2020-04-24
Siluro da 8,5 milioni di cartelle in arrivo a giugno grazie ai grillini
Ernesto Maria Ruffini (Ansa)
Un emendamento pentastellato al Cura Italia ha cancellato la proroga fiscale: a svelarlo è il presidente Ernesto Maria Ruffini. Il pasticcio è nato per far saltare la pace fiscale proposta dalla Lega. Per rimediare serve una nuova legge.Le anticipazioni sul documento mostrano una situazione drammatica. Esecutivo diviso: i 5 stelle pretendono il reddito di emergenza, Dario Franceschini soldi al turismo.Lo speciale contiene due articoliIl decreto Cura Italia, quello di metà marzo che ha dato il via a fatica ai bonus per gli autonomi e a breve dovrebbe consentire la cassa integrazione per il Covid-19, entra in Parlamento con un baco e ne esce con un enorme buco. Il testo così come redatto dal governo prevedeva una proroga di due anni per le attività di accertamento e di riscossione in capo all'Agenzia guidata da Ernesto Maria Ruffini, così apprezzato da Matteo Renzi da tornare una seconda volta alla direzione delle Entrate. Una scelta virtuosa se non avesse nascosta una fregatura. L'articolo 67 del decreto era così complesso che è stata necessaria una direttiva dell'Agenzia, la cui lettura ha tolto i dubbi. Il testo spiega come si devono comportare i contribuenti che hanno rottamato le cartelle o sono in fase di accertamento. L'oggetto è i primi chiarimenti sugli importi dovuti a seguito di accertamenti esecutivi dopo il decreto Cura Italia. In sostanza si spiega che il documento mette in frigorifero i giorni di decorrenza che ripartono una volta venuta meno la portanza del decreto stesso. Solo che, nella seconda parte della circolare, per l'ennesima volta viene calpestato lo Statuto del contribuente. Per fare ricorso i cittadini hanno avuto tempo fino al 15 aprile, mentre l'autorità fiscale può prendersi una pausa e intervenire nel procedimento soltanto a fine maggio. Tradotto, la proroga, di per sé buona, sarebbe finita con lo storpiare il processo tributario. Favorendo non certo il contribuente. Da lì l'opposizione è insorta e una volta arrivato in Senato, il decreto è stato riempito di emendamenti. La Lega ne ha presentato uno (il 67.0) per abolire la proroga e al tempo stesso inserire la pace fiscale tout court. La maggioranza è insorta e il governo ha rincarato la dosa: niente pace fiscale, le tasse si pagano tutte, al massimo in ritardo. A quel punto l'emendamento leghista cade ma viene sostituito da un altro emendamento dei 5 stelle (il 67.15) a firma Gianmauro Dell'Olio. Pure questo mira a eliminare la discrasia tra Agenzia e contribuenti e quindi a far saltare la proroga, ma non contiene alcuna pace fiscale. Così, il governo non fa scattare alcun alert e dice sì all'emendamento incriminato. Risultato: il testo esce così dal Senato e arriva alla Camera dove Giuseppe Conte mette la fiducia e blinda l'articolato. A tirare fuori l'inghippo è lo stesso direttore Ruffini mentre viene sentito in audizione a Montecitorio. «Per effetto delle misure previste dal Cura Italia, l'Agenzia delle entrate riscossione ha sospeso l'avvio alla fase di notifica di circa 3 milioni di cartelle di pagamento, riferite ai ruoli consegnati dagli enti creditori nel corso del mese di febbraio e di marzo, oltre a circa 2,5 milioni di atti della riscossione», ha comunicato Ruffini. Specificando però che lo stop per gli accertamenti vale fino a maggio, dopo di che senza la proroga di due anni per passare ai fatti, l'Agenzia «procederà a notificare 8,5 milioni di atti nei confronti dei contribuenti», tra avvisi bonari, comunicazioni, lettere di compliance. In pratica da giugno scatterà «l'obbligo» di agire, andando a bussare alla porta dei cittadini «nel caso salti la norma inserita nel dl Cura Italia». Il riferimento è proprio all'intervento dei 5 stelle