2019-04-10
Sindacati e Boccia lanciano l’eurodelirio. Cedere tutte le leve agli Stati Uniti dell’Ue
Le sigle e Confindustria promuovono il voto in vista delle europee e firmano insieme un documento con pericolosi luoghi comuni.Il mantra «ci vuole più Europa» torna - più stanco e ripetitivo che mai - in un appello stilato e diffuso congiuntamente (si potrebbe quasi dire: intercambiabilmente) da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. Come un sol uomo, la trimurti sindacale e Confindustria si schierano su una linea eurolirica, di entusiasmo ben lontano dalle valutazioni di piccole e medie imprese, e lavoratori del privato (autonomi o dipendenti). Un numero enorme di sondaggi e analisi attesta il crescente scetticismo di larghe fasce dell'elettorato rispetto all'attuale Ue, alle sue rigidità, ai suoi parametri: ma nulla di ciò compare nell'appello sindacalconfindustriale. Il testo si apre con il consueto canestro di banalità. Nessun luogo comune manca all'appello: dalla «pace duratura nel nostro continente» (dimenticando i sanguinosi conflitti nell'ex Jugoslavia, con pesanti responsabilità europee) a un «progresso economico e sociale senza precedenti» (ignorando il fatto che, in altri continenti, tante nazioni conoscano oggi tassi di crescita assai maggiori). Ci si spiega che non bisogna «battere in ritirata» ma «rilanciare l'ispirazione originaria dei Padri e delle Madri fondatrici». E così, in omaggio al politicamente corretto, ecco la novità: ci sono anche le Madri fondatrici, con tanto di maiuscola. Immaginiamo la soddisfazione della penna (Cgil?) a cui si deve questa finezza stilistica. Il documento elenca le «enormi sfide» da affrontare: «globalizzazione senza regole, risorgere dei nazionalismi, tensioni internazionali, ridefinizione delle relazioni Ue-Uk, migrazioni, disoccupazione, prospettive per il futuro dei giovani, cambiamenti climatici, trasformazione digitale, crescita costante delle diseguaglianze economiche e sociali». Dopo di che, come una giaculatoria, come un rito, come un atto di fede, ci si fa capire che serve più Europa per affrontare tutto questo. Ma come, direte voi? L'Ue non ha combinato nulla su quei fronti (si pensi solo all'immigrazione), e ora dovrebbe essere il toccasana? Non ha funzionato in passato e dovrebbe magicamente farlo in futuro? Senza cambiamenti? Lasciando tutto com'è? Pare di sì. Il documento è perentorio: «Quelli che intendono mettere in discussione il Progetto (ndr: maiuscolo) europeo, vogliono tornare all'isolamento degli Stati nazionali, alle barriere commerciali, […] richiamando in vita gli inquietanti fantasmi del Novecento». Insomma, se avete qualche perplessità, fate schifo, vi fanno delicatamente capire la triplice sindacale e Confindustria. Che anzi alzano la posta: «Il progetto dell'Ue deve essere rilanciato nitido e forte in tutta la sua portata di civiltà. […] Abbiamo molto di cui essere orgogliosi. […] L'Europa deve proseguire il processo di integrazione, deve andare avanti, completare l'Unione economica, […], rafforzare la prospettiva dell'Unione politica». Insomma, se l'Ue non ha funzionato e non è piaciuta ai cittadini, dategliene di più. È un progetto di «civiltà»: quindi chi ha obiezioni dev'essere un po' meno civile. E sembra tornare - su scala europea - l'indimenticabile «fate presto» che anticipò e invocò l'arrivo di Mario Monti come salvatore della Patria. Stavolta bisogna correre a costruire il superstato Ue: «Urge accelerare il processo di integrazione europea, da perseguire anche se sarà necessario coinvolgere i Paesi membri in tappe e tempi diversi». E quest'Ue dev'essere proprio un paradiso se, in quattro pagine di appello, i guai compaiono appena in due righe («Le conseguenze economiche e sociali della crisi degli anni recenti e delle politiche di rigore pesano ancora sui cittadini, sui lavoratori e sulle imprese»). Tutto qui. Segue il rosario delle richieste, il consueto libro dei sogni: far passare a quindicenni e diciassettenni due settimane all'estero; politiche di coesione; politica industriale europea; politica estera comune (ignorando gli interessi divergenti e talora confliggenti, ad esempio tra Italia e Francia: si pensi al caso emblematico della Libia); e un piano straordinario per gli investimenti (cosa, quest'ultima, tanto predicata da Bruxelles quanto spesso impedita nei fatti ai singoli paesi). Più la nuova ossessione: l'armonizzazione fiscale, cioè un'omogeneizzazione forzata, che imporrebbe la stessa tassazione dalla Finlandia al Portogallo, inevitabilmente portandola al livello più elevato. Esattamente il contrario di ciò che serve: più competizione fiscale, affinché i Paesi a tassazione bassa fungano da modello per gli altri. Resta da segnalare ciò che non troverete nel documento. Nulla di significativo sulla riscrittura di regole e trattati (se non l'inquietante prospettiva di un ulteriore «trasferimento di sovranità»); né sulla messa in discussione dei parametri (a partire dal tetto del 3%); né sulle scelte sbagliate di austerity; né sul predominio franco-tedesco; né sulla mancanza di trasparenza e accountability davanti agli elettori da parte di organi di vertice (a partire dalla Commissione) nominati e non eletti. Ma devono essere sembrati «dettagli» agli estensori eurolirici del testo.