
L'omicidio di Torino lo dimostra: nelle nostre città si aggirano persone che ci odiano. Chi continua a ripetere che non siamo abbastanza accoglienti e tolleranti ci mette in pericolo. Perché alimenta il risentimento dei «perdenti radicali» verso di noi.Parlo spesso di ottimismo: ne ho parlato molto su questo giornale. Spiego l'importanza del sorridere. Esistono evidentemente correlazioni tra il cervello e la mimica. Quando siamo contenti sorridiamo. È ovvio. La correlazione però funziona anche in senso inverso. Se ci sforziamo di sorridere, dopo un po' il nostro umore migliora. Lo vediamo con gli attori: gli attori che devono recitare parti dove sorridono spesso, alla fine sono ragionevolmente di buon umore. Gli attori che recitano parti terribili, dove aspettano Godot o ammazzano Desdemona, alla fine sono molto più tristi. Le persone che devono svolgere funzioni lavorative dov'è previsto che si sorrida, come maestri, educatori, commessi, se hanno un lutto per qualche ora lo dimenticano.Non tutti sono d'accordo sul concetto che sorridere sia una buona idea. Nei suoi bellissimi libri, la scrittrice statunitense Pearl Buck racconta come nella Cina imperiale fosse calorosamente sconsigliato sorridere: poteva attirare l'invidia di minuscoli rognosi folletti che avrebbero saldato il conto per quell'attimo di felicità. In realtà non sono i folletti che ci massacrano se siamo contenti, ma i perdenti radicali. Il perdente radicale è descritto nell'omonimo libro del filosofo tedesco Hans Magnus Enzensberger. Il perdente radicale è colui che non tollera che altri abbiano più di lui. Pur di distruggere coloro che hanno più di lui, è disposto a distruggere il mondo, anche a costo del proprio sacrificio personale. Per chi non avesse voglia di leggersi Enzensberger, può bastare la fiaba di Biancaneve. Per quale motivo la regina di Biancaneve vuole assassinare Biancaneve? Biancaneve non vuole rubarle il trono, non le ha ucciso il gatto, è solamente più bella di lei. Pur di cancellarla dalla faccia della terra la regina fa il supremo sacrificio: la sua bellezza e poi la sua vita. Quindi essere più belli, o più colti, o più bravi, o più capaci, o più ricchi, o più felici, diventa un buon motivo per una condanna a morte. Questo è anche lo schema del genocidio vero, armeni, ebrei, classe borghese cambogiana, tutsi del Ruanda: il popolo sterminato ha una percepibile superiorità culturale sugli sterminatori. A Torino Stefano Leo è stato assassinato perché sorrideva, dal ventisettenne Said Mechaquat con una coltellata mortale, e ci vuole parecchio odio per dare una coltellata mortale, non è una cosa da poco. La coltellata mortale oltretutto non è né la prima, né l'unica opzione. Prendiamo atto del fatto che le persone frustrate diventino particolarmente aggressive, e tendano a prendersela con il primo che capita, però ci sono diverse opzioni: occhiataccia, insulto, gomitata, calcio sull'alluce, calcio al ginocchio, ginocchiata, insulti alla madre, coltellata non mortale.Quindi, il signor Said Mechaquat sarà anche stato irritato con il mondo, ma una coltellata mortale a uno sconosciuto perché aveva un'aria felice resta un gesto atroce che l'irritazione con il mondo non basta a giustificare. Per arrivare a questo gesto occorre la struttura del perdente radicale: un odio al mondo totale che fiorisce su una struttura assolutamente arida, priva di qualsiasi capacità empatica. Un odio totale al mondo per cui si decide di danneggiarlo anche a costo di sacrificare la propria vita, di finire in prigione, e si decide di danneggiarlo levandogli il meglio. Un uomo che sorride è il meglio. Il mondo ha reso infelice il signor Said Mechaquat e il signor Said Mechaquat si è vendicato uccidendo la parte migliore del mondo: un uomo che sorride.A questo aggiungiamo il nostro timore che, magari in piccola percentuale, questo sia stato un delitto etnico, come forse quello del ghanese Kabobo, che uccise tre persone a picconate o quello di Pamela, fatta a pezzi e chiusa in due trolley. Sicuramente sarebbe stato un delitto etnico quello dell'autobus che avrebbe dovuto bruciare con 51 ragazzini dentro, ragazzini quindi «puniti» in quanto appartenenti a un popolo «colpevole» di non tenere i porti aperti. Speriamo di sbagliarci, ma questo dubbio è presente, e a questo punto pretendiamo di essere rassicurati, non di essere insultati. Se questa nostra teoria è vera, allora i vari intellettuali, psichiatri, personaggi politici, disegnatori di vignette, fotografi di magliette, gerarchie religiose e chef alla moda, che passano il loro tempo a spiegarci che i veri responsabili in realtà siamo noi che non siamo abbastanza buoni, accoglienti e generosi, stanno facendo un disastro, perché con le loro incaute parole stanno aumentando il risentimento e l'odio verso di noi e verso i nostri figli. Pretendiamo di poter girare nelle nostre strade come si girava fino a vent'anni fa, con la certezza che nessuno ci avrebbe accoltellato o preso a picconate.Pretendiamo inoltre che si ristabilisca il concetto del libero arbitrio. Il responsabile di un crimine è colui che l'ha commesso. Nessun altro. Se qualcuno lo ha spinto all'infelicità, è irrilevante. L'infelicità non giustifica crimini. Ognuno è responsabile delle proprie azioni, di tutte, e solo di quelle. Chiunque voglia dire fesserie, chiunque si precipiti a giustificare gli assassini con il sangue ancora caldo delle vittime, impari a respirare a lungo prima di dire parole che potrebbero aumentare il rancore e il risentimento contro innocenti. Mentre continuiamo a seppellire i nostri morti cominciamo a chiedere cautela e silenzio. Anzi, cominciamo a pretenderli.
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