2025-05-30
I referendum sono una vera farsa. Votare è farsi usare dalla sinistra
A Landini, Schlein e Conte di contratti a termine, tutele crescenti e pure della reintegrazione dei licenziati non importa nulla. Interessa solo che in tanti si rechino ai seggi: vogliono usare il risultato per legittimarsi. I voltagabbana che cambiano bandiera per pura convenienza non mi sono mai piaciuti. Figuratevi, dunque, se mi può risultare simpatica una sinistra che prima fa una riforma dicendo che è essenziale per il Paese e poi, per calcolo politico, ne chiede l’abrogazione rimangiandosi tutto. Avrete già capito che parlo dei referendum per cui gli italiani sono chiamati a votare l’8 e il 9 giugno. I quesiti che verranno sottoposti agli elettori sono cinque e, di questi, quattro riguardano il lavoro mentre uno punta a dimezzare i tempi per la concessione della cittadinanza agli stranieri. Lasciamo da parte quest’ultimo che, se non ci fossero gli altri, sarebbe già morto. A proporre di abrogare le norme che regolano licenziamenti, contratti a termine e a tutele crescenti, introducendo la responsabilità del committente in caso di infortuni sul lavoro, è stata la Cgil. Landini lanciò la raccolta delle firme il 25 aprile dello scorso anno e la sinistra si è subito accodata. Dimenticando, però, che in precedenza, cioè dieci anni prima, si era accodata con lo stesso entusiasmo all’introduzione dei contratti a termine e a tutele crescenti, oltre che alla cancellazione della reintegrazione del lavoratore licenziato. Certo, all’epoca il segretario del Pd era Matteo Renzi, il quale era pure presidente del Consiglio, dunque dotato di pieni poteri. Fu per questo che quando, da premier, varò il Jobs act (da provinciale quale è, al senatore semplice di Scandicci è sempre piaciuto far finta di essere internazionale dunque, invece di chiamarla riforma del lavoro, presentò la legge con un’etichetta anglofona) nessuno o quasi fiatò? Se la sinistra non avesse approvato il decreto e la legge delega, le norme che adesso i compagni vogliono abrogare non sarebbero mai passate. Se la Cgil, il Pd e la sinistra radicale sono convinti, come spiegano gli slogan usati per la raccolta di firme, che la legge voluta da Renzi non assicuri agli italiani «un lavoro stabile, dignitoso, tutelato e sicuro», perché in dieci anni non l’hanno mai cancellata? In fondo, dal 2015 a oggi la sinistra, anche dopo le dimissioni di Renzi, è stata al governo per sette anni: due con Paolo Gentiloni, poi con Giuseppe Conte in versione extra-rossa, quindi con Mario Draghi. Se davvero i contratti a termine e quelli a tutele crescenti sono, come sostiene Landini, deleteri per i lavoratori, perché aspettare il 2024 per raccogliere le firme? Perché tardare nove anni per abrogare una legge sulla possibilità di reintegrare il lavoratore licenziato? Il segretario della Cgil è stato eletto nel gennaio di sei anni fa e prima guidava i metalmeccanici della Fiom. Dunque, avrebbe potuto organizzare sin dalla sua approvazione un referendum che cancellasse il Jobs act. Lo stesso si può dire di Elly Schlein, che è sì diventata segretaria del Pd due anni fa, ma dal 2014 al 2015 era europarlamentare del Pd, per poi passare alla versione italiana di Podemos e, infine, approdare nel consiglio regionale dell’Emilia-Romagna, sempre in quota sinistra. Come mai non si è schierata contro la riforma del lavoro, raccogliendo subito le firme? Forse ha voluto pensarci un po’ prima di decidersi ad appoggiare un referendum? Certo, meglio non fare scelte affrettate, ma dieci anni non sono un tantino troppi? La realtà è che a Landini e compagni dei contratti a termine, di quelli a tutele crescenti e pure della reintegrazione dei lavoratori licenziati non importa nulla. Come ha spiegato qualche settimana fa su Repubblica Tito Boeri, le norme che si vorrebbero reintrodurre sono anacronistiche, perché in dieci anni il mercato del lavoro è cambiato e più dei posti in fabbrica mancano le persone disposte a occuparli. Quanto alla responsabilità solidale del committente in caso di infortuni sul lavoro, la norma, spiega Boeri, non ha precedenti nel mondo perché scarica su un soggetto terzo ed estraneo all’azienda, che non ha titolo per vigilare sulle norme di sicurezza di altri, la colpa di un eventuale incidente.Vi chiedete perché Landini, Schlein, Conte e compagnia bella si siano svegliati solo ora e per di più per sostenere referendum tanto strampalati? La risposta varia per il segretario della Cgil e per i capi di Pd e 5 stelle. Il primo, presto, dovrà lasciare il sindacato perché il suo mandato scade e, dunque, più che al contratto dei lavoratori, pensa al suo. Che fare dopo l’addio alla Confederazione? Come per chi lo ha preceduto, l’unica strada è la politica ma, a differenza degli altri, lui la vuol fare da capo e, dunque, un referendum con milioni di elettori alle urne per dire sì ai suoi quesiti lo legittimerebbe. Schlein e Conte ovviamente non vogliono lasciare la partecipazione alla campagna referendaria al solo Landini, per non dover poi fare i conti con un altro aspirante leader e, dunque, eccoli darsi da fare per poter, poi, rivendicare il risultato. Che, ovviamente, non sarà l’abrogazione ma la partecipazione. Anche se non verrà raggiunto il quorum, più gente ci sarà e più verrà usata per legittimarsi. Un po’ come fece Renzi nel 2016, quando cominciò a dire che, seppur sconfitto, il 40% degli italiani stava con lui.Ecco, la storia è tutta qui. I compagni voltagabbana pensano di strumentalizzare il risultato. Per questo non andrò a votare. Perché anche se votassi no all’abrogazione, la mia scheda contribuirebbe a una farsa.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)