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2023-04-19
La sinistra prova a sabotare la commissione
Davide Faraone (Italia Viva), in corsa per la presidenza della commissione d’inchiesta sul Covid (Imagoeconomica)
Il centrodestra è rimasto compatto, nessun emendamento è stato presentato da Lega, Forza Italia e Fdi. Le circa 120 proposte di modifiche, da apportare al testo unificato per istituire la commissione parlamentare d’inchiesta sulla pandemia Sars-CoV-2, arrivano quasi tutte dalle opposizioni. Poche, quelle di Italia Viva e Azione.
Un bel segnale incoraggiante, per l’iter iniziato il 15 febbraio scorso e che sta seguendo il disegno di legge per l’istituzione di una commissione bicamerale d’inchiesta formata da 30 parlamentari, 15 senatori e 15 deputati, che avranno il compito di indagare sulla gestione dell’emergenza Covid in Italia.
Ieri, alle 18, scadeva il termine ultimo per presentare in modalità digitale gli emendamenti al testo base, approvato una settimana fa in commissione Affari sociali della Camera con un voto a maggioranza. È il testo unificato delle tre proposte di legge sul quale si erano trovati d’accordo il centrodestra, assieme ad Azione e Italia Viva. Pd, M5s, e Avs (Alleanza Verdi e Sinistra), avevano invece disertato il voto.
Da parte del Pd sono stati presentati circa una quarantina di emendamenti, i 5 stelle ne hanno messi insieme una cinquantina, le altre proposte di modifica che si conosceranno domani arrivano da Avs e da Italia Viva. «Io ho firmato la proposta di legge per fare la commissione sul Covid già nella scorsa legislatura, figuratevi se oggi non votavo a favore», commentava mercoledì scorso Davide Faraone di Iv, papabile presidente della commissione, annunciando però emendamenti perché la loro proposta «tiene dentro anche il ruolo delle Regioni».
Le circa 50 modifiche avanzate dai 5 stelle «sono tutte di merito, di sostanza, non con intenti ostruzionistici dal momento che siamo assolutamente favorevoli alla commissione», fanno sapere dal M5s. «Chiediamo però che il perimetro di indagine si allarghi alle Regioni, visto che la sanità è materia anche regionale».
Marco Furfaro, capogruppo dem in commissione Affari sociali, aveva spiegato che erano usciti dall’aula prima del voto perché «nel testo si mette in dubbio l’utilità dei vaccini, ammiccando ai novax, e non sono menzionate le Regioni, cioè l’istituzione che ha la competenza principale sulla sanità». Aggiungeva che «la destra vuole solo strumentalizzare una tragedia e provare a distogliere l’attenzione dalle incapacità di questo governo nell’affrontare le emergenze del Paese». A detta del Pd, il testo base del disegno di legge «fa schifo». Per la pentastellata Chiara Appendino, costituisce «un insulto», come lo ha definito nella seduta del 12 aprile.
«L’ho sempre detto, valuterò ogni emendamento nel merito senza alcun pregiudizio o preclusione, perché l’obiettivo è elaborare il miglior testo possibile», commentava ieri il deputato di Fdi, Alice Bonguerrieri, relatore del testo base che fonde tre proposte, quelle di Riccardo Molinari (Lega), di Galeazzo Bignami (Fdi) e Davide Faraone (Italia Viva). «Se ci saranno suggerimenti utili, li sottoporrò al gruppo e alla maggioranza». La soddisfazione era grande, per l’unità mostrata dal centrodestra, come aveva già espresso dopo il voto. «L’accordo in commissione, con l’adozione del testo base, testimonia non solo che la maggioranza è compatta, ma che coinvolge anche parte dell'opposizione come il terzo polo, muovendosi verso l’unica direzione possibile e cioè quella della chiarezza», dichiarava Bonguerrieri.
La discussione generale degli emendamenti era in programma per venerdì 21 aprile, ma slitterà alla prossima settimana. Una volta votate le modifiche, il testo passerà all’Aula per l’approvazione.
