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2021-11-26
Ok ai sieri per i piccoli testati solo su 1.305
Ansa
Rassicurati dalla sperimentazione positiva su 2.000 bambini di età compresa tra i cinque e gli undici anni, gli scienziati dell'Ema hanno deciso di autorizzare la vaccinazione per quasi 40 milioni di piccoli europei. Non manca certo il coraggio, all'agenzia europea che vigila sui farmaci. Come non manca all'Aifa, il suo omologo italiano, che la prossima settimana si riunirà per fare «una propria valutazione» della scelta dell'Ema, che tutti si aspettano perfettamente allineata. A quel punto, anche ufficialmente, potrà partire la campagna di vaccinazione dei bambini di scuole primarie e medie (indicativamente), con la promessa del governo Draghi che almeno a loro verrà risparmiato il green pass.
Sotto l'evidente pressione dell'aumento dei contagi in tutta Europa, l'Ema ha dunque rotto gli indugi e ieri ha raccomandato ufficialmente di vaccinare anche i ragazzini nella fascia d'età 5-11. Se si tiene conto che per Eurostat nel Vecchio continente ci sono 79 milioni di ragazzi e bambini sotto i 14 anni, significa che almeno la metà di loro verrà spinta a vaccinarsi contro il Covid. Secondo l'Ema, i benefici della vaccinazione superano i rischi e gli effetti indesiderati nei bambini sarebbero assai simili a quelli riscontrati finora negli adulti, ovvero dolori al braccio o dove è avvenuta l'iniezione, stanchezza generale, mal di testa, arrossamento e gonfiore della zona della puntura, dolori muscolari e brividi. Si tratta, insomma, di effetti generalmente modesti e che passano nel giro di pochi giorni. Colpiscono, per ora, i numeri modesti della sperimentazione sui bambini. L'Ema riporta uno studio su poco meno di 2.000 soggetti tra i 5 e gli 11 anni, dal quale risulta che su 1.305 bambini che hanno ricevuto il vaccino (gli altri hanno avuto il placebo) solo in tre hanno sviluppato il Covid-19 rispetto ai 16 dei 663 bambini a cui invece è stato somministrato un semplice placebo.
Significa che, in base a questo studio, il vaccino è stato efficace al 90,7% nel prevenire il Covid-19 sintomatico. Un altro studio citato da Ema ha inoltre mostrato che la risposta immunitaria a Comirnaty (Pfizer-BioNtech) somministrata a una dose più bassa (10 milligrammi) in un gruppo tra i 5 e gli 11 anni di età ha la medesima forza della dose più alta (30 milligrammi) assunta da giovani tra i 16 e i 25 anni.
La mossa dell'Agenzia europea, che arriva in una fase delicata e con il Natale alle porte, non convince però una virologa che ha dimostrato grande autonomia come Maria Rita Gismondo. La direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica dell'ospedale Sacco di Milano, rileva che «al momento non ci sono dati sufficienti per poter avvalorare la scelta del vaccino anti-Covid nella fascia d'età 5-11 anni, anche perché non ci sono dati validi sul rapporto rischio-beneficio». «Questo lo dico ovviamente per i bambini in buona salute», aggiunge Gismondo, «perché per i fragili il discorso è diverso e tutti loro, di qualsiasi età, dovrebbero essere vaccinati, anche obbligatoriamente». Se si guarda fuori dai confini europei, i profeti della vaccinazione di massa dei bambini sono gli Stati Uniti (sempre tra 5 e 11 anni di età), dove la raccomandazione della Casa Bianca è del 2 novembre e il 10% ha già ricevuto la prima dose. Eppure, in un rapporto del 26 ottobre, la Fda riteneva «il numero dei partecipanti ai test clinici troppo basso per la rilevazione dei potenziali rischi di miocarditi associati alla vaccinazione».
La pensa diversamente Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici Covid-19 dell'Ema: «Tremila soggetti sono la dimensione standard per verificare i vaccini. Ma è importante proseguire il monitoraggio del vaccino ai bambini, presto avremo i dati dagli Stati Uniti e Israele, e verificheremo eventuali eventi avversi come le miocarditi. Ma siamo fiduciosi che vedremo meno incidenza nei bambini piccoli». Nessuna certezza quindi, ma solo «fiducia» da parte degli esperti Ema, sui rischi che potrebbero correre milioni di piccoli. E, pure in Italia, il via libera è questione di giorni. L'Aifa si riunirà tra mercoledì e venerdì prossimi e di certo non deluderà le aspettative del governo. Come ha anticipato mercoledì dal ministro Speranza, la Pfizer dovrebbe consegnarci le dosi pediatriche di vaccino entro la terza decade di dicembre. Solo da allora potrà iniziare la campagna anche nella fascia 5-11 anni. La casa farmaceutica americana ha sperimentato il dosaggio ridotto su 2.268 bambini dai 5 agli 11 anni: due terzi hanno ricevuto la doppia dose del vaccino a tre settimane di distanza; agli altri sono state iniettate due dosi di placebo. Lo studio non era abbastanza ampio per ottenere delle conclusioni sulla capacità del vaccino di prevenire la malattia o il ricovero (vista la bassa frequenza di questi eventi nei bambini), e allora i ricercatori della Pfizer hanno misurato la risposta immunitaria partendo dal presupposto che i livelli protettivi di anticorpi osservati nelle persone adulte siano altrettanto efficaci nei bambini. È così che si è rilevato che per gli under 12 bastano 10 milligrammi. Per evitare errori di somministrazione, la fiala avrà un cappuccio arancione e un'etichetta con la scritta «solo per bambini».
