2022-12-07
Soldi ai Balcani contro i migranti (e Putin)
Edi Rama e Giorgia Meloni (Getty images)
Vertice a Tirana, presente il premier italiano: l’Unione europea stanzia ben 30 miliardi a favore di Serbia e Macedonia perché blocchino la rotta balcanica. E per sottrarle all’influenza russa.Energia e immigrazione, soprattutto immigrazione, sono i due canali che l’Ue vuole utilizzare per spostare dai Paesi membri ai Balcani miliardi di euro. In cambio, a partire dalla Serbia, le nazioni che compongono il puzzle della penisola dovranno man mano lasciarsi alle spalle l’influenza russa. Il vertice Ue che si è tenuto ieri a Tirana, al quale era presente anche il premier Giorgia Meloni, ha a tutti gli effetti avviato una nuova fase politica. Finisce la presenza a macchia di leopardo degli Stati Uniti e si instaura una sorta di delega Usa al Vecchio Continente per muoversi nei Balcani occidentali. I vecchi modelli di finanziamento fino ad oggi non hanno funzionato e, quindi, i grimaldelli per entrare sono le nuove forme di sovvenzioni finalizzate alla transizione green, alla condivisione di piattaforme energetiche, di cui ha effettivamente bisogno anche l’Europa, e poi le sovvenzioni per il controllo dei flussi migratori. Il piano verde prevede un enorme e quasi ingiustificato pacchetto di investimenti che mobilita poco meno di «30 miliardi di euro per la regione, di cui 9 miliardi in sovvenzioni dall’Ipa III e fino a 20 miliardi in investimenti, stanziati dal nuovo strumento di garanzia per i Balcani occidentali», si legge nella dichiarazione di Tirana concordata dai leader europei al termine del vertice. «Nell’ambito del piano, nel primo semestre del 2022 è stata approvata l’adozione di un totale di 1,4 miliardi di euro in contributi per il finanziamento di 28 progetti», mentre ieri si è aggiunto «un nuovo pacchetto - destinato a finanziare 12 progetti - per un importo di 400 milioni di euro in sovvenzioni dell’Ue, corrispondenti a un valore di investimento di 1,2 miliardi», hanno concluso i leader. Il fronte del contrasto all’immigrazione è ancor più interessante e delicato al tempo stesso. I flussi toccano principalmente Macedonia e Serbia. Da quest’ultimo Paese si affacciano all’Europa via Ungheria e, per altro tragitto, via Slovenia e Trieste. Per l’Italia è un tema cruciale. I numeri continuano a crescere e giustamente ieri la Meloni, prima di incontrare il collega albanese, Edi Rama, e il cancelliere Olaf Scholz, ha sottolineato che «per noi è importantissimo il tema della rotta balcanica. Per la prima volta la Commissione europea ha messo il tema della rotta mediterranea come prioritario» insieme alla «difesa dei confini. Non era mai accaduto. Oggi sì. Io considero che accada» anche «perché l’Italia ha posto il problema». Il fenomeno «come è stato gestito finora è solo un impasse», ha detto la Meloni, aggiungendo poi di non avere incontrato Macron: ciò nonostante «con la Francia i rapporti continuano, ci sono fior fior di bilaterali con i nostri ministri, io e il presidente francese saremo al vertice di Alicante, poi al Consiglio europeo. Ma l’approccio verso i migranti non può essere un tema solo italiano. Si deve passare dalla redistribuzione presunta ai nuovi decreti sui flussi». Il riferimento è alle soglie di cui si sta discutendo in queste ore e alla possibilità di arrivare a 100.000 unità. La postura Ue nei Balcani lascia intendere che se c’è la volontà politica si può raggiungere una posizione ponderata. E che si potrebbe applicare il medesimo schema anche al fianco Sud del Mediterraneo. Certo, gli Stati africani sono estremamente tribali, in Libia c’è la guerra e il Sahel è esposto a interessi geopolitici complessi. Ma se l’Ue volesse muoversi in modo uniforme potrebbe chiudere accordi e gestire i flussi e le partenze tenendo conto di quelle che possono essere le necessità del Vecchio Continente e miscelarle opportunamente con le necessità dei Paesi di partenza. Corre però l’obbligo di frenare un po’ l’ottimismo italiano. Importante riallacciare i rapporti bilaterali con i governi che stanno oltre l’Adriatico, ma difficilmente lo schema che si sta formando nei Balcani occidentali potrà essere replicato. È chiaro che Bruxelles non si sta muovendo per ragioni umanitarie (non a caso si parla di morti in mare solo quando fa comodo e c’è al governo il centrodestra) ma per completare lo schema avviato dopo l’invasione russa dell’Ucraina. La linea di separazione tra interessi economici occidentali e russi per Bruxelles e per la Casa Bianca non può fermarsi in prossimità del fiume Dnepr o del mar Nero, ma deve estendersi fino ad arrivare ai confini meridionali dell’Europa. Sembra chiaro che il fulcro del processo sia destinato a passare dalla presidenza di Aleksander Vucic. A i serbi fa comodo accettare i militari di Frontex per pattugliare le frontiere, così come fa comodo avviare una partnership sull’energia. D’altronde, già in sede Onu la Serbia si era posta in una situazione più neutrale nei confronti di Mosca e sui contratti del gas ha spostato il baricentro verso l’Azerbaigian, adesso potrà essere più libera di trattare sul Kosovo e di aprire all’influenza albanese in Macedonia. Miliardi di investimenti sembrano essere reali, adesso. Per il nostro Paese si aprono opportunità e potenziali fregature a Sud. Se non saremo in grado di fare pressioni per replicare lo schema in Africa, i flussi di clandestini si concentreranno tutti in Libia e Tunisia e i fondi da investire saranno esauriti.
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Charlie Kirk (Getty Images)