2020-09-06
La mascherina non è né medaglia né bavaglio
La vera vittima della pandemia è il buonsenso. Così un fastidioso ma utile dispositivo che ci difende da tante porcherie diventa per i «no mask» uno spauracchio da combattere. Mentre «Repubblica» ci vede un distintivo di chissà quale civiltà superiore. Il buonsenso è il grande assente di questa stagione di opposti deliri. Naturalmente detesto anch'io la mascherina, dietro la quale si respira male, si va in debito di ossigeno, e si stabilisce un'odiosa distanza dal mondo attorno. Tuttavia, poiché abito anche a Milano, sono contento che finalmente entrando in farmacia si possa trovare questo oggetto ancora in parte misterioso fino a poco tempo fa. Mi fa piacere perché nella realtà vera del Nord Italia (non in quella mediatica o dei politici da sbarco), ci sono da anni coronavirus capaci, se non stai molto attento, di metterti fuori uso i polmoni. Vengono qui, i corona-sars virus, come nelle maggiori aree industrializzate d'Europa (mostrate da apposite mappe geografiche, curate dalle maggiori istituzioni sanitarie europee), per via dell'inquinamento dai diversi particolati e di tutte le altre porcherie scaricate nell'aria. I vecchi come me, che amano stare al mondo e frequentano medici capaci, l'hanno imparato da un pezzo. Da noi però è anche peggio che altrove, perché pur sapendo tutto da anni non si è ancora provveduto a rendere obbligatori per legge i trattamenti dei carburanti necessari per abbattere lo sviluppo delle porcherie in questione. Infatti, come lo sguardo selvatico ha già scritto, i morti per le patologie conseguenti sono molte migliaia ogni anno (anche questi puntualmente conteggiati dai centri di ricerca, nell'indifferenza della politica e dei media italiani). Quindi benvenuta mascherina, visto che si continua ad avvelenare l'aria che invece si potrebbe pulire, magari consentendo di farlo alle quattro Regioni più interessate. A dire il vero queste ci hanno anche provato con una legge, già nel 2007, ma sono state bloccate dai poteri centrali. «La legge deve essere nazionale», decise un governo Prodi. Nazionale o niente. Anche se nella maggior parte delle altre regioni il problema era pressoché inesistente (come si è visto anche quest'anno), perché quei micidiali particolati non ci sono.Così fu niente, o meglio migliaia di morti in pianura Padana ogni anno, accuratamente studiati anche a Harvard o all'Imperial college di Londra, a cui si sono aggiunte ora Oxford e Newcastle, ma rimasti privi di interesse per i nostri governanti, compresi quelli che sbandierano l'ecologia, purché non metta a rischio le poltrone ministeriali. Ecco perché se uscendo di casa a Milano il vecchio e fedele naso (non Giuseppe Conte, a cui non credo) mi comunica che è meglio che la maschera me la metta, eseguo senza fare storie. Idem se il vicino di treno spruzza starnuti ciclonici, e tu hai passato anche gli ottanta, come il sottoscritto. Mettere la mascherina però non è un distintivo, un contrassegno di chissà quale «nobiltà d'animo o generosità», come ha sostenuto Ezio Mauro in un inquietante fondo di Repubblica di qualche giorno fa (già discusso per altre importanti ragioni da Francesco Borgonovo su La Verità di giovedì). La mascherina non è un attestato al valore civile. Quello lo possono pensare giusto gli ipocriti, ansiosi di sentirsi superiori agli altri per guardarli severamente da sopra il bavaglio. Presentando poi la misera eppur sensata mascherina come fosse chissà cosa e parlando di «condivisione del dolore degli altri e persino compassione». Ma sono storie. Mascherarsi è un gesto forse utile (l'Oms e altri sostenevano di no), comunque di franco e giustificato egoismo, perché così facendo tu vuoi semplicemente - se possibile - vivere, e per questo ti «distanzi» dagli altri, che potrebbero essere malati e farti ammalare. Le maschere sono solo una fastidiosa scocciatura, che a volte però tocca mettere, con la sua quota di evidente viltà nell'abbandonare l'altro al suo catarro. Francesco, per dire, correva ad abbracciare il lebbroso che tutti fuggivano. Noi mascherati no. Anzi rimpiangiamo che l'orrenda mascherina sia stata non facilmente reperibile per anni, compreso l'inverno scorso. Sarebbe bastato appunto un po' di buonsenso per capire che nelle zone poi fatte «rosse» con settimane di ritardo, invece di mandare i soldati per fare i duri (come ora piace, per darsi un tono da «statisti», importanti), servivano piuttosto mascherine, tante e subito, anziché mandarle ai cinesi. Invece pare essere proprio il buonsenso il grande latitante di oggi, e non solo nel solenne fondo di Mauro, visibilmente preoccupato dalle «manifestazioni No Mask nelle piazze di Berlino, Londra e Zurigo, e da quella di Forza Nuova», di ieri. Personalmente, diffido degli slogan con la particella No: no vax, no mask, e chissà cos'altro. Suonano bene ma ormai ho imparato che la realtà non può essere liquidata con due parole, di cui la prima è no. Questa è solo una strada chiusa: no exit. La vita è più complessa. Ricordo la grande pena che sentivo da piccolo per i miei coetanei con la poliomielite, allora relativamente diffusa anche da noi, e la gratitudine poi provata verso Jonas Salk, che nel 1955 mise a punto il vaccino. Lo sguardo del selvatico è aperto, non può escludere nulla del vivente, perché deve custodirlo. I no vax, come anche Ezio Mauro che inveisce contro «no vax, omeopati, naturopati, terrapiattisti» ed altro, ignorano entrambi (ad esempio) che le terapie vaccinali e l'omeopatia affondano le loro radici e pratiche cliniche nell'importante principio, noto fin dall'origine della storia della medicina, secondo il quale il male si cura con somministrazioni della sostanza più vicina ad esso (similia similibus curantur). Dei mini vaccini con contenuti inquietanti, ma benefici se trasformati in energie curative, come i demoni trattati dai Padri del deserto. Un'azione che richiede forza (i demoni menano, a volte), ma è anche semplice, seppur audace, buonsenso. Opporsi invece a ciò che si ignora, per demonizzarlo e chiamare alla riscossa, è un gesto insensato che non può che produrre altri guai. Come fa appunto il rilanciare un clima di emergenza ormai passata, maschere comprese, anziché preparare senza chiacchiere un ritorno operoso, con aria ripulita e non impestata.