e all'eliminazione della proroga. E qui Ruffini usa il veleno anche se la stoccata è comprensibile solo agli addetti ai lavori. Innanzitutto già sa del pasticcio commesso dal governo e dai 5 stelle e quindi gira il dito nella piaga aggiungendo anche un passaggio che ha fatto arrabbiare più di un commercialista. Ruffini, guardando alla conversione in legge del decreto, tiene a precisare come la proroga biennale sui termini di decadenza dell'attività sia una disposizione a «tutela dei contribuenti», mentre per l'Agenzia non ci sarebbero impedimenti tecnici per inviare milioni di notifiche entro la fine dell'anno. La prima è una stiletta per chi ha abrogato un articolo redatto più dall'Agenzia che dal Mef e messo apposta nel decreto per passare inosservato. Mentre la seconda parte della dichiarazione sembra quasi una minaccia. Un manager che ha appoggiato l'idea renziana di fisco amico via sms non dovrebbe mettere in campo tale potenza di fuoco in momento in cui le aziende collassano e le famiglie piangono i morti. L'Agenzia, chiarisce il direttore, «è perfettamente in grado» di passare alle notifiche entro le scadenze. Questo senza contare che «per l'anno ci sono altri 17 milioni di atti in capo alla Riscossione, di una fetta non trascurabile composta da cartelle». Come dire, o passa la nostra norma così come è oppure bussiamo subito alle porte degli italiani. Un rischio molto concreto. Sebbene il governo si sia accorto dell'errore si è ritrovato fuori gioco. Il voto di fiducia alla Camera era già stato fissato per ieri sera e per presentare un nuovo maxi emendamento servono almeno 24 ore di preavviso. «Così», commenta Giulio Centemero, deputato leghista, «era troppo tardi per intervenire e in ogni caso avrebbe significato un nuovo passaggio al Senato. Uno smacco enorme per il governo che pure di non ascoltare le nostre proposte ha finito con il tagliare il ramo su cui è seduto». Infatti, adesso c'è solo una possibilità per rimediare: inserire nel futuro decreto di aprile un articolo clone che proroghi di nuovo i tempi. Altrimenti le aziende appena uscite dalla quarantena saranno travolte dalle tasse. Bisognerà vigilare perché c'è un rischio diabolico. Il governo riproporrà la proroga scritta dal fisco di nuovo con lo sfalsamento del processo tributario. Così si tratterà di scegliere il male minore. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/siluro-da-8-5-milioni-di-cartelle-in-arrivo-a-giugno-grazie-ai-grillini-2645816762.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-disavanzo-sale-al-10-il-def-promette-55-miliardi-ma-ne-servono-almeno-160" data-post-id="2645816762" data-published-at="1587671286" data-use-pagination="False"> Il disavanzo sale al 10% Il Def promette 55 miliardi ma ne servono almeno 160 Gli italiani sfogliano il crisantemo, la margherita di questi tempi pare troppo: «Arriva o non arriva, più tasse e quante tasse?». Oggetto di queste angoscianti curiosità sono il decreto aprile annunciato e mai varato che dovrebbe dare un po' di soldi a un Paese agonizzante e il Def, documento di economia e finanza, che doveva essere presentato tassativamente il 10 aprile alle Camere. Roberto Gualtieri, ministro dell'Economia e primo relatore del Mes in Europa, non spiega il ritardo. Il contesto dice tutto, ha confidato ai suoi. È il dover fare i conti con una maggioranza che litiga su tutto con una frattura verticale tra pentastellati e Pd e una crisi senza precedenti: Pil a picco, si prevede -8% (ma per il 2021 si stima un rimbalzo del 4,7), rapporto debito Pil al 155% anche per effetto del decreto di aprile-maggio, che andrebbe ribattezzato Godot visto che non arriva, rapporto deficit/Pil del 10,4. In totale fanno 161 miliardi così scanditi: 55 miliardi del nuovo decreto, 30 di garanzie per le imprese da inserire nel