2023-04-19
La sinistra prova a sabotare la commissione
Davide Faraone (Italia Viva), in corsa per la presidenza della commissione d’inchiesta sul Covid (Imagoeconomica)
Presentati circa 120 emendamenti, soprattutto da Pd e M5s, al testo che istituisce l’organo parlamentare di inchiesta sulla gestione dei contagi. I grillini: «Le indagini si allarghino anche alle Regioni». Il centrodestra resta compatto. La prossima settimana il voto.«Il virus scappò da un laboratorio». Il Senato Usa inguaia la Cina e Joe Biden. Il rapporto: «Pechino lavorava ai vaccini da novembre 2019». Smentita la linea dei dem.Lo speciale contiene due articoli.Il centrodestra è rimasto compatto, nessun emendamento è stato presentato da Lega, Forza Italia e Fdi. Le circa 120 proposte di modifiche, da apportare al testo unificato per istituire la commissione parlamentare d’inchiesta sulla pandemia Sars-CoV-2, arrivano quasi tutte dalle opposizioni. Poche, quelle di Italia Viva e Azione. Un bel segnale incoraggiante, per l’iter iniziato il 15 febbraio scorso e che sta seguendo il disegno di legge per l’istituzione di una commissione bicamerale d’inchiesta formata da 30 parlamentari, 15 senatori e 15 deputati, che avranno il compito di indagare sulla gestione dell’emergenza Covid in Italia. Ieri, alle 18, scadeva il termine ultimo per presentare in modalità digitale gli emendamenti al testo base, approvato una settimana fa in commissione Affari sociali della Camera con un voto a maggioranza. È il testo unificato delle tre proposte di legge sul quale si erano trovati d’accordo il centrodestra, assieme ad Azione e Italia Viva. Pd, M5s, e Avs (Alleanza Verdi e Sinistra), avevano invece disertato il voto. Da parte del Pd sono stati presentati circa una quarantina di emendamenti, i 5 stelle ne hanno messi insieme una cinquantina, le altre proposte di modifica che si conosceranno domani arrivano da Avs e da Italia Viva. «Io ho firmato la proposta di legge per fare la commissione sul Covid già nella scorsa legislatura, figuratevi se oggi non votavo a favore», commentava mercoledì scorso Davide Faraone di Iv, papabile presidente della commissione, annunciando però emendamenti perché la loro proposta «tiene dentro anche il ruolo delle Regioni». Le circa 50 modifiche avanzate dai 5 stelle «sono tutte di merito, di sostanza, non con intenti ostruzionistici dal momento che siamo assolutamente favorevoli alla commissione», fanno sapere dal M5s. «Chiediamo però che il perimetro di indagine si allarghi alle Regioni, visto che la sanità è materia anche regionale».Marco Furfaro, capogruppo dem in commissione Affari sociali, aveva spiegato che erano usciti dall’aula prima del voto perché «nel testo si mette in dubbio l’utilità dei vaccini, ammiccando ai novax, e non sono menzionate le Regioni, cioè l’istituzione che ha la competenza principale sulla sanità». Aggiungeva che «la destra vuole solo strumentalizzare una tragedia e provare a distogliere l’attenzione dalle incapacità di questo governo nell’affrontare le emergenze del Paese». A detta del Pd, il testo base del disegno di legge «fa schifo». Per la pentastellata Chiara Appendino, costituisce «un insulto», come lo ha definito nella seduta del 12 aprile.«L’ho sempre detto, valuterò ogni emendamento nel merito senza alcun pregiudizio o preclusione, perché l’obiettivo è elaborare il miglior testo possibile», commentava ieri il deputato di Fdi, Alice Bonguerrieri, relatore del testo base che fonde tre proposte, quelle di Riccardo Molinari (Lega), di Galeazzo Bignami (Fdi) e Davide Faraone (Italia Viva). «Se ci saranno suggerimenti utili, li sottoporrò al gruppo e alla maggioranza». La soddisfazione era grande, per l’unità mostrata dal centrodestra, come aveva già espresso dopo il voto. «L’accordo in commissione, con l’adozione del testo base, testimonia non solo che la maggioranza è compatta, ma che coinvolge anche parte dell'opposizione come il terzo polo, muovendosi verso l’unica direzione possibile e cioè quella della chiarezza», dichiarava Bonguerrieri. La discussione generale degli emendamenti era in programma per venerdì 21 aprile, ma slitterà alla prossima settimana. Una volta votate le modifiche, il testo passerà all’Aula per l’approvazione. La commissione, lo ricordiamo, dovrà far luce su diversi aspetti che hanno contraddistinto la gestione pandemica, valutando l’efficacia, la tempestività e i risultati delle misure adottate dal governo per prevenire, contrastare e ridurre la diffusione del Sars-CoV-2. Così pure accertare l’eventuale esistenza di un piano sanitario nazionale per il contrasto del virus, e le ragioni della sua mancata pubblicazione e divulgazione; perché non fu aggiornato il piano pandemico nazionale redatto nel 2006; valutare se furono tempestivi e adeguati gli strumenti forniti alle Regioni e agli enti locali durante l’emergenza pandemica, ma anche se ci furono irregolarità, sprechi negli acquisti dei vaccini e svolgendo indagini sull’efficacia del piano vaccinale predisposto. La commissione dovrà approfondire anche molti altri aspetti, come l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale prodotti in Cina.