La rivincita di Astrazeneca sull’Ue: «Più efficace di Pfizer sugli anziani»
Dopo tante polemiche, potrebbe essere l'ora del riscatto per il vaccino Astrazeneca, quello che al di là della Manica chiamano orgogliosamente «Oxford», perché ha visto la luce nei laboratori della prestigiosa università. Secondo una ricerca appena diffusa, questo vaccino offrirebbe una immunità più durevole rispetto agli altri e ciò spiegherebbe perché nel Regno Unito, che ne ha fatto ampio uso, la quarta ondata del Covid non stia facendo danni come in Europa.
A segnalare la cosa è stato il quotidiano Telegraph, che ha riportato le dichiarazioni di Pascal Soriot, direttore esecutivo di Astrazeneca, secondo il quale la scelta del governo Johnson di offrire il vaccino Astrazeneca alle persone anziane (In Italia è stato preferito lo Pfizer) potrebbe essere «una delle ragioni per cui non ci sono così tanti ricoveri in ospedale rispetto all'alto numero di contagi». Per sostenere questa affermazione l'azienda farmaceutica sta preparando una statistica che sarà diffusa a breve, ma ha già lasciato trapelare qualche dettaglio, come ad esempio il fatto che l'immunità a lungo termine sarebbe assicurata dalle cellule T, che durano e proteggono dal virus anche quando gli anticorpi riducono il loro potere. Sui benefici dei linfociti T negli ultimi mesi erano state date conferme da diverse ricerche, che hanno confermato come assolvano al compito di riconoscere le cellule infettate dal virus, legarsi ad esse ed eliminarle, evitando che il paziente peggiori.
Un risultato interessante, che ha suscitato forse qualche rammarico in altri paesi, tra cui Francia, Germania, Spagna e Belgio, che hanno deciso di somministrare l'Astrazeneca solo a persone sotto i 65 anni, perché non c'erano dimostrazioni che funzionasse adeguatamente sugli anziani, e lo hanno poi evitato per i troppi giovani, a causa del pericolo di trombi.
Negli uffici di Downing Street molti si compiacciono, visto che la decisione di utilizzare questa casa farmaceutica per gli anziani, in anticipo su tutti gli altri, sembra aver avuto conseguenze positive. Secondo gli scienziati inglesi, l'affermazione di Soriot sarebbe plausibile e potrebbe davvero spiegare come mai il tasso di ricoveri in Gran Bretagna non è così elevato come altrove. Il dottor Peter English, già membro del comitato Bma per la salute pubblica, sostiene che le persone che hanno nel proprio sistema immunitario la presenza di cellule T, ma non tanti anticorpi, potrebbero essere a rischio di contagiarsi più degli altri ma avrebbero meno probabilità di sviluppare la malattia in modo grave. A fargli eco anche la professoressa Eleanor Riley, docente di immunologia e malattie infettive a Edimburgo, che cita diverse ricerche in base alle quali il vaccino Astrazeneca fornisce un numero significativo di linfociti T mentre i vaccini mRNA come lo Pfizer hanno per effetto soprattutto la produzione di anticorpi. Di fronte a queste indicazioni scientifiche, Steve Baker, esponente dei Tory, invita i politici europei a fare ammenda per aver tanto criticato Astrazeneca e si chiede se questo loro atteggiamento non abbia messo a rischio molte vite.
La risposta degli anticorpi ha infatti una reazione immediate al virus, mentre i linfociti T arrivano dopo, ma agiscono per un tempo superiore e permettono al corpo di ricordare come difendersi contro il «nemico».
Tanto che qualcuno in Gran Bretagna comincia a sostenere che per i cittadini che hanno ricevuto il vaccino Oxford forse la terza dose non sarebbe ancora necessaria.