decreto liquidità, 50 di ricapitalizzazione di Cassa depositi e prestiti, una trentina di spese indifferibili, interessi e via contando. Lo hanno precisato mercoledì notte in una riunione a via XX Settembre con, pare, anche parole grosse tra i diversi viceministri, i capi delegazione della maggioranza e lo stesso Gualtieri che voleva limitare al massimo le spese. La riunione con Alessandro Rivera, direttore del ministero, a fare da custode dell'ortodossia europea è finita oltre le due di notte e ha segnato una quasi alba tragica: chiedere al Parlamento altri 55 miliardi di scostamento del deficit a cui si aggiungono i 30 del decreto liquidità mai chiesti e tentare un coup de theatre per cancellare le clausole di salvaguardia per non parlare più di aumenti dell'Iva. C'è da crederci? Roberto Gualtieri ha annunciato così di voler trovare ulteriori 20 miliardi per quest'anno e 27 miliardi per il prossimo. Il Def avrà infatti un orizzonte solo biennale. Ma teniamo a mente che sommate le clausole fanno 47 miliardi. Roberto Gualtieri ha tentato in tuti i modi di limitare quei 55 miliardi. Era disposto a concederne dieci di meno. Ma ad alcuni della maggioranza già i 55 miliardi sembrano pochi. Glielo hanno contestato tanto i 5 stelle che vogliono soldi a pioggia con il reddito di emergenza quanto Italia viva che spinge per sostegni a imprese e partite Iva. Si annunciano nel decreto «Godot» aiuti per 10 miliardi alle srl al di sotto dei dieci dipendenti di cui 8 a fondo perduto e 2 per le bollette, 13 miliardi di rinnovo per la Cig, 12 miliardi per pagare un po' di debiti della pubblica amministrazione verso le imprese, un po' di interventi sul turismo. E ancora 7 miliardi per assicurare due mesi di sostegno agli autonomi, 6 miliardi per i Comuni, 1,8 miliardi tra colf e badanti a cui andranno assegni tra 200 e 400 euro e buoni baby sitter, 2,3 miliardi per gli ospedali e le terapie intensive, un miliardo e mezzo per la Protezione civile, oltre agli interventi per il cosiddetto reddito di emergenza che dovrebbe oscillare tra 500 e 800 euro a seconda del quoziente familiare. Almeno questo è il quadro che è uscito a notte fonda dalla riunione di Gualtieri, Rivera ed esponenti di maggioranza. Con questi conti il ministro dell'Economia è salito da Giuseppe Conte che voleva riunire ieri i ministri prima del vertice europeo. Quando hanno tirato le somme l'ordine del giorno si è trasformato in un crisantemo da sfogliare. Servono 161 miliardi e non sanno dove trovarli. C'è bisogno di un vertice di maggioranza prima di varare il decreto aprile/maggio perché forse bisogna limare. Dunque Consiglio dei ministri rinviato a tarda serata, poi tutto rimandato a data da destinarsi. Oggi Conte vedrà la maggioranza per capire che aria tira, poi probabilmente sabato riunirà il governo. E il nuovo decreto aprile non si vedrà fino alla prossima settimana. Ovviamente di coinvolgere le minoranze nemmeno a parlarne. Perché c'è un altro interrogativo a cui dal Mef non rispondono: nello scostamento di bilancio sono o no comprese le clausole di salvaguardia? Perché se gli interventi anti Covid spesano quelle previste per quest'anno, dei 55 miliardi ne resterebbero spendibili solo 35. Perciò c'è molto nervosismo nella maggioranza. I partiti chiedono più coinvolgimento e la viceministra all'economia Laura Castelli (5 stelle) ha posto il veto su tutto se non passa un assegno da almeno 500 euro per il reddito di emergenza e di rimando Dario Franceschini (Pd) vuole più soldi per il turismo. Tocca a Federico D'Incà, ministro dei rapporti con il Parlamento, reggere l'urto in attesa che dal Mef escano tabelle più precise. I conti infatti non tornano e il decreto Godot non si vede. In attesa gli italiani sfogliano il crisantemo.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)