2023-10-15
I guru di sinistra ammettono: alla sanità più che le risorse mancano regia e programmi
Nino Cartabellotta (Gimbe): «basta litigare sulla manovra, serve un piano per recuperare i buchi dopo anni di governi dem. Eppure Elly Schlein porta il Pd in piazza a prescindere.«La spesa sanitaria pro capite che nel 2010 era pari alla media dei Paesi europei, ha accumulato un gap molto importante negli ultimi 12 anni, gap che è andato progressivamente aumentando arrivando agli 810 euro pro capite per il 2022, che corrisponde a più di 47 miliardi di spesa sanitaria nazionale». A mettere in fila questi dati e a fornire una prima forma di commento non è uno degli esponenti del governo chiamato a rispondere alle continue critiche dell’opposizione, Pd in testa, sulla scarsità di risorse impiegate per garantire la salute dei cittadini, ma Nino Cartabellotta e il suo Gimbe che da anni sforna studi e analisi sul mondo della sanità, insomma uno che in quanto a vicinanza con la Meloni è davvero insospettabile. Basta, poi, scorrere la lista dei politici che hanno guidato Palazzo Chigi (nel 2010 c’era Silvio Berlusconi, ma poi sono arrivati Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi) nell’ultima dozzina d’anni per rendersi conto che per incolpare il centrodestra bisogna fare davvero un bell’esercizio di fantasia. E non è solo sulla diagnosi che Cartabellotta smentisce i critici di sinistra, ma anche sulla cura. «Non possiamo pensare di continuare a fare manutenzione ordinaria sulla sanità e dare ogni anno un miliardo, un miliardo e mezzo in più. Serve un piano di lungo periodo», insiste il divulgatore scientifico a Radio 24 ospite de L’economia delle piccole cose, «tutte le forze politiche dovrebbero convergere sulla necessità di un rilancio. Quindi, non è importante quanti soldi ci saranno nella prossima manovra di bilancio ma quanto verrà investito in salute nei prossimi dieci anni per riuscire a recuperare il gap con l’Europa. Per questo serve un patto politico e sociale che prescindendo dall’avvicendamento dei governi, rimetta al centro la sanità pubblica come leva di sviluppo economico e pilastro della democrazia». Verrebbe da dire, parlane all’opposizione, che un giorno sì e l’altro pure attacca il governo per gli stessi motivi che lui reputa marginali e soprattutto prova a farlo capire al segretario del Pd, Elly Schlein che ormai ha imboccato una deriva landiniana e ha annunciato che sarà in piazza l’11 novembre contro il governo. Una protesta a prescindere, in perfetto stile Cgil, visto che la manovra ancora non c’è: l’obiettivo del leader democratico è quello di far convergere a piazza del Popolo tutto il Pd «per dimostrare che c’è un’altra Italia che si batte per i salari e per non dismettere la sanità pubblica». Appunto. Perché oltre a ricordarsi che a furia di inseguire la corsa movimentista della Cgil rischia di diventare la copia sbiadita di Landini, la Schlein dovrebbe sapere che di non soli fondi vive la sanità. «Se mettiamo insieme i piani di rientro dei bilanci e ci aggiungiamo i tagli, le regioni del Sud hanno accumulato ritardi che oggi sono veramente poco colmabili», ha spiegato ancora Cartabellotta, che ieri evidentemente in una giornata di vena, «si tratta di differenze che peseranno anche sul raggiungimento degli obbiettivi per il Pnrr. Come Italia, ad esempio, arriveremo al target dell’assistenza domiciliare integrata del 10% degli ultra 65enni della popolazione, ma in maniera disomogenea. Se l’Emilia Romagna parte già nel 2019 da un recupero del 17% del gap rispetto all’Europa, per le regioni del Sud parliamo di un 300-400% di gap da recuperare».Del resto basta vedere il dato sulla cronica mancanza di posti letti per rendersi conto che le carenze della sanità sono distribuite a macchia di leopardo e quindi vanno date risposte differenti a problemi diversi. Complessivamente mancano circa 60.000 posti per essere in media Ue, con una l’Unione che viaggia su un sistema che prevede quasi 5 letti ogni 1.000 abitanti e l’Italia che si ferma vicina a quota 3. Il punto è che dal Duemila ne abbiamo persi per strada quasi 80.000 di posti letto e che ci sono moltissimi ospedali o reparti che restano semi-vacanti. Una questione di organizzazione più che di risorse. Basterebbe che primari e direttori di Asl mettessero da parte i loro egoismi per avviare processi di accorpamento che - come evidenziato in un’inchiesta della Stampa - evitino per esempio che al Galliera di Genova in un reparto i letti abbiano un tasso di occupazione del 153% e in un altro del 36% e che al Cardarelli di Napoli l’unità coronarica utilizzi solo l’8% dei suoi posti, quando poi c’è il 136% dei letti occupati in urologia e il 123% nel reparto grandi ustionati. Le parole chiave sono quindi programmazione ed efficientamento delle risorse. «A questo punto», conclude Cartabellotta, «se non si vuole rilanciare il servizio sanitario nazionale, la politica si prenda la responsabilità di una parziale privatizzazione. Almeno così i cittadini sapranno in che direzione andiamo». Una sfida. Ma l’opposizione è troppo impegnata ad andare in piazza sotto le bandiere di Cgil e Fiom per accettarla.