2025-01-17
La sinistra raschia il fondo a causa dell’indigestione di globalizzazione e woke
Una ricerca certifica il flop dei progressisti in un anno zeppo di elezioni. E in reazione al radicalismo, la Camera Usa vota per escludere i trans dagli sport femminili a scuola.La sinistra non è mai stata così poco amata nel mondo dalla fine della Guerra fredda. A sostenerlo è una ricerca realizzata dal quotidiano britannico Telegraph, che dati alla mano mostra la débâcle globale dei progressisti. Con l’eccezione della Spagna - dove comunque resistono al potere in equilibrio precario - e dell’Inghilterra - dove il governo laburista di Keir Starmer vive le sue belle difficoltà già a pochi mesi dall’insediamento. «I partiti di sinistra sono oggi più impopolari che in qualsiasi momento dalla fine della Guerra fredda», sostiene il Telegraph. «L’analisi arriva dopo un anno di trionfi elettorali per i conservatori di tutto il mondo, coronati dall’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. I gruppi di destra sono emersi come vincitori a livello mondiale dopo che oltre 1,5 miliardi di persone hanno votato in più di 70 Paesi nel 2024, il maggior numero mai registrato in un solo anno. Secondo l’analisi del Telegraph sulle elezioni in 73 democrazie, i partiti di sinistra hanno registrato una quota di voti mediamente bassa, record, pari ad appena il 45,4% nelle ultime elezioni di ciascuna democrazia». Le percentuali parlano abbastanza chiaro. «In Europa occidentale e negli Stati Uniti, i partiti di sinistra si sono assicurati solo il 42,3% dei voti mentre la destra ha ottenuto il 55,7%, il che rappresenta il divario più ampio nella quota di voti dal 1990. Nel frattempo, l’estrema destra ha ottenuto una quota record di voti pari al 14,7% dopo che i politici radicali si sono comportati bene nelle elezioni dalla Francia a Panama. La fine della sinistra può essere rintracciata anche in America Latina. Dopo l’insediamento di Trump questo mese, si prevede che ulteriori sconfitte verranno inflitte alla sinistra in Canada, Australia e Germania, la più grande economia dell’Ue». Questi dati, va detto, non stupiscono affatto. E la tendenza non sembra destinata a cambiare nel breve periodo, anzi. «La tendenza è in rialzo. Non c’è alcun motivo reale per aspettarsi che si fermi presto», ha detto al Telegraph il professor Matthijs Rooduijn, politologo dell’Università di Amsterdam. Jeremy Cliffe, direttore editoriale e membro senior del think tank del Consiglio europeo per le relazioni estere, ha dichiarato invece che la svolta globale a destra è il risultato di tre diversi fattori interconnessi: «Il declino del lavoro organizzato, guidato dalla globalizzazione; la crescente politica identitaria che è stata sfruttata con maggiore con successo dalla destra che dalla sinistra; una tendenza generale tra le forze di sinistra a frammentarsi piuttosto che a unirsi». Viene il forte sospetto che almeno uno di questi tre fattori sia più rilevante degli altri, ovvero quella che Cliffe chiama «politica identitaria». I progressisti di ogni latitudine negli ultimi anni sono stati ossessionati oltre ogni limite dalla difesa delle (micro) identità, cioè dalla tutela delle minoranze. Questo tipo di politica ha preso il nome di cultura woke o cultura della cancellazione: una tempesta ideologica che ha flagellato l’Occidente senza pietà dalla metà degli anni Dieci del Duemila in avanti. Quello a cui stiamo assistendo ora è un rigurgito di disgusto per questo tipo di visione del mondo, che viene rigettata a ogni latitudine. Non è un caso che le destre - che pure sono molto diverse fra loro e spesso esprimono posizioni anche radicalmente differenti - siano accomunate da una caratteristica: praticamente ovunque stanno cercando di smantellare l’architrave woke. E laddove hanno perso le elezioni, ad esempio in Gran Bretagna, la situazione è rapidamente degenerata verso la distopia. La vittoria di Trump e l’esplosione politica di Elon Musk negli Usa possono senz'altro essere lette - oltre che come risposta alle politiche economiche dell’amministrazione Biden - anche come una robusta reazione al progressismo militante. L’emblema di questo movimento reattivo è probabilmente il dibattito sui temi transgender, ossessione woke se ce n'è una. Trump ha promesso che avrebbe costruito una sorta di barriera culturale contro l’avanzata degli attivisti trans. E pare che il partito repubblicano sia pronto a seguire la linea. Martedì la Camera dei rappresentanti statunitense ha approvato una legge che vieta alle trans di partecipare ai programmi sportivi scolastici riservati alle studentesse. Come spiega il New York Times (che appare piuttosto infastidito dal provvedimento, come prevede l’ortodossia liberal) «il disegno di legge, approvato [...] con un voto di 218 a 206, impedirebbe che i finanziamenti federali vadano alle scuole K-12 che includono studenti transgender nelle squadre sportive femminili». Certo, la battaglia non è ancora conclusa: ora la norma dovrà passare anche al Senato, «dove sette democratici dovrebbero unirsi ai repubblicani per farla passare», mentre «solo due democratici si sono uniti a tutti i repubblicani nel votare a favore alla Camera». Il fatto però che la proposta abbia ottenuto un primo via libera è particolarmente rilevante: segno evidente del vento mutato. «La stragrande maggioranza ritiene che gli uomini non appartengano allo sport femminile», dice il deputato Greg Steube, repubblicano della Florida che si è molto spesso per la nuova proposta. «Questo disegno di legge rispetterà il mandato che il popolo americano ha dato al Congresso». Forse la dichiarazione è un filo enfatica, ma non ci sono dubbi: il popolo, anzi i popoli, dimostrano un po' ovunque di averne piene le scatole dei deliri liberal.
(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)