2021-07-07
La sinistra esalta Raffa, non la sua libertà
Raffaella Carrà (Getty Images)
Chi ora si appropria delle sue «trasgressioni» e i movimenti Lgtb che l'hanno eletta a icona oggi negano la femminilità orgogliosa che lei rappresentava. La sua non fu rivoluzione ma un dispettuccio al bacchettonismo. Una manciata di leggerezza che ci manca.Bene, ora anche Raffaella Carrà è stata celebrata urbi et orbi. Ancora qualche istante di commozione e poi il caschetto biondo verrà per sempre rinchiuso in un prigione d'ambra. La Carrà verrà mummificata - proprio lei che amava scatenarsi - nel polveroso sepolcro riservato ai santini laici. Nemmeno lei ha potuto sfuggire alla tendenza dominante, che prevede di normalizzare, deideologizzare e anestetizzare ogni figura di pur minima rilevanza storica, nell'errata convinzione che soltanto un ritratto asettico possa contribuire alla costituzione di una memoria comune.Walter Veltroni, ieri sul Corriere della Sera, ha in qualche modo fissato il canone. Ormai questo è il suo compito: non appena un divo muore, ecco che arriva Mr Crocodile Veltroni con lo sfavillante obituary. Ebbene, anche in questo caso Walter ha sfruttato la sua straordinaria vocazione alla medietà per stabilire quale debba essere la «versione ufficiale» sulla Carrà. Dovremmo ricordarla come colei che insegnò agli italiani «la libertà di vivere la propria vita come la si vuole», ovvero «ciò che ogni società dovrebbe permettere, rispettando e non tollerando, ogni comportamento non lesivo delle libertà altrui».Posto che attribuire a un paio di canzoni molto divertenti e molto ballabili il merito di aver sdoganato la libertà individuale in Occidente è quanto meno eccessivo, nella vulgata veltroniana mancano alcuni particolari non irrilevanti. Non si può dire, ad esempio, che la Carrà abbia dato il via, da sola, alla «liberazione sessuale». Quella è arrivata per altre vie, altre piazze, altre poesie e altra musica. Forse sarebbe più giusto affermare che Raffaella sia stata una sorta di tramite: portava al pubblico più impomatato della tv in bianco e nero un pizzico dell'energia sessuale, della sovversione dionisiaca che proveniva dai tumulti ormonali dei giovani d'allora. Con grazia aiutò la televisione (non gli italiani, cattolici compresi, che già lo conoscevano) a riscoprire il corpo, e probabilmente davvero ce n'era bisogno. Non fu proprio rivoluzione: più un dispettuccio al bacchettonismo.Ma diciamoci la verità. La sinistra che oggi s'appropria delle tute di Raffaella, all'epoca dei suoi ombelichi e dei suoi movimenti d'anca pensava a tutt'altro, almeno quella istituzionale. In parte anche i movimenti, più che agli addominali guizzanti e alle guaine delle ballerine, tenevano ai dolcevita dei cantautori, all'impegno totalizzante, alla demonizzazione del lustrino e dello sculettamento. Va bene, la Carrà dichiarò una volta, in Spagna, d'essere comunista. Un'altra volta - come ricorda Giorgio Cremaschi - invitò in studio operai in protesta. Ma rispetto ai progressisti d'allora, nuotava in tutt'altro, edonistico stagno. Negli anni successivi, manco a dirlo, la situazione è molto cambiata, ovviamente in peggio.In fondo, il motivo per cui la Carrà è piaciuta e piace ancora a tanti riguarda il rispetto dei limiti. Lei mostrava un po' di corpo, ma non troppo. Glorificava il divertimento, ma senza distruzione o autodistruzione. Era una manciata di leggerezza, meritata e corroborante. Oggi, però, non vediamo più ombelichi maliziosetti, bensì interi panorami anatomici. Sovraesponiamo, mercifichiamo, modifichiamo e mistifichiamo il corpo. I movimenti Lgbt che hanno eletto la Carrà a regina (nonostante lei sia stata una portabandiera piuttosto riservata), oggi sono pronti a negare la femminilità orgogliosa che lei rappresentava in nome dei diritti trans. Anzi, usano lustrini e caschetti per mettere in scena una caricatura del femminile quasi offensiva.Quest'uso smodato del corpo e della sessualità è l'approdo naturale della «liberazione sessuale», almeno di quella che i «liberal» hanno sottratto al dominio positivo delle forze naturali per consegnarla alla tecnica, agli spiriti selvaggi del mercato, alla commercializzazione. L'antico bacchettonismo, dal canto suo, si è ripresentato sotto forma di sessuofobia, di burocratizzazione del sesso e della sessualità, che oggi viene ricondotta a faccenda di carte bollate riconoscimenti giuridici, imprigionamenti concettuali. Sono, queste, due facce della stessa medaglia, due piante malate le cui radici erano già interrate nelle esibizioni tv della Carrà, ma che lei riusciva comunque - con gran lavoro di forbici - a liberare dalle escrescenze velenose.Di questi tempi il puritanesimo del gender s'accompagna alla pornificazione di massa. Lo spiegava già Julius Evola nella sua Metafisica del sesso: «La mancanza di pudore tende ad assumere i tratti di una cosa «naturale» e quasi casta, afunzionale, abituale e pressoché pubblica». L'oscenità permanente uccide il desiderio tramite quella che Jean Baudrillard chiamava «desessualizzazione generale». Ecco l'ambiguità di oggi: da un lato troviamo gli eccessi del «siamo tutti puttane»; dall'altro il furore censorio. In entrambi i casi, si sfocia nella meccanizzazione e poi e nella morte dell'eros. La leggiadra sfrenatezza evocata dalla formula magica «a far l'amore comincia tu» diviene caricatura dell'ebbrezza sulle terrazze romane da Grande bellezza. E ci è andata bene, perché se non l'avessero eletta icona gay, forse oggi la Raffa avrebbe subito qualche tagliuzzamento in nome del sessismo. Lei era energia e contegno: noi siamo esagerazione e burocrazia.E ovviamente non può mancare la grottesca contraddizione. Mentre giornali e tv celebrano i balli sbarazzini e fanno squillare le trombe per la potenza liberatrice dei vari tuca-tuca, l'amara realtà ci ricorda che in Italia il corpo è ancora in parte imbavagliato, il contatto umano demonizzato e che le discoteche (quelle che hanno contribuito a far ricca Raffaella) sono ancora, incredibilmente, chiuse. Serrate per i soliti motivi: ossessione per il corpo che si tramuta in religione della salute; puritanesimo snaturato che fa condannare i «luoghi del divertimento» con antico furore sovietico. La libertà di «vivere la propria vita come la si vuole» oggi è, più che mai, l'obbligo di vivere come altri hanno deciso. Nella Carrà, dunque, non celebriamo la libertà che abbiamo conquistato: rimpiangiamo quella che abbiamo perduto. Carramba, che sorpresa.
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