Dopo gli accantonamenti miliardari e il crollo in Borsa, il colosso tedesco è pronto a chiudere diversi siti e uffici della controllata specializzata nella produzione delle turbine. Intanto Bruxelles dialoga con gli Usa: l’obiettivo è imporre dazi sull’acciaio cinese.
Dopo gli accantonamenti miliardari e il crollo in Borsa, il colosso tedesco è pronto a chiudere diversi siti e uffici della controllata specializzata nella produzione delle turbine. Intanto Bruxelles dialoga con gli Usa: l’obiettivo è imporre dazi sull’acciaio cinese. Prosegue lo stillicidio di pessime notizie per il settore eolico. Secondo alcune indiscrezioni, la tedesca Siemens Energy starebbe preparando la chiusura di alcuni stabilimenti e uffici vendite della controllata Siemens Gamesa, specializzata nella produzione e installazione di turbine eoliche. Già a giugno Siemens Energy aveva accantonato 2,2 miliardi di euro per fare fronte ai maggiori costi dovuti alle rotture e ai danneggiamenti di alcune parti delle turbine (pale del rotore, ingranaggi difettosi) installate a terra. Inoltre, molti contratti per installazioni offshore, cioè in mare aperto, a causa dei maggiori costi per le manutenzioni straordinarie, rischiano di trasformarsi in vistosi buchi nel bilancio.All’epoca dei primi annunci, il prezzo del titolo quotato in borsa aveva subito un tracollo, sostanzialmente dimezzandosi. Evidentemente i problemi sono molto lontani dall’essere risolti e l’amministratore delegato di Siemens Energy, Christian Bruch, è impegnato a presentare un piano di risanamento convincente per Siemens Gamesa. Tra le ipotesi, vi è quella di chiudere gli stabilimenti Gamesa dove alcune parti delle turbine eoliche sono prodotte, per affidare all’esterno tali produzioni. In questo modo Bruch pensa di recuperare marginalità, acquistando componenti che oggi costa di più produrre internamente. La chiusura degli stabilimenti avrebbe delle ricadute occupazionali non da poco, considerando che nel complesso Gamesa dispone di 15 fabbriche. Sei di queste sono in Asia (2 in Cina, tre in India, una a Taiwan), altre sei in Europa (Danimarca, Germania, Spagna, Turchia e Gran Bretagna) e tre nelle Americhe (due in Usa e una in Brasile). La divisione di Siemens Gamesa dedicata all’eolico su terra conta oltre 10.000 persone, con una capacità installata di oltre 94.000 Megawatt in tutto il mondo. La divisione offshore conta invece 2.000 dipendenti e ha 22.000 Megawatt di potenza installata.Non sono emersi sinora dettagli sulla ristrutturazione in corso, che probabilmente saranno svelati a novembre, in occasione dell’annuncio dei risultati annuali che verranno presentati alla comunità finanziaria. Non è detto che tutti e quindici gli stabilimenti saranno chiusi, più probabilmente si fermeranno quelli la cui produzione è risultata essere sotto lo standard, probabilmente le due fabbriche cinesi.La transizione ecologica, ancora una volta, inciampa su sé stessa. Ma non è l’unico fronte, quello dell’eolico, in cui si registrano difficoltà. Una ipoteca ben maggiore su tutta la transizione potrebbe arrivare se fossero confermate le indiscrezioni che filtrano da Bruxelles. L’Unione europea starebbe infatti per annunciare l’avvio di una indagine sui produttori siderurgici cinesi, che godrebbero di un indebito vantaggio nel commercio internazionale grazie ai sussidi che il governo cinese concederebbe con generosità. In un vertice con rappresentanti degli Stati Uniti si sarebbe discusso di questo, secondo il Financial Times. Si andrebbe dunque ad un fronte comune Usa-Ue in chiave anti-cinese sul mercato dell’acciaio. L’indagine sarebbe infatti finalizzata alla successiva imposizione di dazi sulle importazioni di acciaio dalla Cina. A quanto sembra, si tratterebbe di una esplicita richiesta di Washington.La mossa europea sarebbe un favore a Joe Biden e alla sua campagna elettorale per la rielezione alla Casa Bianca. Infatti, il Presidente americano punta ad ottenere il voto di quegli stati indecisi come Ohio e Pennsylvania, dove sono concentrate le acciaierie americane e dove i lavoratori sono più a rischio per l’invadenza dell’acciaio a basso costo cinese. Lo sfidante Donald Trump ha già parlato esplicitamente di dazi alla Cina sull’acciaio. Tra Unione europea e Usa vi era stata tensione proprio durante la presidenza Trump, quando, nel 2018, l’allora presidente repubblicano aveva imposto dazi sull’acciaio europeo. Bruxelles aveva riposto con l’introduzione di balzelli su prodotti americani, ma poi tutto fu sospeso nel 2021, quando si decise di comune accordo di ricercare una posizione comune per fare fronte contro la Cina. A quanto pare, ora che la campagna elettorale per le presidenziali americane sta per entrare nel vivo, a Washington interessa accelerare.L’indagine dell’Unione europea nei confronti della Cina sarebbe la terza, dato che dopo la annunciata indagine in corso sulle pratiche anticoncorrenziali in tema di automobili elettriche, Bruxelles ha in animo anche di avviare un’indagine sul settore delle turbine eoliche. Si prevede che già il prossimo 20 ottobre Usa ed Ue possano annunciare un’intesa per arginare le esportazioni cinesi, che sarebbe aperta anche ad altri membri del G7. Senza l’acciaio cinese a basso costo, la transizione ecologica fatalmente va incontro a costi maggiori. Per una torre eolica da 5 megawatt sono necessarie circa 900 tonnellate di acciaio. Se entro il 2030 il 25% dell’energia dovrà essere prodotta dal vento, serviranno oltre 450 milioni di tonnellate di acciaio. Chi e come le produrrà, e soprattutto a quali costi, è tutto da vedere.
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