2022-08-08
La sinistra contro la democrazia: meglio il caos che i vincitori sgraditi
Enrico Letta e Nicola Fratoianni (Ansa)
Gustavo Zagrebelsky su «Repubblica» boccia il presidenzialismo: la proposta di Fdi potrebbe tradursi in un regime autoritario. Ovviamente, solo se a guidare il Paese fosse la destra, a cui il giurista preferisce l’ingovernabilità.Il supremo Gustavo Zagrebelsky, almeno su un punto, ha ragione. Per la precisione, dice il vero quando sostiene che gli italiani abbiano una vocazione alla servitù: «Esiste una nostra attitudine a servire il potente», spiegava ieri l’illustre giurista a Repubblica. «Un affrettarsi sul carro del vincitore che può rovesciarsi anche nel suo contrario, ossia nell’abbandonarlo precipitosamente ai primi segni di debolezza». Non v’è dubbio che sia così. Ciò che il colto Gustavo trascura di dire, però, è che tale abitudine al servilismo è stata elevata a sistema dall’attuale sinistra, come dimostra l’imbarazzante vicenda Draghi. Fateci caso: persino ora che il padrone se n’è andato (o si appresta ad andarsene), il Pd s’aggrappa alla sua «agenda»: se non si può servire l’originale, che si serva almeno il surrogato.Occorre però approfondire ulteriormente il discorso, perché non tutti servono allo stesso modo. Già in altre circostanze abbiamo avuto modo di scomodare Primo Levi e il concetto di «zona grigia» da lui dettagliato, e se lo riprendiamo è perché descrive perfettamente le condizioni della nostra nazione, e fornisce una formidabile chiave di lettura dell’intervista di Zagrebelsky. Nella zona grigia non esistono semplicemente un servo e un padrone, ma varie gradazioni di servitù. A seconda di come ci si colloca sulla scala del potere, si tende a vessare i sottoposti e ad essere viscidi e sottomessi a chi invece sta sopra.Così agiscono per lo più le sedicenti (e spesso indecenti) élite italiche. Al cospetto dello straniero, si prostrano. Poi però amano svillaneggiare e vessare i comuni cittadini, da loro considerati popolino. Il ragionamento del giurista Gustavo, in questo senso, è estremamente emblematico. Affermando che gli italiani sono servi, li dipinge come gente senza nerbo e dotata di scarso senso dell’onore. «Noi abbiamo questa pulsione ad adeguarci», dettaglia, «che può contagiare i poteri economici o l’informazione: non mancano gli esempi». Di nuovo, è verissimo. Di esempi in tal senso ce ne sono a profusione, e uno di questi lo fornisce proprio Repubblica, quotidiano che approva, sostiene e amplifica ogni fiato proveniente dalle alte sfere. E mentre s’inchina alla retorica ufficiale, che fa il bel giornalone? Ovvio: infierisce sui più deboli, in particolare coloro che hanno il brutto vizio di non obbedire. Che sia no vax, putiniano, fascista, populista, terrapiattista, omofobo o razzista, il comune cittadino che mostra dubbi sulle imposizioni del cosiddetto mainstream viene immediatamente bollato quale traditore e sovversivo, raccontato come un mentecatto e preso a male parole.Rieccoci nella zona grigia. Da una parte Repubblica (come del resto numerose altre blasonatissime testate) si prostrava a Draghi, ai capoccioni dell’Ue e agli amichetti di Washington. Dall’altra bastonava i ribelli e i renitenti, invocava censure e punizioni, pubblicava articoli in cui si accusavano i sovranisti di essere malati di mente o più genericamente disagiati. Come sempre, servitù e arroganza.Bastonate ai deboli e inchini ai più potenti: è l’antica tradizione italiana, una delle poche che ci ostiniamo a difendere. Zagrebelsky si è limitato a sintetizzarla con gusto d’accademico. E subito dopo aver scolpito la teoria, ne ha fornito una formidabile applicazione pratica. Una volta spiegato che gli italiani non sono dotati di grande nerbo, il professore è partito all’attacco della proposta di legge di Fratelli d’Italia sul presidenzialismo.«Io non sono contrario al modello presidenzialista in sé», ha snocciolato il nostro, «ma alle conseguenze che potrebbe avere in Italia». Già: non è contrario al modello, ma alla possibilità che alla presidenza venga eletto un rappresentante della destra. A suo dire, infatti, il presidenzialismo voluto da Giorgia Meloni potrebbe «tradursi in un regime autoritario sul genere di quello di Orban». Tutto chiaro? Se il capo dello Stato viene da sinistra e interviene nel gioco politico anche con mano pesante, non ci sono problemi. Se al governo finisce un banchiere o un tecnico appoggiato dal Pd che scavalca il Parlamento e impone norme liberticide, ancora tutto va bene. Ma se si rischia che al comando salga una donna di destra (o un uomo), allora sono guai.Sentite dove approda la riflessione del sommo intellettuale: «Gli italiani devono scegliere: se vogliono una democrazia con il vincitore - un regime autoritario alla Orbán - o una democrazia senza vincitori e vinti ma dove ogni parte politica, nella misura del consenso che ha ottenuto, lo spende in una dinamica quotidiana nel rispetto della partecipazione di tutti». Ah, ma pensa un po’. Quindi gli americani che eleggono il presidente vivono in un regime autoritario? Tesi singolare, troppo singolare. E infatti ha il doppio fondo: in realtà, Zagrebelsky dice che, piuttosto di avere un presidente sgradito, è meglio che dalle elezioni non escano vincitori. E se non escono vincitori, come sappiamo fin troppo bene, la politica perde terreno a favore dei soliti tecnici, dei comitati, delle cancellerie straniere e delle burocrazie europee. Certo: meglio che l’Italia non abbia un governo forte, poiché così potrà essere più facilmente eterodiretta.Ed ecco, come per magia, che il giochino si scopre fino in fondo: per Zagrebelsky - e per tanti altri intellettuali dem a lui pari - il problema non è che gli italiani siano troppo servi. Ma che servano il padrone sbagliato. Dunque meglio che dal voto scaturisca il caos: non sia mai che, per errore, l’Italia ritrovi un pizzico di sovranità.