2021-10-21
Sigarette, l’Oms non nega un favore alla Cina
A novembre si tiene la Cop9, conferenza che stabilirà linee guida e politiche internazionali sul tabacco. L’organismo propenso a equiparare i nuovi modelli di fumo alle bionde tradizionali. Contro l’opinione della scienza ma in linea con il business di PechinoFumo, sanità, Oms e geopolitica. Tutto in un solo convegno. Tra poche settimane, dall’8 al 13 novembre, si terrà la Cop9, la nona edizione della conferenza chiamata a stabilire le linee guida e le politiche internazionali relative al tabacco. A organizzarla e dettarne l’agenda è l’Oms; a partecipare, chiamati a votare le prossime strategie, saranno i rappresentanti di 180 Paesi. Sul tavolo, anzi sullo schermo dei delegati (la manifestazione sarà virtuale), arriveranno due rapporti dedicati ai prodotti di nuova generazione: contengono alcune misure che, se approvate, rischiano di spegnere qualsiasi spinta in avanti del settore. Di cancellare le differenze, equiparare le classiche bionde alle soluzioni tecnologiche come le sigarette elettroniche o i dispositivi che scaldano il tabacco senza bruciarlo. Si tratta di un approccio ritenuto da più parti antistorico, contrario a quanto sta avvenendo in molte nazioni del mondo; una visione distante dalle conclusioni presenti in numerosi studi scientifici, che riconoscono alle alternative alle sigarette la capacità di porsi, quantomeno, come una alternativa per chi non riesce o non vuole smettere di fumare. Enti governativi quali la Public health England britannica (ha messo nero su bianco che le sigarette elettroniche sono del 95% meno nocive delle tradizionali), la Food and drug administration degli Stati Uniti, organismi equivalenti olandesi, tedeschi o giapponesi, da tempo vedono nei prodotti senza combustione la potenzialità di ridurre l’assunzione di sostanze tossiche presenti nel fumo, introducendo regolamenti e tassazioni più favorevoli. Tre giorni fa, un gruppo internazionale di 100 esperti e scienziati, tra cui l’oncologo italiano Umberto Tirelli, ne ha preso atto: ha scritto una lunga lettera aperta ai partecipanti alla conferenza chiedendo loro un gesto di consapevolezza. Di tenere in considerazione tali esperienze ed evidenze.C’è un «bisogno urgente di ridurre le morti del fumo» e per riuscirci occorre «sfidare l’Organizzazione mondiale della sanità a modernizzare il suo approccio», si legge in grassetto in apertura della lettera. Che già al primo punto sancisce: «La riduzione del rischio presenta significative opportunità di salute pubblica», poi ricorda la capacità della sigaretta elettronica di aiutare a smettere di fumare, ne sfata i luoghi comuni, scava e smantella tanti degli argomenti che l’Oms agita per giustificare le sue coriacee diffidenze. Il testo va giù pesante: «L’Oms sta scartando una strategia che potrebbe scongiurare milioni di morti». Una dose minima di memoria storica aiuta a ricordare che non sempre è andata così. Che quando le argomentazioni a favore del fumo alternativo erano persino più fragili e le ricerche agli albori, lo si benediva e incoraggiava. Nel 2015, in uno studio interno, l’organizzazione sanciva esattamente quanto sollevato dai 100 esperti che hanno fatto sentire la loro voce: «Lo sviluppo di nuovi prodotti del tabacco che sono meno tossici o che creano meno dipendenza potrebbe essere una componente di un approccio globale per ridurre i decessi e le malattie legate al tabacco, in particolare tra i consumatori che non sono disposti a smettere o non sono in grado di interrompere la loro dipendenza».Sei anni più tardi, mentre in varie aree più aperte alla tecnologia il numero delle bionde vendute è calato (senza scomodare i record del Giappone o del Regno Unito, si pensi che in Italia il dato è sceso del 6,9% dal 2017, al di là delle questioni fiscali e dei prezzi), è rilevante esaminare quanto sta accadendo nel mercato principe del settore: la Cina. Qui i fumatori sono 250 milioni, più del doppio rispetto a 112 milioni dell’Ue, oltre 6 volte rispetto ai 40 milioni degli Usa. E la sigaretta elettronica non ha fatto presa, è riuscita a ritagliarsi una quota ampiamente minoritaria del consumo complessivo: si stima che gli utilizzatori siano 10 milioni, un venticinquesimo dei fumatori. La ragione di tale ritardo potrebbe essere di carattere normativo: negli ultimi anni, a differenza di altre nazioni occidentali, il governo di Pechino non ha pensato di attivare alcun intervento per limitare le sigarette tradizionali. Forse perché avrebbe finito per penalizzare sé stesso, visto che la quasi totalità dell’enorme mercato domestico è in mano alla «China national tobacco company», una società sotto il controllo statale. Anzi, Pechino starebbe ora valutando di incrementare del 400% le accise sul vaping: un modo per dare un colpo mortale a un settore dalla crescita costante, seppure non travolgente come altrove.L’equiparazione tra le classiche sigarette e i dispositivi di nuova generazione è la medesima via che l’Organizzazione mondiale della sanità intende affermare durante la Cop9. Magari, chissà, per benedire la traiettoria di uno dei suoi principali investitori, la Cina per l’appunto, che solo nel biennio 2018/2019 ha contribuito alle casse dell’Oms con fondi per 89 milioni di euro. Peraltro, l’assimilazione delle sigarette elettroniche e del tabacco riscaldato alle sigarette tradizionali suonerebbe come un affronto diretto al quadro regolatorio europeo, dove vige una chiara distinzione tra i prodotti con e senza combustione. Il voto di Pechino, che storicamente si trascina dietro le scelte di varie nazioni amiche, sarà rivelatore: capiremo meglio se nella nube del fumo del futuro si celano interessi economici e il solito braccio di ferro geopolitico. D’altronde, basta andare indietro di due anni per vedere come l’Oms si sia comportata con i cinesi e il nodo di Wuhan. Le reticenze sono state notevoli nonostante un tema così bollente come quello della pandemia. Figuriamoci che cosa può accadere se i riflettori dei media internazionali non sono nemmeno accesi.
(Guardia di Finanza)
Nei giorni scorsi, militari del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Napoli, nell’ambito delle attività di controllo economico del territorio e di contrasto ai traffici illeciti, hanno sequestrato, a Lettere, 142 kg. di infiorescenze di cannabis già pronte per il confezionamento e la vendita, oltre a 5.750 piante in essicazione e 390 piante in avanzato stato di vegetazione e maturazione, per un peso complessivo di oltre 1.000 kg., nonché denunciato un soggetto incensurato per produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti.
In particolare, i finanzieri della Compagnia Castellammare di Stabia hanno individuato, sui Monti Lattari, un capannone strutturato su due livelli, convertito in laboratorio per la lavorazione di cannabis. Il manufatto era dotato di una rete di fili di ferro al soffitto, essiccatoi e macchinari di separazione. All’interno della serra sono state rinvenute le piante in vegetazione, incastonate tra fili di nylon per sostenerne la crescita e alimentate con un percorso di irrigazione rudimentale.
Dai riscontri delle Fiamme Gialle è emerso che la produzione era destinata al consumo di droghe per uso personale dato che, nel prodotto finito, risultavano già separate le infiorescenze dalla parte legnosa, pronte per il confezionamento in dosi.
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Nel riquadro Carlotta Predosin, esperta in sicurezza del patrimonio artistico (IStock)