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sinistra-prova-sabotare-commissione-2659877845.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-virus-scappo-da-un-laboratorio-il-senato-usa-inguaia-la-cina-e-biden" data-post-id="2659877845" data-published-at="1681882073" data-use-pagination="False"> «Il virus scappò da un laboratorio». Il Senato Usa inguaia la Cina e Biden È uno schiaffo al Partito comunista cinese il rapporto pubblicato l’altro ieri dai senatori repubblicani sulle origini del Covid-19: un rapporto confezionato dall’artefice dell’Operazione Warp Speed, il dottor Robert Kadlec. Presentando il documento di oltre 300 pagine, il senatore del Gop, Roger Marshall, ha dichiarato: «Questo rapporto conclude che molto probabilmente ci sono state due fuoriuscite dal laboratorio». È in un tale quadro che il dossier si concentra innanzitutto sui problemi in materia di biosicurezza dell’Istituto di virologia di Wuhan. «La prevalenza delle prove circostanziali supporta la tesi dell’incidente non intenzionale correlato alla ricerca», recita il documento. «Da giugno ad agosto 2019, la leadership dell’Istituto di virologia di Wuhan ha pubblicato numerosi rapporti in cui esprimeva preoccupazione per le carenze di biosicurezza dovute alla disponibilità limitata di attrezzature e personale addestrato», si legge ancora. D’altronde, già nel 2018, un cablogramma del Dipartimento di Stato americano sottolineò che l’istituto «aveva una grave carenza di tecnici e ricercatori adeguatamente formati necessari per gestire in sicurezza questo laboratorio ad alto contenimento». Non solo: il report riferisce anche di alcuni atteggiamenti sospetti tenuti dalle autorità cinesi. «A metà settembre 2019, l’Istituto di virologia di Wuhan ha disattivato il proprio database di campioni e sequenze (di virus, ndr) e rafforzò la sicurezza fisica del suo campus», si legge nel documento, che sottolinea anche la scarsa trasparenza della Repubblica popolare. Inoltre, nonostante il governo di Pechino abbia sostenuto che l’epidemia non iniziò prima dell’8 dicembre 2019, questo nuovo report risulta di tutt’altro avviso. Secondo i senatori repubblicani, «i modelli epidemiologici e genetici indicano che la probabile prima incidenza di infezioni umane da Sars-Cov-2 si è verificata tra metà ottobre e l’inizio o la metà di novembre 2019». «Allo stesso modo», si legge ancora, «numerosi rapporti ufficiali, tecnici e giornalistici suggeriscono che la comparsa del virus risalga a un periodo che va dalla fine di ottobre alla metà di novembre». Ma c’è dell’altro. Sembra infatti che l’esercito cinese abbia iniziato a sviluppare vaccini contro il Covid non più tardi di novembre 2019. «Sulla base di annunci pubblici, brevetti sui vaccini, rapporti pubblicati relativi ai vaccini e analisi di questa indagine, almeno due di questi sforzi di sviluppo del vaccino sono iniziati non oltre novembre-dicembre 2019, prima che l’epidemia di Covid-19 fosse ammessa o resa pubblica», si legge nel dossier, secondo cui lo scienziato militare Zhou Yusen «presentò uno dei primi brevetti di vaccino Covid-19 il 24 febbraio 2020». Insomma, quanto emerge è imbarazzante per Pechino. Se la Repubblica popolare avesse mostrato una condotta più trasparente, molte vite si sarebbero infatti potute salvare. Tuttavia, oltre a rivelarsi una denuncia delle responsabilità cinesi, il rapporto può anche essere letto come una critica all’attuale Casa Bianca, che sull’origine del Covid ha tenuto finora una posizione piuttosto ambigua. «Non c’è consenso in questo momento nel governo degli Usa su come sia iniziato esattamente il Covid», ha dichiarato il 27 febbraio scorso il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, John Kirby. Non è un mistero che il Gop punti invece a un approccio più severo nei confronti del Dragone su questo fronte. L’ambasciata cinese a Washington si è non a caso lamentata dell’indagine che stanno conducendo i repubblicani alla Camera sulle origini della pandemia. Infine, il nuovo rapporto potrebbe mettere in imbarazzo anche Anthony Fauci, che per tutto il 2020 escluse la validità della teoria dell’origine dal laboratorio, per poi diventare improvvisamente possibilista nel maggio 2021. Ad aprile 2020, l’allora direttore del Niaid screditò pubblicamente tale teoria e ricevette un messaggio di ringraziamento dal presidente di Ecohealth, Peter Daszak. Ecohealth aveva ottenuto tramite il Niaid fondi dal Dipartimento della Salute americano: fondi, che aveva almeno in parte usato per condurre ricerche sui coronavirus nei pipistrelli in partnership con l’Istituto di virologia di Wuhan. Guarda caso, fu proprio Daszak a organizzare la pubblicazione di una lettera di scienziati, apparsa su Lancet a febbraio 2020, che bollava frettolosamente la tesi della fuoriuscita come una teoria del complotto. Ebbene, il report dei repubblicani sostiene che le informazioni relative ai rapporti tra Niaid, EcoHealth e l’istituto di Wuhan sono state difficili da ottenere.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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Silvia Salis (Imagoeconomica)