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Via libera dell'Ema all'iniezione per gli under 12, sperimentata su pochissimi soggetti. Fda critica: difficile quantificare i rischi di miocardite. Ma l'Agenzia europea si limita a un surreale «siamo fiduciosi». Atteso la prossima settimana anche il sì dell'Aifa.Astrazeneca darebbe maggiore protezione agli anziani rispetto a Pfizer: meno over 65 ricoverati in Uk.Lo speciale contiene due articoli.Rassicurati dalla sperimentazione positiva su 2.000 bambini di età compresa tra i cinque e gli undici anni, gli scienziati dell'Ema hanno deciso di autorizzare la vaccinazione per quasi 40 milioni di piccoli europei. Non manca certo il coraggio, all'agenzia europea che vigila sui farmaci. Come non manca all'Aifa, il suo omologo italiano, che la prossima settimana si riunirà per fare «una propria valutazione» della scelta dell'Ema, che tutti si aspettano perfettamente allineata. A quel punto, anche ufficialmente, potrà partire la campagna di vaccinazione dei bambini di scuole primarie e medie (indicativamente), con la promessa del governo Draghi che almeno a loro verrà risparmiato il green pass. Sotto l'evidente pressione dell'aumento dei contagi in tutta Europa, l'Ema ha dunque rotto gli indugi e ieri ha raccomandato ufficialmente di vaccinare anche i ragazzini nella fascia d'età 5-11. Se si tiene conto che per Eurostat nel Vecchio continente ci sono 79 milioni di ragazzi e bambini sotto i 14 anni, significa che almeno la metà di loro verrà spinta a vaccinarsi contro il Covid. Secondo l'Ema, i benefici della vaccinazione superano i rischi e gli effetti indesiderati nei bambini sarebbero assai simili a quelli riscontrati finora negli adulti, ovvero dolori al braccio o dove è avvenuta l'iniezione, stanchezza generale, mal di testa, arrossamento e gonfiore della zona della puntura, dolori muscolari e brividi. Si tratta, insomma, di effetti generalmente modesti e che passano nel giro di pochi giorni. Colpiscono, per ora, i numeri modesti della sperimentazione sui bambini. L'Ema riporta uno studio su poco meno di 2.000 soggetti tra i 5 e gli 11 anni, dal quale risulta che su 1.305 bambini che hanno ricevuto il vaccino (gli altri hanno avuto il placebo) solo in tre hanno sviluppato il Covid-19 rispetto ai 16 dei 663 bambini a cui invece è stato somministrato un semplice placebo. Significa che, in base a questo studio, il vaccino è stato efficace al 90,7% nel prevenire il Covid-19 sintomatico. Un altro studio citato da Ema ha inoltre mostrato che la risposta immunitaria a Comirnaty (Pfizer-BioNtech) somministrata a una dose più bassa (10 milligrammi) in un gruppo tra i 5 e gli 11 anni di età ha la medesima forza della dose più alta (30 milligrammi) assunta da giovani tra i 16 e i 25 anni. La mossa dell'Agenzia europea, che arriva in una fase delicata e con il Natale alle porte, non convince però una virologa che ha dimostrato grande autonomia come Maria Rita Gismondo. La direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica dell'ospedale Sacco di Milano, rileva che «al momento non ci sono dati sufficienti per poter avvalorare la scelta del vaccino anti-Covid nella fascia d'età 5-11 anni, anche perché non ci sono dati validi sul rapporto rischio-beneficio». «Questo lo dico ovviamente per i bambini in buona salute», aggiunge Gismondo, «perché per i fragili il discorso è diverso e tutti loro, di qualsiasi età, dovrebbero essere vaccinati, anche obbligatoriamente». Se si guarda fuori dai confini europei, i profeti della vaccinazione di massa dei bambini sono gli Stati Uniti (sempre tra 5 e 11 anni di età), dove la raccomandazione della Casa Bianca è del 2 novembre e il 10% ha già ricevuto la prima dose. Eppure, in un rapporto del 26 ottobre, la Fda riteneva «il numero dei partecipanti ai test clinici troppo basso per la rilevazione dei potenziali rischi di miocarditi associati alla vaccinazione». La pensa diversamente Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici Covid-19 dell'Ema: «Tremila soggetti sono la dimensione standard per verificare i vaccini. Ma è importante proseguire il monitoraggio del vaccino ai bambini, presto avremo i dati dagli Stati Uniti e Israele, e verificheremo eventuali eventi avversi come le miocarditi. Ma siamo fiduciosi che vedremo meno incidenza nei bambini piccoli». Nessuna certezza quindi, ma solo «fiducia» da parte degli esperti Ema, sui rischi che potrebbero correre milioni di piccoli. E, pure in Italia, il via libera è questione di giorni. L'Aifa si riunirà tra mercoledì e venerdì prossimi e di certo non deluderà le aspettative del governo. Come ha anticipato mercoledì dal ministro Speranza, la Pfizer dovrebbe consegnarci le dosi pediatriche di vaccino entro la terza decade di dicembre. Solo da allora potrà iniziare la campagna anche nella