2024-02-28
La sinistra odia solo il manganello degli altri
Scontri tra manifestanti e Polizia al porto di Trieste nell'ottobre 2021 (Ansa)
Che si tratti di repressione di piazza o di censura delle voci scomode, i progressisti si attivano secondo logiche tribali. Se ci rimette uno dei loro, si indignano. Se i portuali protestano contro le restrizioni o Zelensky chiede liste di proscrizione, tifano bastonature. È molto apprezzabile che negli ultimi giorni si respiri così tanta preoccupazione per la compressione della libertà di pensiero, di espressione e di manifestazione in Italia. In effetti da un po’ di tempo a questa parte si nota - in tutto l’Occidente e non soltanto in casa nostra - una inquietante tendenza all’emarginazione della critica e alla criminalizzazione delle opinioni in controtendenza rispetto al cosiddetto mainstream. Non è nemmeno più una questione di destra e sinistra (anche se in generale le idee conservatrici hanno vita più difficile in un dibattito improntato al culto del progresso): tutto ciò che fuoriesce dal perimetro consentito viene osteggiato più o meno violentemente. Il problema è che di questa drammatica deriva ci si occupa soltanto quando sotto la mannaia finiscono personaggi o posizioni in qualche modo riconducibili all’universo dei buoni per definizione. I progressisti, appunto. Suscita dunque sdegno quasi universale il fatto che un gruppo di studenti che manifestavano per la causa palestinese sia stato manganellato a Pisa. E non c’è dubbio che sia giusto interrogarsi sulla opportunità e sui limiti dell’uso della forza da parte dello Stato.Ma se si vuole essere onesti bisogna domandarsi perché lo si faccia soltanto adesso, e con le modalità a cui assistiamo. La risposta è piuttosto semplice. Per prima cosa, insistere sui fatti di Pisa serve all’opposizione per attaccare il governo, e fin qui è normale e financo banale dialettica politica. Soprattutto, però, ci si scalda così tanto per gli studenti perché, tutto sommato, la lotta per la Palestina è in qualche modo legata all’universo della sinistra. È una sorta di riflesso condizionato: i progressisti riconoscono vagamente come proprie le istanze dei manifestanti, le considerano presentabili e dunque almeno in parte difendibili. Il che è piuttosto curioso: a ben vedere, il Partito democratico e la sinistra tutta (con pochissime eccezioni) non hanno affatto sposato le posizioni di chi scende in piazza, anzi se ne sono tenuti a debita distanza con parecchio imbarazzo. E quando a organizzare eventi o convegni sulla Palestina non erano studenti bensì associazioni musulmane - per definizione più «sospette» - i progressisti non hanno esitato a censurare e cancellare. Ne emerge un quadro intriso di ipocrisia, che del resto è la caratteristica prima della politica contemporanea.Basta spostarsi dalla questione palestinese a quella ucraina per trovarsi su un terreno completamente diverso. Qui i solerti difensori della «libertà di manifestare» perdono ogni slancio e si fanno anzi principali promotori della repressione. È difficile dimenticare che gli stessi quotidiani oggi pronti a stracciarsi le vesti per le manganellate ai cortei mesi fa sbattevano i mostri putinisti in prima pagina, incitando all’odio contro i presunti avversari ideologici. Non è affatto un caso che da due giorni non ci sia mezzo editorialista o mezzo politico disposto a occuparsi delle allucinanti dichiarazioni di Volodymyr Zelensky sulla compilazione di vere e proprie liste di proscrizione contenenti i nomi di «sostenitori di Putin» da mandare alla gogna e perseguitare. Il presidente ucraino ha fatto sapere che consegnerà gli elenchi alle principali autorità politiche europee e le ha invitate a colpire le «quinte colonne» in vari modi, tutti piuttosto violenti. Attenzione: non stiamo parlando di pericolose e conclamate spie, ma di generici «putiniani». Memori dell’uso di questa accusa fatto in tempi non sospetti, ci viene da pensare che qualsiasi contestazione, pur velata, al regime di Zelensky sia sufficiente a giustificarla.Per quale motivo allora i difensori del libero pensiero non s’indignano, non strepitano, non gridano all’inaccettabile intromissione? E dire che, essendo l’attuale esecutivo molto esposto a favore di Kiev, sarebbe profittevole per l’opposizione intervenire sulla materia. Invece regna il silenzio, soprattutto mediatico. Di nuovo, la ragione è semplice: la sinistra italiana, sull’Ucraina, ha di fatto le stesse posizioni del governo. In più, Putin è da anni lo spauracchio del progressismo planetario, il Male Assoluto da combattere con ogni mezzo, censura compresa. Ergo l’indignazione non scatta, la sensibilità democratica non si attiva. Questa compressione del dissenso non interessa.Esattamente come non interessavano a molti le feroci discriminazioni e criminalizzazioni avvenute ai tempi del Covid. Su quelle i progressisti, perfino i più illuminati, continuano a svicolare, guardano altrove. Se si manganella uno studente oggi sono guai, se si manganellava un portuale in tempo di pandemia le botte erano meritate.Volendo allargare appena il discorso potremmo dire che funziona così pure nell’ambito del puro dibattito. Se per qualche motivo un intellettuale della compagnia di giro sinistrorsa si dichiara perseguitato dall’orrendo governo fascistissimo, ecco che scatta il soccorso accorato. Ma se chiunque altro viene oscurato, zittito o infamato non si legge mezzo appello né mezza dichiarazione di solidarietà. L’impegnato progressista sarà forse pronto (forse, perché non è affatto detto) a chiedere libertà d’azione per chi contesta Israele, ma di sicuro approverà il fatto che contro il libro di Roberto Vannacci si muova addirittura la magistratura. Quando Erri De Luca fu mandato a processo per aver invitato a sabotare i cantieri della Tav, si levarono gli scudi degli amici di sempre. Ma se altri esprimono tesi ben più leggere - a partire proprio dal succitato generale - ecco che si invoca la mordacchia, la condanna, l’intervento della forza pubblica.Ciò che preoccupa i progressisti, in conclusione, non è la compressione della libertà di pensiero. No, essi temono solo la riduzione del loro potere. Non rifiutano il manganello: vogliono solo averne l’esclusiva.