La commissione, lo ricordiamo, dovrà far luce su diversi aspetti che hanno contraddistinto la gestione pandemica, valutando l’efficacia, la tempestività e i risultati delle misure adottate dal governo per prevenire, contrastare e ridurre la diffusione del Sars-CoV-2. Così pure accertare l’eventuale esistenza di un piano sanitario nazionale per il contrasto del virus, e le ragioni della sua mancata pubblicazione e divulgazione; perché non fu aggiornato il piano pandemico nazionale redatto nel 2006; valutare se furono tempestivi e adeguati gli strumenti forniti alle Regioni e agli enti locali durante l’emergenza pandemica, ma anche se ci furono irregolarità, sprechi negli acquisti dei vaccini e svolgendo indagini sull’efficacia del piano vaccinale predisposto. La commissione dovrà approfondire anche molti altri aspetti, come l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale prodotti in Cina.
«Il virus scappò da un laboratorio». Il Senato Usa inguaia la Cina e Biden
È uno schiaffo al Partito comunista cinese il rapporto pubblicato l’altro ieri dai senatori repubblicani sulle origini del Covid-19: un rapporto confezionato dall’artefice dell’Operazione Warp Speed, il dottor Robert Kadlec.
Presentando il documento di oltre 300 pagine, il senatore del Gop, Roger Marshall, ha dichiarato: «Questo rapporto conclude che molto probabilmente ci sono state due fuoriuscite dal laboratorio». È in un tale quadro che il dossier si concentra innanzitutto sui problemi in materia di biosicurezza dell’Istituto di virologia di Wuhan. «La prevalenza delle prove circostanziali supporta la tesi dell’incidente non intenzionale correlato alla ricerca», recita il documento. «Da giugno ad agosto 2019, la leadership dell’Istituto di virologia di Wuhan ha pubblicato numerosi rapporti in cui esprimeva preoccupazione per le carenze di biosicurezza dovute alla disponibilità limitata di attrezzature e personale addestrato», si legge ancora. D’altronde, già nel 2018, un cablogramma del Dipartimento di Stato americano sottolineò che l’istituto «aveva una grave carenza di tecnici e ricercatori adeguatamente formati necessari per gestire in sicurezza questo laboratorio ad alto contenimento». Non solo: il report riferisce anche di alcuni atteggiamenti sospetti tenuti dalle autorità cinesi. «A metà settembre 2019, l’Istituto di virologia di Wuhan ha disattivato il proprio database di campioni e sequenze (di virus, ndr) e rafforzò la sicurezza fisica del suo campus», si legge nel documento, che sottolinea anche la scarsa trasparenza della Repubblica popolare.
Inoltre, nonostante il governo di Pechino abbia sostenuto che l’epidemia non iniziò prima dell’8 dicembre 2019, questo nuovo report risulta di tutt’altro avviso. Secondo i senatori repubblicani, «i modelli epidemiologici e genetici indicano che la probabile prima incidenza di infezioni umane da Sars-Cov-2 si è verificata tra metà ottobre e l’inizio o la metà di novembre 2019». «Allo stesso modo», si legge ancora, «numerosi rapporti ufficiali, tecnici e giornalistici suggeriscono che la comparsa del virus risalga a un periodo che va dalla fine di ottobre alla metà di novembre». Ma c’è dell’altro. Sembra infatti che l’esercito cinese abbia iniziato a sviluppare vaccini contro il Covid non più tardi di novembre 2019. «Sulla base di annunci pubblici, brevetti sui vaccini, rapporti pubblicati relativi ai vaccini e analisi di questa indagine, almeno due di questi sforzi di sviluppo del vaccino sono iniziati non oltre novembre-dicembre 2019, prima che l’epidemia di Covid-19 fosse ammessa o resa pubblica», si legge nel dossier, secondo cui lo scienziato militare Zhou Yusen «presentò uno dei primi brevetti di vaccino Covid-19 il 24 febbraio 2020».