fascia 5-11 anni. La casa farmaceutica americana ha sperimentato il dosaggio ridotto su 2.268 bambini dai 5 agli 11 anni: due terzi hanno ricevuto la doppia dose del vaccino a tre settimane di distanza; agli altri sono state iniettate due dosi di placebo. Lo studio non era abbastanza ampio per ottenere delle conclusioni sulla capacità del vaccino di prevenire la malattia o il ricovero (vista la bassa frequenza di questi eventi nei bambini), e allora i ricercatori della Pfizer hanno misurato la risposta immunitaria partendo dal presupposto che i livelli protettivi di anticorpi osservati nelle persone adulte siano altrettanto efficaci nei bambini. È così che si è rilevato che per gli under 12 bastano 10 milligrammi. Per evitare errori di somministrazione, la fiala avrà un cappuccio arancione e un'etichetta con la scritta «solo per bambini».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sieri-piccoli-testati-solo-1305-2655799700.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-rivincita-di-astrazeneca-sullue-piu-efficace-di-pfizer-sugli-anziani" data-post-id="2655799700" data-published-at="1637913168" data-use-pagination="False"> La rivincita di Astrazeneca sull’Ue: «Più efficace di Pfizer sugli anziani» Dopo tante polemiche, potrebbe essere l'ora del riscatto per il vaccino Astrazeneca, quello che al di là della Manica chiamano orgogliosamente «Oxford», perché ha visto la luce nei laboratori della prestigiosa università. Secondo una ricerca appena diffusa, questo vaccino offrirebbe una immunità più durevole rispetto agli altri e ciò spiegherebbe perché nel Regno Unito, che ne ha fatto ampio uso, la quarta ondata del Covid non stia facendo danni come in Europa. A segnalare la cosa è stato il quotidiano Telegraph, che ha riportato le dichiarazioni di Pascal Soriot, direttore esecutivo di Astrazeneca, secondo il quale la scelta del governo Johnson di offrire il vaccino Astrazeneca alle persone anziane (In Italia è stato preferito lo Pfizer) potrebbe essere «una delle ragioni per cui non ci sono così tanti ricoveri in ospedale rispetto all'alto numero di contagi». Per sostenere questa affermazione l'azienda farmaceutica sta preparando una statistica che sarà diffusa a breve, ma ha già lasciato trapelare qualche dettaglio, come ad esempio il fatto che l'immunità a lungo termine sarebbe assicurata dalle cellule T, che durano e proteggono dal virus anche quando gli anticorpi riducono il loro potere. Sui benefici dei linfociti T negli ultimi mesi erano state date conferme da diverse ricerche, che hanno confermato come assolvano al compito di riconoscere le cellule infettate dal virus, legarsi ad esse ed eliminarle, evitando che il paziente peggiori. Un risultato interessante, che ha suscitato forse qualche rammarico in altri paesi, tra cui Francia, Germania, Spagna e Belgio, che hanno deciso di somministrare l'Astrazeneca solo a persone sotto i 65 anni, perché non c'erano dimostrazioni che funzionasse adeguatamente sugli anziani, e lo hanno poi evitato per i troppi giovani, a causa del pericolo di trombi. Negli uffici di Downing Street molti si compiacciono, visto che la decisione di utilizzare questa casa farmaceutica per gli anziani, in anticipo su tutti gli altri, sembra aver avuto conseguenze positive. Secondo gli scienziati inglesi, l'affermazione di Soriot sarebbe plausibile e potrebbe davvero spiegare come mai il tasso di ricoveri in Gran Bretagna non è così elevato come altrove. Il dottor Peter English, già membro del comitato Bma per la salute pubblica, sostiene che le persone che hanno nel proprio sistema immunitario la presenza di cellule T, ma non tanti anticorpi, potrebbero essere a rischio di contagiarsi più degli altri ma avrebbero meno probabilità di sviluppare la malattia in modo grave. A fargli eco anche la professoressa Eleanor Riley, docente di immunologia e malattie infettive a Edimburgo, che cita diverse ricerche in base alle quali il vaccino Astrazeneca fornisce un numero significativo di linfociti T mentre i vaccini mRNA come lo Pfizer hanno per effetto soprattutto la produzione di anticorpi. Di fronte a queste indicazioni scientifiche, Steve Baker, esponente dei Tory, invita i politici europei a fare ammenda per aver tanto criticato Astrazeneca e si chiede se questo loro atteggiamento non abbia messo a rischio molte vite. La risposta degli anticorpi ha infatti una reazione immediate al virus, mentre i linfociti T arrivano dopo, ma agiscono per un tempo superiore e permettono al corpo di ricordare come difendersi contro il «nemico». Tanto che qualcuno in Gran Bretagna comincia a sostenere che per i cittadini che hanno ricevuto il vaccino Oxford forse la terza dose non sarebbe ancora necessaria.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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