2024-08-05
La sinistra si nasconde dietro Putin
Vladimir Putin (Getty Images)
Chi cavalca la tesi del complotto russo evita di affrontare l’evidente problema dei corpi androgini nelle gare rosa. Sono le stesse sportive a chiedere nuovi esami. Ancora insistono a negare la realtà. Di fronte al caso, ormai da giorni esploso a livello mondiale, della pugile algerina Imane Khelif (con tutte le contraddizioni che fa esplodere riguardo alla differenza sessuale, ai livelli di testosterone e alla forma dei corpi) l’atteggiamento degli adepti nostrani del pensiero unico giunge allo stesso risultato da due vie diverse. Da una parte c’è chi si rifugia nella alienazione e grida con forza che il Padrone è il depositario della verità e non lo si può contestare. Sono, per intendersi, quelli che scrivono: «Il Comitato olimpico ha detto che è una donna, dunque è una donna». Che è un po’ come dire: il Cio sostiene di aver ragione, dunque ha ragione. Costoro invocano la scienza ma la scambiano per burocrazia, credono che la realtà si esaurisca in una carta bollata. Motivo per cui la scritta su un passaporto cancella in un colpo la voce delle donne che protestano e chiedono più chiarezza, più trasparenza, esami semplici che taglino la testa al toro. Questi esami si possono fare e non sono umilianti, come spiega serenamente la rappresentante speciale Onu per i diritti delle donne, Reem Alsalem, che ha subito trovato il supporto di varie voci del femminismo europeo. Il problema è, però, che non si vogliono fare, perché secondo gli illustri progressisti l’ideologia deve avere la meglio sulla realtà: conta ciò che si decide a tavolino, e pure la tanto amata scienza deve chinare il capo al cospetto dei presunti diritti. Poi, ovviamente, c’è l’altro versante di sudditanza all’eroticamente corretto. Quello di cui fanno parte quanti non possono tollerare l’idea che esista effettivamente un dilemma, e che porsi la questione riguardo la conformazione fisica di una atleta non significhi necessariamente violare un suo diritto o la sua dignità. I negazionisti della realtà di questo secondo tipo sono pronti a immaginare i peggiori complotti; ribadiscono - come ha fatto ieri Repubblica in prima pagina - l’esistenza di possenti ingerenze putiniane nello svolgimento dei giochi e di trame ingarbugliate tessute dal perfido ragno russo. E sarà pure che qualcuno, a Est e a Ovest, ci specula. E sarà pure che i famigerati professionisti della disinformazione post sovietica si danno da fare alla grande. Ma resta un fatto: piaccia o no, gli atleti di ogni genere sono nei fatti corpi monitorati, schedati, analizzati. È cristallino che questi dati e questi numeri non possano esaurire la loro umanità. È altrettanto chiaro che non bastino le misurazioni del testosterone per racchiudere il senso intero della parola donna. Ma qui non siamo, purtroppo, nel campo della speculazione o dell’intelletto: siamo nel reame della carne, dove contano la forza fisica, la potenza dei pugni, la tessitura delle fibre. Un reame che discrimina per necessità, e senza cattiveria: suddivide, categorizza. O dentro o fuori, e non si può teorizzare troppo, anche perché è in gioco la salute di chi compete. Tocca dunque uscire dall’artificio, cosa che i vertici del Cio e i loro adepti non sembrano troppo intenzionati a fare. «È già abbastanza brutto per qualsiasi uomo, anche potente come Thomas Bach (il capo del comitato olimpico, ndr) pontificare su come dovrebbe essere definita una donna», ha scritto Oliver Brown sul Telegraph, un giornale che certo non è putiniano, anzi l’esatto contrario. «È ancora peggio», prosegue Brown, «quando gli elementi della sua definizione - essere registrata come donna alla nascita, cresciuta come donna e avere un passaporto che la identifica come donna - sembrano trattare la femminilità come un mero costrutto, piuttosto che come una realtà biologica». Ecco il punto, ecco il problema. Proprio quello su cui da giorni la stampa britannica insiste con puntiglio. «Le Olimpiadi non sono sicure per le donne», scrive Sarah Ditum su Unherd, giusto per fare un esempio. E conclude: «Imane Khelif ha sfatato il mito secondo cui il sesso è immateriale». Appunto: il sesso anche questione elevatissima e spirituale, culturale e senz’altro politica. Ma esiste una verità della carne e ignorarla significa mentire a sé stessi prima che agli altri. Poi, per carità, si può inveire contro le false notizie fabbricate da Putin, e ritenere che nei documenti del Cio risieda la verità assoluta: ognuno si illude come vuole. Ma a prescindere - come viene notato a destra e qualche volta pure sinistra - la questione riguardante i corpi androgini esiste eccome. Non è una discussione che si svolge sulla pelle della singola atleta e sulla sua identità complessiva, ma sui corpi che competono e come tali vanno sottoposti a verifica. È una discussione obbligata per un motivo semplice: se il testosterone non può rendere la complessità della donna, di sicuro non possono farlo i documenti. E mentre noi dibattiamo e ci avvitiamo sulle definizioni, sul ring qualcuna si prende un feroce pugno in faccia e in quel momento la verità le si manifesta in tutta la sua luminosa evidenza.