
L'israeliana Playtech compra il 70% della società di giochi. Nel 2011 il gruppo, oggi fuso con Cogetech, venne acquistato dal tandem formato da Andrea Bonomi e Giorgio Drago, ma il loro progetto è stato rallentato dai debiti pregressi.Quell'utile lo sognavano da tempo. E con i primi profitti, giunti dopo la bellezza di sette anni consecutivi di perdite, hanno passato la mano. La vendita del 70% di Snaitech, la società delle scommesse, da parte dei fondi di Investindustrial e di Palladio finanziaria al colosso israeliano dei giochi, quotato a Londra, Playtech, chiude una stagione lunga sette anni di difficile gestione di quello che sembrava un investimento più che profittevole. Il business dei giochi, quando Investindustrial del finanziere Andrea Bonomi e Vei capital, il fondo di Palladio, decisero di entrare nel lontano 2011 acquisendo da Snai servizi la maggioranza della società, doveva essere sembrato il Paese di Bengodi (anche se la società era in passivo già dal 2009). Un mercato, quello dei giochi e delle scommesse, assai florido. Ma un conto è il mercato sfavillante, un conto sono le società che vi operano. Il miraggio di fare facili guadagni si è rivelato illusorio fin dall'inizio. La Snai (poi divenuta Snaitech dopo la fusione con Cogetech) perdeva soldi già all'atto dell'acquisizione nel 2011 da parte di Global games, la scatola a controllo paritetico di Investindustrial e Vei capital. Ha continuato a farlo negli anni a venire deludendo le aspettative dei fondi di private equity che pensavano di aver trovato la gallina dalle uova d'oro. È in realtà divenuto un cammino irto di ostacoli. Snai già nel 2011 perse 40 milioni. Salirono a 42 milioni l'anno successivo. Poi da allora il bilancio continuò a tingersi di rosso: dal 2103 a 2016 Snai ha lasciato sul campo perdite complessive per oltre 190 milioni. Un bagno di sangue con il titolo che scivolava in Borsa sempre più. Bonomi e Giorgio Drago, patron di Palladio, pagarono nel 2011 le azioni Snai 2,36 euro. E l'esborso per i compratori, che arrivarono a detenere il 67% del capitale, arrivò a 190 milioni. Nel pieno degli anni bui di Snai sul listino il titolo era arrivato, a inizio del 2016, a valere solo poco più di 50 centesimi (ora è intorno ai 2,15 euro). Con una capitalizzazione di Borsa che non superava i 150 milioni per l'intera società. Un flop vero e proprio per Bonomi e Drago che cominciavano a temere di accumulare solo minusvalenze sul loro investimento nel settore dei giochi e delle scommesse sportive. Ma perché Snai perdeva soldi a bocca di barile? Il problema più che di rapporto costi ricavi era nella struttura finanziaria. Il fatturato ha sempre tenuto e il margine industriale viaggiava negli anni tra il 9 e il 14% dei ricavi. Il problema, forse sottovalutato da Bonomi e Drago, era fin dall'inizio il debito. Troppo e troppo caro per essere sostenuto dai flussi di cassa. Snai si è sempre trascinata con un fardello di debito finanziario di oltre mezzo miliardo. E solo di interessi su quel capitale a prestito Snai pagava cifre importanti. Ogni anno la spesa per il debito portava via da sola 50 milioni. Cui si aggiungevano ammortamenti per altri 50 milioni. Difficile chiudere in attivo in uno scenario come questo. E così la via d'uscita era fondersi (con Cogetech nel 2015) aumentando il fatturato. Non solo: occorreva anche tagliare costi e soprattutto ridurre l'onerosità sul debito. Missione riuscita nell'ultimo anno, il 2017, che si è chiuso per la prima volta con un utile di 27 milioni. Grazie anche alla riduzione degli oneri sul debito: da 72 milioni del 2016 a soli 40 nel 2017. Ma aver corso sul filo del rasoio tutti questi anni deve aver convinto Investindustrial e Palladio a uscire prima possibile. E così è stato. L'offerta di Playtech, giunta a ridosso del primo faticoso utile, di rilevare il 70% del capitale consente di far incassare a Global games 229 milioni, mentre 62 finiranno a Oi games del fondo Orlando. Fonti vicine a Investindustrial dicono che si esce così dall'investimento nelle scommesse con una modesta plusvalenza. Tanta fatica e sette anni di passione per recuperare un investimento che pareva d'oro e si è rivelato di latta. Ne valeva la pena? Se si fossero investiti quei 190 milioni iniziali del 2011 nel paniere del Ftse/Mib la plusvalenza «modesta» sarebbe stata assai più ricca. E forse anche un investimento in Btp tra cedole e rivalutazione del capitale avrebbe reso meglio. Con molti meno rischi e patemi d'animo. Ora il compratore appare molto più attrezzato ad affrontare le intemperie di un business in apparenza ghiotto ma complicato. Playtech è un mostro di profittabilità: fattura poco meno della Snai ma ha prodotto nel 2017 utili per 248 milioni, dieci volte il piccolo utile di Snai che esce dal mondo del private equity italiano per approdare a Londra. Un altro pezzo d'Italia che se ne va all'estero. Un'altra scommessa persa.
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