2022-03-30
Sorelle sane vanno a morire assieme. Il mercato dei suicidi ha alzato il tiro
Le due donne, 40 e 54 anni, sono volate dagli States alla Svizzera dove è stato concesso loro di farla finita benché avessero solo «mal di schiena e insonnia». Lo sconcerto del fratello: nessuno ha pensato di avvisarlo. Dopo due anni di pandemia e oltre un mese di guerra, risulta triste e fastidioso parlare ancora di morte. Che sia naturale, subita, ricercata o perfino indotta da una certa «cultura» contemporanea. Giova farlo però perché non tutte le morti sono inevitabili e c’è chi butta la vita solo perché nessuno gli tende la mano. Per non parlare di chi continua a dire che certe vite sarebbero inutili o meno utili di altre. Evitando, ma di poco, il nazista «vite indegne di essere vissute».È quanto viene in mente apprendendo che due sorelle statunitensi hanno da poco deciso di farla finita. Organizzando un viaggio transatlantico con la Svizzera come capolinea assoluto.Secondo quanto riporta il quotidiano Le Matin, Susan e Lila, di 40 e 54 anni, hanno chiesto e purtroppo ottenuto il suicidio assistito nella regione di Basilea. Philip Nitschke, direttore di Exit, la celebre associazione che promuove la dolce morte, ha dichiarato all’Independent che le due sorelle avevano cercato aiuto, oltre un anno fa, presso la sua associazione, la quale, come mission, «sostiene il diritto all’eutanasia e al suicidio assistito, ed offre consigli». Nitschke ammette candidamente che le due, del resto tutt’altro che anziane, non avevano nessuna delle patologie inguaribili e insopportabili che di norma vengono citate per giustificare l’interruzione della vita. Anzi «si lamentavano di quel che potrebbero chiamarsi delle frustrazioni». Tra i dolori che accusavano, vengono citati dal direttore di Exit, «i mal di schiena, le insonnie croniche, le vertigini». Patologie che farebbero ridere, se il contesto non fosse tragico.Certo, anche queste patologie possono essere pesanti, e nessun pro life lo negherebbe mai. Ma sono curabili, senza ricorrere all’iniezione letale.La loro ferma volontà, che le ha portate dall’Arizona in Europa, era «di morire insieme». Questo desiderio, sempre secondo Nitschke, per loro «non era negoziabile».L’associazione Pegasos, impegnata anch’essa nell’uscita dal mondo e dalla vita per i cittadini che ne sono stanchi, afferma, per la bocca del suo direttore Reudi Habegger, che «le due sorelle hanno ricevuto un esame medico in Svizzera e la loro capacità psicologica di prendere una tale decisione è stata valutata da professionisti indipendenti». Pegasos, che collabora con la più nota Exit, si impegna a garantire, nei casi come quelli di Lila e Susan, «il diritto a una morte autodeterminata e umana», oltre ad accompagnare le persone «nel loro ultimo viaggio».Ma non viene in mente proprio a nessuno che, come dice il teologo benedettino Thomas Merton, «nessun uomo è un’isola»? Infatti Cal, fratello maggiore delle due suicide che vive a New York, si è dichiarato «totalmente devastato» dalla notizia. Anche perché le sue due consanguinee avevano taciuto la cosa a lui, agli amici, ai conoscenti e ai colleghi.Il primogenito ha saputo della tragedia attraverso i media, a seguito di una ricerca delle due donne date per disperse, poiché da settimane non se ne aveva più notizia. E la sua incredulità è totale anche perché, secondo le sue parole, «erano in perfetta salute». E c’è da credergli se hanno potuto organizzare, da oltre un anno, il viaggio d’addio, e se hanno potuto fare, come visto, i consulti medici e psicologici previsti.Renaud Michiels, che scrive sull’elvetico Matin, si concede una greve ironia sul dolore del fratello maggiore. Notando che «le regole svizzere sul suicidio assistito devono essere poco comprensibili negli Stati Uniti». Ma questo è falso, purtroppo.Anche l’America, infatti, oltre ad essere uno dei primi paesi al mondo a legalizzare l’aborto (nel 1973), ha al suo interno alcuni stati membri che hanno legalizzato sia l’eutanasia che il suicidio di stato. E che forse avrebbe potuto evitare il volo a Lila e Susan.L’Oregon ammette il suicidio assistito sin dal 1996, con il «Death with dignity act». E in questo quadro ha appena pubblicato il rapporto di queste «morti con dignità». Nel 2021 sarebbero arrivate a 238. Anche perché, da quando la cultura della morte e le fake news sulla «vita senza dolore» hanno conquistato le masse, le domande si sono moltiplicate. Pure in pazienti che avevano sofferenze relative e malesseri curabili e passeggeri.Ma cosa contano questi ragionamenti rispetto all’ideale dell’autodeterminazione - a qualunque costo, incluso lo strazio di amici e familiari - che viene sbandierato con fierezza dai radicali, da chi esalta il suicidio e dagli anti life del mondo intero?
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