2021-11-26
Ok ai sieri per i piccoli testati solo su 1.305
Via libera dell'Ema all'iniezione per gli under 12, sperimentata su pochissimi soggetti. Fda critica: difficile quantificare i rischi di miocardite. Ma l'Agenzia europea si limita a un surreale «siamo fiduciosi». Atteso la prossima settimana anche il sì dell'Aifa.Astrazeneca darebbe maggiore protezione agli anziani rispetto a Pfizer: meno over 65 ricoverati in Uk.Lo speciale contiene due articoli.Rassicurati dalla sperimentazione positiva su 2.000 bambini di età compresa tra i cinque e gli undici anni, gli scienziati dell'Ema hanno deciso di autorizzare la vaccinazione per quasi 40 milioni di piccoli europei. Non manca certo il coraggio, all'agenzia europea che vigila sui farmaci. Come non manca all'Aifa, il suo omologo italiano, che la prossima settimana si riunirà per fare «una propria valutazione» della scelta dell'Ema, che tutti si aspettano perfettamente allineata. A quel punto, anche ufficialmente, potrà partire la campagna di vaccinazione dei bambini di scuole primarie e medie (indicativamente), con la promessa del governo Draghi che almeno a loro verrà risparmiato il green pass. Sotto l'evidente pressione dell'aumento dei contagi in tutta Europa, l'Ema ha dunque rotto gli indugi e ieri ha raccomandato ufficialmente di vaccinare anche i ragazzini nella fascia d'età 5-11. Se si tiene conto che per Eurostat nel Vecchio continente ci sono 79 milioni di ragazzi e bambini sotto i 14 anni, significa che almeno la metà di loro verrà spinta a vaccinarsi contro il Covid. Secondo l'Ema, i benefici della vaccinazione superano i rischi e gli effetti indesiderati nei bambini sarebbero assai simili a quelli riscontrati finora negli adulti, ovvero dolori al braccio o dove è avvenuta l'iniezione, stanchezza generale, mal di testa, arrossamento e gonfiore della zona della puntura, dolori muscolari e brividi. Si tratta, insomma, di effetti generalmente modesti e che passano nel giro di pochi giorni. Colpiscono, per ora, i numeri modesti della sperimentazione sui bambini. L'Ema riporta uno studio su poco meno di 2.000 soggetti tra i 5 e gli 11 anni, dal quale risulta che su 1.305 bambini che hanno ricevuto il vaccino (gli altri hanno avuto il placebo) solo in tre hanno sviluppato il Covid-19 rispetto ai 16 dei 663 bambini a cui invece è stato somministrato un semplice placebo. Significa che, in base a questo studio, il vaccino è stato efficace al 90,7% nel prevenire il Covid-19 sintomatico. Un altro studio citato da Ema ha inoltre mostrato che la risposta immunitaria a Comirnaty (Pfizer-BioNtech) somministrata a una dose più bassa (10 milligrammi) in un gruppo tra i 5 e gli 11 anni di età ha la medesima forza della dose più alta (30 milligrammi) assunta da giovani tra i 16 e i 25 anni. La mossa dell'Agenzia europea, che arriva in una fase delicata e con il Natale alle porte, non convince però una virologa che ha dimostrato grande autonomia come Maria Rita Gismondo. La direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica dell'ospedale Sacco di Milano, rileva che «al momento non ci sono dati sufficienti per poter avvalorare la scelta del vaccino anti-Covid nella fascia d'età 5-11 anni, anche perché non ci sono dati validi sul rapporto rischio-beneficio». «Questo lo dico ovviamente per i bambini in buona salute», aggiunge Gismondo, «perché per i fragili il discorso è diverso e tutti loro, di qualsiasi età, dovrebbero essere vaccinati, anche obbligatoriamente». Se si guarda fuori dai confini europei, i profeti della vaccinazione di massa dei bambini sono gli Stati Uniti (sempre tra 5 e 11 anni di età), dove la raccomandazione della Casa Bianca è del 2 novembre e il 10% ha già ricevuto la prima dose. Eppure, in un rapporto del 26 ottobre, la Fda riteneva «il numero dei partecipanti ai test clinici troppo basso per la rilevazione dei potenziali rischi di miocarditi associati alla vaccinazione». La pensa diversamente Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici Covid-19 dell'Ema: «Tremila soggetti sono la dimensione standard per verificare i vaccini. Ma è importante proseguire il monitoraggio del vaccino ai bambini, presto avremo i dati dagli Stati Uniti e Israele, e verificheremo eventuali eventi avversi come le miocarditi. Ma siamo fiduciosi che vedremo meno incidenza nei bambini piccoli». Nessuna certezza quindi, ma solo «fiducia» da parte degli esperti Ema, sui rischi che potrebbero correre milioni di piccoli. E, pure in Italia, il via libera è questione di giorni. L'Aifa si riunirà tra mercoledì e venerdì prossimi e di certo non deluderà le aspettative del governo. Come ha anticipato mercoledì dal ministro Speranza, la Pfizer dovrebbe consegnarci le dosi pediatriche di vaccino entro la terza decade di dicembre. Solo