Insomma, quanto emerge è imbarazzante per Pechino. Se la Repubblica popolare avesse mostrato una condotta più trasparente, molte vite si sarebbero infatti potute salvare. Tuttavia, oltre a rivelarsi una denuncia delle responsabilità cinesi, il rapporto può anche essere letto come una critica all’attuale Casa Bianca, che sull’origine del Covid ha tenuto finora una posizione piuttosto ambigua. «Non c’è consenso in questo momento nel governo degli Usa su come sia iniziato esattamente il Covid», ha dichiarato il 27 febbraio scorso il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, John Kirby. Non è un mistero che il Gop punti invece a un approccio più severo nei confronti del Dragone su questo fronte. L’ambasciata cinese a Washington si è non a caso lamentata dell’indagine che stanno conducendo i repubblicani alla Camera sulle origini della pandemia.
Infine, il nuovo rapporto potrebbe mettere in imbarazzo anche Anthony Fauci, che per tutto il 2020 escluse la validità della teoria dell’origine dal laboratorio, per poi diventare improvvisamente possibilista nel maggio 2021. Ad aprile 2020, l’allora direttore del Niaid screditò pubblicamente tale teoria e ricevette un messaggio di ringraziamento dal presidente di Ecohealth, Peter Daszak. Ecohealth aveva ottenuto tramite il Niaid fondi dal Dipartimento della Salute americano: fondi, che aveva almeno in parte usato per condurre ricerche sui coronavirus nei pipistrelli in partnership con l’Istituto di virologia di Wuhan. Guarda caso, fu proprio Daszak a organizzare la pubblicazione di una lettera di scienziati, apparsa su Lancet a febbraio 2020, che bollava frettolosamente la tesi della fuoriuscita come una teoria del complotto. Ebbene, il report dei repubblicani sostiene che le informazioni relative ai rapporti tra Niaid, EcoHealth e l’istituto di Wuhan sono state difficili da ottenere.
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Presentati circa 120 emendamenti, soprattutto da Pd e M5s, al testo che istituisce l’organo parlamentare di inchiesta sulla gestione dei contagi. I grillini: «Le indagini si allarghino anche alle Regioni». Il centrodestra resta compatto. La prossima settimana il voto.«Il virus scappò da un laboratorio». Il Senato Usa inguaia la Cina e Joe Biden. Il rapporto: «Pechino lavorava ai vaccini da novembre 2019». Smentita la linea dei dem.Lo speciale contiene due articoli.Il centrodestra è rimasto compatto, nessun emendamento è stato presentato da Lega, Forza Italia e Fdi. Le circa 120 proposte di modifiche, da apportare al testo unificato per istituire la commissione parlamentare d’inchiesta sulla pandemia Sars-CoV-2, arrivano quasi tutte dalle opposizioni. Poche, quelle di Italia Viva e Azione. Un bel segnale incoraggiante, per l’iter iniziato il 15 febbraio scorso e che sta seguendo il disegno di legge per l’istituzione di una commissione bicamerale d’inchiesta formata da 30 parlamentari, 15 senatori e 15 deputati, che avranno il compito di indagare sulla gestione dell’emergenza Covid in Italia. Ieri, alle 18, scadeva il termine ultimo per presentare in modalità digitale gli emendamenti al testo base, approvato una settimana fa in commissione Affari sociali della Camera con un voto a maggioranza. È il testo unificato delle tre proposte di legge sul quale si erano trovati d’accordo il centrodestra, assieme ad Azione e Italia Viva. Pd, M5s, e Avs (Alleanza Verdi e Sinistra), avevano invece disertato il voto. Da parte del Pd sono stati presentati circa una quarantina di emendamenti, i 5 stelle ne hanno messi insieme una cinquantina, le altre proposte di modifica che si conosceranno domani arrivano da Avs e da Italia Viva. «Io ho firmato la proposta di legge per fare la commissione sul Covid già nella scorsa legislatura, figuratevi