2024-07-17
Anche la Silicon Valley molla Biden. Il tycoon fa il pieno di finanziamenti
Elon Musk (che ha promesso 45 milioni di dollari al mese) e numerosi altri capi delle big tech statunitensi hanno aperto il portafoglio per sostenere il candidato repubblicano. Delusi da regolamenti e tasse dem.Anche i titani della Silicon Valley si riposizionano in vista del voto di novembre e dirottano le donazioni a sostegno di Donald Trump e del suo vice J.D. Vance. Lo ha rivelato ieri un articolo del Financial Times dove si citano numerosi capi delle big tech americane che hanno aperto il portafoglio per il super comitato elettorale America Pac che si occupa della registrazione degli elettori e di convincere gli indecisi a votare in anticipo o per posta, soprattutto negli Stati in bilico. Secondo la documentazione depositata presso la Federal election commission, il comitato ha incassato 8,8 milioni di dollari e ne ha spesi 7,8 milioni tra la sua fondazione e la fine di giugno, ritrovandosi con poco meno di 1 milione di dollari in contanti a disposizione. Trump vede così aumentare la platea dei donatori e comincia ad avere una sua legacy, una sua struttura di supporter anche finanziari che lo rendono più solido proprio adesso che sembra avere meno bisogno di radicalizzazioni per vincere.Nella lista citata dal Ft ci sono il co-fondatore di Palantir technologies, Joe Lonsdale, il pioniere del venture capital, Doug Leone, i gemelli Winklevoss (Cameron e Tyler, ndr), il partner di Sequoia, Shaun Maguire, e il fondatore di Valor equity partners, Antonio Gracias. Anche il colosso del carbone Joe Craft, amministratore delegato di Alliance resource partners, e Jimmy John Liautaud, il fondatore della catena di panini Jimmy John’s, hanno donato un milione di dollari ciascuno, mentre Cameron e Tyler Winklevoss hanno donato 250.000 dollari ciascuno, come mostrano i documenti. La Silicon Valley è stata a lungo considerata una delle regioni più liberali degli Stati Uniti, ma alcuni manager, delusi dalle posizioni di Joe Biden su regolamentazione e tasse, si sono spostati a destra. Attratti da Trump che, a sua volta, ha promesso di proteggere la libertà di parola e sostenere l’industria delle criptovalute. Non a caso, il bitcoin è balzato ai massimi da due settimane e ieri anche il numero uno di Blackrock, Larry Fink, l’ha definito «oro digitale» riconoscendo di essersi sbagliato cinque anni fa quando era molto scettico sui ritorni di questo tipo di investimento.Tornando alla lista dei nuovi finanziatori, anche il miliardario degli hedge fund, Bill Ackman, ha detto sabato che avrebbe «formalmente» appoggiato l’ex presidente. The Donald ha scelto come suo vice proprio un ex venture capitalist come Vance, che ha lavorato per il fondo di rischio Mithril capital di Peter Thiel a San Francisco tra il 2015 e il 2017 e, successivamente, per il fondo di rischio Revolution con sede a Washington, fondato dall’amministratore delegato di Aol, Steve Case. Thiel, ricorda il quotidiano della City, ha donato 15 milioni di dollari per sostenere la corsa al Senato di Vance nel 2022 attraverso una donazione al Protect Ohio values Pac. Jacob Helberg, dirigente della Palantir, ha affermato che Vance è «una prima scelta pro-tecnologia e pro-America». Vance ha anche lanciato la sua società di venture capital Narya capital nel 2020 con il sostegno di Thiel, del co-fondatore di Andreessen Horowitz, Marc Andreessen, dell’investitore in start-up, Scott Dorsey, e dell’ex amministratore delegato di Google, Eric Schmidt. E ancora: il venture capitalist David Sacks, che il mese scorso ha ospitato una raccolta fondi nella sua casa di San Francisco dove Vance ha presentato Trump, lunedì ha parlato alla Convention repubblicana a Milwaukee. Keith Rabois, capo di Khosla Ventures, ha detto al Ft che donerà anche un milione di dollari per sostenere Trump.In affari con molti dei donatori della Silicon Valley è Elon Musk. Che, secondo il Wall Street Journal, ha deciso di donare 45 milioni di dollari al mese al nuovo comitato elettorale di Trump. Stando ai documenti pubblici, Musk non aveva ancora effettuato donazioni al super comitato alla fine dello scorso mese, mentre non è chiaro se abbia già inviato denaro a luglio. Quel che è certo è che il patron di Tesla e X non avrà problemi a finanziare la campagna di Trump. Musk può attingere, infatti, dal suo vasto patrimonio, pari a circa 264 miliardi di dollari al 15 luglio. Una fortuna che nel 2024 è cresciuta di quasi 35 miliardi. L’endorsement del magnate al candidato repubblicano lo rende l’unico interlocutore tra governo Usa e piattaforme social. Il fondatore di Tesla sa anche che chi guiderà la Casa Bianca influenzerà il futuro della mobilità elettrica e dei suoi mega progetti spaziali (con i satelliti di Starlink e SpaceX).C’è poi chi fa un ragionamento diverso da quello di Musk ma che, comunque, deve essere pronto rivedere la propria strategia industriale in vista di una possibile sconfitta di Joe Biden. Come la ceo del colosso General motors, Mary Barra, che ha ridimensionato i piani dell’azienda sui veicoli elettrici non solo in risposta al rallentamento della crescita per i modelli plug-in elettrificati tanto negli Usa quanto in Europa ma anche per essere pronta al ritorno al motore tradizionale e, quindi, allo stop dei sussidi statali con la possibile inversione di marcia che il ticket Trump-Vance sull’elettrico. Intanto, Barra ha spiegato che Gm non sarà in grado di avere la capacità produttiva per realizzare un milione di veicoli elettrici entro la fine del prossimo anno, rinunciando a un obiettivo che il gruppo aveva fissato negli anni scorsi. Giovedì scorso l’amministrazione Biden ha annunciato l’assegnazione a General motors e a Stellantis di circa 1,1 miliardi di dollari in sovvenzioni proprio per convertire gli impianti esistenti alla produzione di veicoli elettrici. Ma con Trump alla Casa Bianca sarebbe tutta un’altra musica.
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.