da allora potrà iniziare la campagna anche nella fascia 5-11 anni. La casa farmaceutica americana ha sperimentato il dosaggio ridotto su 2.268 bambini dai 5 agli 11 anni: due terzi hanno ricevuto la doppia dose del vaccino a tre settimane di distanza; agli altri sono state iniettate due dosi di placebo. Lo studio non era abbastanza ampio per ottenere delle conclusioni sulla capacità del vaccino di prevenire la malattia o il ricovero (vista la bassa frequenza di questi eventi nei bambini), e allora i ricercatori della Pfizer hanno misurato la risposta immunitaria partendo dal presupposto che i livelli protettivi di anticorpi osservati nelle persone adulte siano altrettanto efficaci nei bambini. È così che si è rilevato che per gli under 12 bastano 10 milligrammi. Per evitare errori di somministrazione, la fiala avrà un cappuccio arancione e un'etichetta con la scritta «solo per bambini».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sieri-piccoli-testati-solo-1305-2655799700.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-rivincita-di-astrazeneca-sullue-piu-efficace-di-pfizer-sugli-anziani" data-post-id="2655799700" data-published-at="1637913168" data-use-pagination="False"> La rivincita di Astrazeneca sull’Ue: «Più efficace di Pfizer sugli anziani» Dopo tante polemiche, potrebbe essere l'ora del riscatto per il vaccino Astrazeneca, quello che al di là della Manica chiamano orgogliosamente «Oxford», perché ha visto la luce nei laboratori della prestigiosa università. Secondo una ricerca appena diffusa, questo vaccino offrirebbe una immunità più durevole rispetto agli altri e ciò spiegherebbe perché nel Regno Unito, che ne ha fatto ampio uso, la quarta ondata del Covid non stia facendo danni come in Europa. A segnalare la cosa è stato il quotidiano Telegraph, che ha riportato le dichiarazioni di Pascal Soriot, direttore esecutivo di Astrazeneca, secondo il quale la scelta del governo Johnson di offrire il vaccino Astrazeneca alle persone anziane (In Italia è stato preferito lo Pfizer) potrebbe essere «una delle ragioni per cui non ci sono così tanti ricoveri in ospedale rispetto all'alto numero di contagi». Per sostenere questa affermazione l'azienda farmaceutica sta preparando una statistica che sarà diffusa a breve, ma ha già lasciato trapelare qualche dettaglio, come ad esempio il fatto che l'immunità a lungo termine sarebbe assicurata dalle cellule T, che durano e proteggono dal virus anche quando gli anticorpi riducono il loro potere. Sui benefici dei linfociti T negli ultimi mesi erano state date conferme da diverse ricerche, che hanno confermato come assolvano al compito di riconoscere le cellule infettate dal virus, legarsi ad esse ed eliminarle, evitando che il paziente peggiori. Un risultato interessante, che ha suscitato forse qualche rammarico in altri paesi, tra cui Francia, Germania, Spagna e Belgio, che hanno deciso di somministrare l'Astrazeneca solo a persone sotto i 65 anni, perché non c'erano dimostrazioni che funzionasse adeguatamente sugli anziani, e lo hanno poi evitato per i troppi giovani, a causa del pericolo di trombi. Negli uffici di Downing Street molti si compiacciono, visto che la decisione di utilizzare questa casa farmaceutica per gli anziani, in anticipo su tutti gli altri, sembra aver avuto conseguenze positive. Secondo gli scienziati inglesi, l'affermazione di Soriot sarebbe plausibile e potrebbe davvero spiegare come mai il tasso di ricoveri in Gran Bretagna non è così elevato come altrove. Il dottor Peter English, già membro del comitato Bma per la salute pubblica, sostiene che le persone che hanno nel proprio sistema immunitario la presenza di cellule T, ma non tanti anticorpi, potrebbero essere a rischio di contagiarsi più degli altri ma avrebbero meno probabilità di sviluppare la malattia in modo grave. A fargli eco anche la professoressa Eleanor Riley, docente di immunologia e malattie infettive a Edimburgo, che cita diverse ricerche in base alle quali il vaccino Astrazeneca fornisce un numero significativo di linfociti T mentre i vaccini mRNA come lo Pfizer hanno per effetto soprattutto la produzione di anticorpi. Di fronte a queste indicazioni scientifiche, Steve Baker, esponente dei Tory, invita i politici europei a fare ammenda per aver tanto criticato Astrazeneca e si chiede se questo loro atteggiamento non abbia messo a rischio molte vite. La risposta degli anticorpi ha infatti una reazione immediate al virus, mentre i linfociti T arrivano dopo, ma agiscono per un tempo superiore e permettono al corpo di ricordare come difendersi contro il «nemico». Tanto che qualcuno in Gran Bretagna comincia a sostenere che per i cittadini che hanno ricevuto il vaccino Oxford forse la terza dose non sarebbe ancora necessaria.