se oggi non votavo a favore», commentava mercoledì scorso Davide Faraone di Iv, papabile presidente della commissione, annunciando però emendamenti perché la loro proposta «tiene dentro anche il ruolo delle Regioni». Le circa 50 modifiche avanzate dai 5 stelle «sono tutte di merito, di sostanza, non con intenti ostruzionistici dal momento che siamo assolutamente favorevoli alla commissione», fanno sapere dal M5s. «Chiediamo però che il perimetro di indagine si allarghi alle Regioni, visto che la sanità è materia anche regionale».Marco Furfaro, capogruppo dem in commissione Affari sociali, aveva spiegato che erano usciti dall’aula prima del voto perché «nel testo si mette in dubbio l’utilità dei vaccini, ammiccando ai novax, e non sono menzionate le Regioni, cioè l’istituzione che ha la competenza principale sulla sanità». Aggiungeva che «la destra vuole solo strumentalizzare una tragedia e provare a distogliere l’attenzione dalle incapacità di questo governo nell’affrontare le emergenze del Paese». A detta del Pd, il testo base del disegno di legge «fa schifo». Per la pentastellata Chiara Appendino, costituisce «un insulto», come lo ha definito nella seduta del 12 aprile.«L’ho sempre detto, valuterò ogni emendamento nel merito senza alcun pregiudizio o preclusione, perché l’obiettivo è elaborare il miglior testo possibile», commentava ieri il deputato di Fdi, Alice Bonguerrieri, relatore del testo base che fonde tre proposte, quelle di Riccardo Molinari (Lega), di Galeazzo Bignami (Fdi) e Davide Faraone (Italia Viva). «Se ci saranno suggerimenti utili, li sottoporrò al gruppo e alla maggioranza». La soddisfazione era grande, per l’unità mostrata dal centrodestra, come aveva già espresso dopo il voto. «L’accordo in commissione, con l’adozione del testo base, testimonia non solo che la maggioranza è compatta, ma che coinvolge anche parte dell'opposizione come il terzo polo, muovendosi verso l’unica direzione possibile e cioè quella della chiarezza», dichiarava Bonguerrieri. La discussione generale degli emendamenti era in programma per venerdì 21 aprile, ma slitterà alla prossima settimana. Una volta votate le modifiche, il testo passerà all’Aula per l’approvazione. La commissione, lo ricordiamo, dovrà far luce su diversi aspetti che hanno contraddistinto la gestione pandemica, valutando l’efficacia, la tempestività e i risultati delle misure adottate dal governo per prevenire, contrastare e ridurre la diffusione del Sars-CoV-2. Così pure accertare l’eventuale esistenza di un piano sanitario nazionale per il contrasto del virus, e le ragioni della sua mancata pubblicazione e divulgazione; perché non fu aggiornato il piano pandemico nazionale redatto nel 2006; valutare se furono tempestivi e adeguati gli strumenti forniti alle Regioni e agli enti locali durante l’emergenza pandemica, ma anche se ci furono irregolarità, sprechi negli acquisti dei vaccini e svolgendo indagini sull’efficacia del piano vaccinale predisposto. 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Presentando il documento di oltre 300 pagine, il senatore del Gop, Roger Marshall, ha dichiarato: «Questo rapporto conclude che molto probabilmente ci sono state due fuoriuscite dal laboratorio». È in un tale quadro che il dossier si concentra innanzitutto sui problemi in materia di biosicurezza dell’Istituto di virologia di Wuhan. «La prevalenza delle prove circostanziali supporta la tesi dell’incidente non intenzionale correlato alla ricerca», recita il documento. «Da giugno ad agosto 2019, la leadership dell’Istituto di virologia di Wuhan ha pubblicato numerosi rapporti in cui esprimeva preoccupazione per le carenze di biosicurezza dovute alla disponibilità limitata di attrezzature e personale addestrato», si legge