019, Pignatone sostiene che quando Amara e Bigotti «divennero oggetto di indagini», nella seconda metà del 2016, avrebbe informato lo stesso Fava «dell’esistenza di rapporti professionali, peraltro già cessati, tra Bigotti e mio fratello Roberto». In realtà, come abbiamo visto, il parente è rimasto a libro paga almeno sino a dicembre 2016.Detto questo, perché quei contratti si trovavano nella casa di un agente dei servizi segreti? Era un’arma di ricatto? Non lo sappiamo, mentre è noto che Amara ha dichiarato di aver consegnato 30.000 euro a Sarcina in cambio di alcune informative riservate delle Fiamme gialle e che lo 007 gli aveva assicurato di poter incidere su Fava. In realtà in un interrogatorio del marzo del 2019 lo 007 ha detto di aver pagato un cancelliere che li chiedeva soldi a nome dell’aggiunto Paolo Ielo. La Procura di Roma ha stabilito che i nomi di Fava e Ielo fossero stati utilizzati a sproposito e ha trasmesso il fascicolo a Perugia, dove i pm umbri hanno chiesto il rinvio a giudizio per traffico di influenze (nella sua declinazione a millantato credito) sia per Amara che per l’agente segreto. Ma gli aspetti inquietanti in questa vicenda non sono finiti. Infatti dopo aver perquisito Sarcina che cosa ha fatto il Gico, un corpo considerato all’epoca di stretta fiducia di Pignatone, lo stesso incaricato di spiare di Palamara con il trojan? Molto semplice: ha preparato un’informativa con le notizie riguardanti Roberto Pignatone. Bene direte voi.Ma sapete quando è stata consegnata la relazione alla Procura di Roma? Nel settembre 2019, ossia un anno e due mesi dopo la perquisizione. Nel frattempo, tra il 27 luglio del 2018, data della perquisizione di Sarcina, e il settembre del 2019, Pignatone aveva avuto il tempo di andare in pensione, mentre Fava era stato allontanato dalla Procura di Roma e non aveva più la possibilità di accedere al fascicolo su Sarcina. In poche parole quell’informativa era stata svuotata del suo potenziale destabilizzante per la Procura. Storie come questa non possono che portare i cittadini a credere che, nel mondo della giustizia, il Sistema, denunciato da cronache e libri, sia ancora in funzione.