2023-04-24
Dalle culle vuote ai soldi da Bruxelles. Accuse in libertà contro il governo
Susanna Camusso e Mario Monti a Cernobbio nel 2012 (Ansa)
Per Maurizio Landini la denatalità è figlia di politiche sbagliate degli ultimi 20 anni ma Giorgia Meloni è comunque colpevole. Sul Piano di ripresa e resilienza la «Stampa» teorizza che, in caso di rinuncia, il nostro debito esploderebbe.Era meglio, per Maurizio Landini e stampa progressista, che invece di Elly Schlein fosse eletta a segretaria del Pd Agatha Christie: teorizzò che tre indizi fanno una prova. Una mela, più una mela, più una mela, però, non fanno una (Giorgia) Meloni, ma per sostenere che il centrodestra sia colpevole della qualunque sono disposti a fare una macedonia d’indizi che si contraddicono tra loro. Si arriva a vette altissime di sapienza economica: fare meno debiti col Pnrr, se ne viene restituita una parte significa, in realtà significa fare più debito. Si giunge a speculazioni sull’essenza del tempo che neppure Sant’Agostino nelle Confessioni; Maurizio Landini sostiene che non si fanno più figli a causa delle politiche sbagliate portate avanti dai governi degli ultimi venti anni, ma la colpa è comunque di questo governo che due giorni fa ha compiuto il suo primo semestre in carica. La confusione massima la fanno, poi, sulla famiglia, materia in cui non si muovono benissimo visto che fanno una zuppa tra uteri in affitto, anticoncezionali, diritto di asilo, pochi asili, genitore uno e due. Repubblica, ieri, titolava in prima pagina: «Il governo tradisce la famiglia». Il giornale di Maurizio Molinari aggiungeva: «Asili, sanità, affitti: i tagli previsti colpiscono il welfare. Il maxi bonus figli rischia di avere un costo altissimo: 88 miliardi». Non si capisce come un governo che destina 88 miliardi - all’incirca il 9% dell’intera spesa pubblica - alle famiglie possa danneggiarle.Forse a Repubblica sperano di trovare la pentola d’oro alla fine della famiglia arcobaleno, ma dovrebbero spiegare che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, intende azzerare le tasse per chi ha più di due figli. Si lasciano i soldi in tasca a mamma e papà (o meglio, così la capiscono anche loro: a genitore 1 e 2) così sono liberi di spenderli come meglio credono per portare avanti la famiglia e, magari, allargarla. Un principio perfettamente liberale visto che l’erario, poi, conta di rifarsi dello sgravio fiscale attraverso l’incremento di volume dell’economia. Ma forse il governo, agli occhi di lorsignori, ha un’altra responsabilità: se tagli il welfare, quelli che campano col cosiddetto «sistema Bibbiano» come tirano avanti? È un po’ come i migranti: se si mette sotto controllo l’accoglienza, i congiunti dell’onorevole Aboubakar Soumahoro o i soci di Salvatore Buzzi (che disse «il Pd era casa nostra»), come lucrano? Pure quelle sono famiglie. Maurizio Landini sostiene: «L’incentivo fiscale per combattere la denatalità è una presa in giro dei lavoratori». Neppure Tania Cagnotto, regina del carpiato con triplo avvitamento, ha fatto di meglio. Il capo della Cgil, il più grande sindacato di pensionati d’Italia, mentre annuncia lo sciopero del 6 maggio perché non va bene niente, sostiene nell’intervista a Repubblica che «la denatalità di oggi è il frutto di politiche sbagliate degli ultimi 15-20 anni. Ci sono meno figli perché siamo il Paese con il tasso di occupazione femminile più basso, la precarietà più alta, meno asili, meno scuole, meno servizi. Raccontare che si può invertire un processo così profondo con qualche incentivo fiscale significa prendere in giro le persone». Le politiche cui si riferisce Landini le hanno fatte e portate avanti Mario Monti con Elsa Fornero i quali, tenendo i nonni al lavoro, hanno azzerato il welfare famigliare; le hanno fatte Enrico Letta, Matteo Renzi che promise un milione di asili ma forse si riferiva ai permessi di soggiorno, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi, che raggiunse, con il 43,8%, il record di pressione fiscale nel nostro Paese. La sinistra accusa gli altri per quello che lei non ha fatto in tre lustri al potere. Ci sta. Soprattutto se si legge su La Stampa l’articolo di Alessandro Barbera. Un pezzo dove l’autore riesce a scrivere che «alcuni economisti, che preferiscono restare anonimi» - si capisce perché dal contenuto dell’articolo - hanno calcolato che, se l’Italia rinuncia al Pnrr, il debito pubblico esploderà. Barbera dimentica che i fondi del Pnrr sono interamente a debito: 69 miliardi di trasferimenti (da rimborsare senza interessi) e 127 miliardi a prestito (con tanto d’interessi). In totale fanno 196 miliardi di euro, pari a oltre il 7% del nostro stock. Dire che se non si sottoscrive in tutto o in parte la cambiale con l’Europa si aumenta il debito, è surreale. L’argomento che si porta è questo: il Pnrr produrrà un aumento del Pil; senza, l’economia sarà più debole. Il Def stima questo impatto così: Pil in crescita dell’1,5% quest’anno, poi del 2,1%, 2,8% e 3,2% fino al 2026. In totale, circa 11 punti percentuali considerando gli «aumenti composti». Il Pil è pari a 1.900 miliardi, l’11% fa 218 miliardi: considerando gli interessi, potrebbero non bastare a restituire il Pnrr. Ma spiegarlo a Barbera forse è complicato perché, quando si tratta di attaccare Meloni, anche i numeri dell’economia diventano opinioni.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)