2024-12-09
«Erdogan in loco vuol scalzare l’Iran e obbligare i russi a trattare con lui»
Le celebrazioni a Damasco per la caduta del regime di Bashar al-Assad (Getty Images). Nel riquadro l'analista Giuseppe Manna
L’analista Giuseppe Manna: «C’è la Turchia dietro il successo dei ribelli, ma pure il malcontento della popolazione. Penso che gli Usa approvino».Giuseppe Manna è un analista esperto di Medio Oriente. Perché proprio ora la rivolta delle milizie contro il regime siriano? «La sopravvivenza del regime di Assad caduto ieri era assicurata da Russia e Iran, che ora hanno altre priorità rispettivamente in Ucraina e nella difesa dei residui di una proiezione regionale compromessa dal confronto con Israele. A questo si aggiunge la volontà della Turchia di approfittare per manovrare le forze locali a lei fedeli e migliorare la profondità difensiva contrastando i curdi del Nordest siriano. Vorrei però sottolineare che sarebbe superficiale ridurre tutto solamente al confronto tra potenze e leader. Quanto è accaduto non sarebbe stato possibile senza la disponibilità della popolazione a supportare le forze insurrezionali, anche solo passivamente, perché stanca delle indicibili privazioni e dei continui soprusi del regime di Assad».Chi sostiene il leader di Hts Muhammad Al Jolani che i russi davano per morto e che progetto ha per la Siria? «Nell’intervista di venerdì scorso alla Cnn, Al Jolani si è mostrato conciliante, presentandosi - ora che è alla ribalta sulla scena internazionale - come un leader pronto a guidare la rinascita del Paese attraverso istituzioni disegnate secondo la legge islamica, ma nel rispetto delle minoranze religiose con le quali “i musulmani in Siria hanno convissuto pacificamente per secoli”. Già da tempo Al Jolani è impegnato a scrollarsi di dosso l’immagine del miliziano fondamentalista e tagliagole - personaggio che effettivamente è stato per molto tempo - con l’obiettivo di accreditarsi come interlocutore in caso di conquista del potere. Tale sterzata, che bisogna però capire se effettiva o solo di facciata, è anche funzionale a ottenere il sostegno di attori come la Turchia o qualche petromonarchia del Golfo desiderosa incidere sui futuri assetti della Siria. Io non escluderei nemmeno un inconfessabile appoggio americano. Sebbene Hts resti nella lista delle organizzazioni terroristiche del Dipartimento di Stato, il suo marcato carattere anti iraniano ne fa una pedina molto utile nell’opera di demolizione dell’influenza di Teheran attualmente in corso nel Levante».I jihadisti hanno avuto la capacità di far cadere il regime in solo dodici giorni.«All’inizio dell’offensiva di Hts e dell’Esercito siriano libero sembrava che le operazioni fossero condotte con chirurgica precisione per arrivare fino ad Aleppo e non oltre. E forse così doveva essere nelle intenzioni originarie con lo scopo di ottenere concessioni dal regime. La fuga delle forze lealiste e il mancato appoggio russo e iraniano devono poi aver suggerito di giocare al rialzo in una partita ancora in corso. Nel frattempo, altre formazioni politico-militari e comunità ostili ad Assad si sono ribellate in altre parti del Paese. Con il presidente e il suo clan fuori dai confini della Siria e le forze di difesa governative allo sbando, il regime più che cinquantennale degli Assad è crollato. E con la caduta di Damasco ora è ufficiale».La Russia era talmente preoccupata che ha spostato le sue armi dalla base di Tartus. Perché è così importate e che navi e sommergibili ci sono in questo porto?«Le basi russe a Laodicea e Tartus risalgono ai tempi dell’Unione sovietica. Per Mosca mantenere il controllo di quelle infrastrutture è molto importante e rientra nel plurisecolare sforzo per assicurarsi una presenza costante nei cosiddetti “mari caldi”. A seguito dell’aggressione all’Ucraina, la presenza di navi e sommergibili russi si è assottigliata. La Turchia applica con rigore la Convenzione di Montreux per l’accesso al Mar Nero e i movimenti nel Mediterraneo sono strettamente sorvegliati dalla Nato. Le basi restano però fondamentali per le iniziative russe in Cirenaica e in altri contesti africani, con il rischio che Mosca possa vedere compromessa la sua operatività nel continente qualora non abbia più libero accesso a queste infrastrutture».Da più parti si dice che Muhammad Al Jolani abbia avuto il benestare di attaccare da Recep Tayyip Erdogan. Ma che progetto ha in testa il presidente turco? «Ankara chiedeva invano di negoziare con Damasco una fascia di sicurezza di 30 chilometri per spostare la sua prima linea difensiva il più lontano possibile dalle città del Sudest anatolico ma anche per consentire un rientro parziale dei 3 milioni di profughi scappati dalla guerra civile. Il Nord della Siria, fatta eccezione per Idlib e la riva destra dell’Eufrate, è in larga parte occupato dal Pkk, che la Turchia considera una minaccia esistenziale. Non sorprende che Ankara abbia provveduto a rifornire e addestrare le forze ora protagoniste della demolizione del regime di Assad. Sebbene i turchi abbiano dichiarato di essere pronti a intervenire in caso di ondate di profughi, non c’è dubbio che Ankara passerà presto all’incasso degli investimenti fatti, pretendendo di far sentire forte la sua voce nei futuri equilibri da definire in Siria. Tra l’altro, per capire l’approccio dei turchi, basta citare che nelle scuole di Idlib, insieme all’arabo, si insegna ormai anche la lingua turca e i rifornimenti energetici sono garantiti da collegamenti alla rete elettrica anatolica. Erdogan si prepara dunque a giocare un ruolo primario negli equilibri siriani, rafforzando la proiezione turca e obbligando altri attori, i russi in primis, a interloquire con lui per mantenere una presenza nel Paese mediorientale. Nello stesso tempo, Ankara punta ad assicurarsi la fine duratura dell’influenza iraniana sulla Siria, nel quadro della secolare competizione tra turchi e persiani, e non senza mostrare ad americani e israeliani la sua indispensabile necessità per contenere sempre più efficacemente Teheran».
Jose Mourinho (Getty Images)