ancora. D’altronde, già nel 2018, un cablogramma del Dipartimento di Stato americano sottolineò che l’istituto «aveva una grave carenza di tecnici e ricercatori adeguatamente formati necessari per gestire in sicurezza questo laboratorio ad alto contenimento». Non solo: il report riferisce anche di alcuni atteggiamenti sospetti tenuti dalle autorità cinesi. «A metà settembre 2019, l’Istituto di virologia di Wuhan ha disattivato il proprio database di campioni e sequenze (di virus, ndr) e rafforzò la sicurezza fisica del suo campus», si legge nel documento, che sottolinea anche la scarsa trasparenza della Repubblica popolare. Inoltre, nonostante il governo di Pechino abbia sostenuto che l’epidemia non iniziò prima dell’8 dicembre 2019, questo nuovo report risulta di tutt’altro avviso. Secondo i senatori repubblicani, «i modelli epidemiologici e genetici indicano che la probabile prima incidenza di infezioni umane da Sars-Cov-2 si è verificata tra metà ottobre e l’inizio o la metà di novembre 2019». «Allo stesso modo», si legge ancora, «numerosi rapporti ufficiali, tecnici e giornalistici suggeriscono che la comparsa del virus risalga a un periodo che va dalla fine di ottobre alla metà di novembre». Ma c’è dell’altro. Sembra infatti che l’esercito cinese abbia iniziato a sviluppare vaccini contro il Covid non più tardi di novembre 2019. «Sulla base di annunci pubblici, brevetti sui vaccini, rapporti pubblicati relativi ai vaccini e analisi di questa indagine, almeno due di questi sforzi di sviluppo del vaccino sono iniziati non oltre novembre-dicembre 2019, prima che l’epidemia di Covid-19 fosse ammessa o resa pubblica», si legge nel dossier, secondo cui lo scienziato militare Zhou Yusen «presentò uno dei primi brevetti di vaccino Covid-19 il 24 febbraio 2020». Insomma, quanto emerge è imbarazzante per Pechino. Se la Repubblica popolare avesse mostrato una condotta più trasparente, molte vite si sarebbero infatti potute salvare. Tuttavia, oltre a rivelarsi una denuncia delle responsabilità cinesi, il rapporto può anche essere letto come una critica all’attuale Casa Bianca, che sull’origine del Covid ha tenuto finora una posizione piuttosto ambigua. «Non c’è consenso in questo momento nel governo degli Usa su come sia iniziato esattamente il Covid», ha dichiarato il 27 febbraio scorso il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, John Kirby. Non è un mistero che il Gop punti invece a un approccio più severo nei confronti del Dragone su questo fronte. L’ambasciata cinese a Washington si è non a caso lamentata dell’indagine che stanno conducendo i repubblicani alla Camera sulle origini della pandemia. Infine, il nuovo rapporto potrebbe mettere in imbarazzo anche Anthony Fauci, che per tutto il 2020 escluse la validità della teoria dell’origine dal laboratorio, per poi diventare improvvisamente possibilista nel maggio 2021. Ad aprile 2020, l’allora direttore del Niaid screditò pubblicamente tale teoria e ricevette un messaggio di ringraziamento dal presidente di Ecohealth, Peter Daszak. Ecohealth aveva ottenuto tramite il Niaid fondi dal Dipartimento della Salute americano: fondi, che aveva almeno in parte usato per condurre ricerche sui coronavirus nei pipistrelli in partnership con l’Istituto di virologia di Wuhan. Guarda caso, fu proprio Daszak a organizzare la pubblicazione di una lettera di scienziati, apparsa su Lancet a febbraio 2020, che bollava frettolosamente la tesi della fuoriuscita come una teoria del complotto. Ebbene, il report dei repubblicani sostiene che le informazioni relative ai rapporti tra Niaid, EcoHealth e l’istituto di Wuhan sono state difficili da ottenere.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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