Londra progetta di mandare una flotta militare nel Mar Nero per scortarlo. Ma serve l’ok di Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan.
Londra progetta di mandare una flotta militare nel Mar Nero per scortarlo. Ma serve l’ok di Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan.La notizia è apparsa ieri in grande evidenza sul Times di Londra, nel quadro del protagonismo britannico nella guerra russo-ucraina. Il Regno Unito sta discutendo con alcuni Paesi alleati a proposito della possibilità di inviare navi da guerra nel Mar Nero per proteggere le imbarcazioni mercantili che trasportano grano ucraino. Si formerebbe così una sorta di versione «alimentare» di «coalition of the willing» per rompere il blocco navale russo in corso e aprire una sorta di corridoio da Odessa attraverso il Bosforo. E in questo quadro diventa ancora più cruciale il ruolo della Turchia. Tutto comunque nasce dal timore che il tempo sia ormai pochissimo per evitare una crisi alimentare mondiale, e che dunque occorra forzare una situazione di stallo. Il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, che ha discusso del progetto con la omologa Uk, Liz Truss, ha spiegato che la coalizione potrebbe coinvolgere alcuni Paesi Nato e altri Paesi che contano sulle forniture di grano dall’Ucraina. Si presume che ad esempio possa aderire all’iniziativa l’Egitto, che è già stato pesantemente colpito dalla carenza di approvvigionamenti alimentari. Come si vede, il ruolo britannico di cui abbiamo parlato sulla Verità in queste settimane assume via via nuove forme: una direttamente militare, una geopolitica, una commerciale, una relativa alla ricostruzione dell’Ucraina, e una relativa alla creazione di una sorta di garanzia globale anti crisi alimentare. Naturalmente, l’operazione non è priva di complessità, anche dal punto di vista militare: si tratta di garantire la sicurezza dei porti da cui partono le imbarcazioni, e in seconda battuta c’è il tema della fornitura di armi necessarie a difendere le imbarcazioni stesse da eventuali attacchi russi. Grant Shapps, responsabile per i Trasporti nel governo britannico, ha confermato di essere in contatto con il suo omologo ucraino, Oleksandr Kubrako, per organizzare il modo di forzare il blocco russo. Non solo: si pone il tema aggiuntivo di sminare l’area, per evitare che l’operazione del trasporto di grano si risolva in una catena di incidenti. Va ricordato che Ucraina e Russia insieme forniscono circa il 30% della quantità di grano mondiale. Circa 400 milioni di persone nel mondo dipendono dall’export di grano dall’Ucraina, e anche Paesi lontani come il citato Egitto o il Libano sono tra i più dipendenti da quelle forniture. E intanto si iniziano a sperimentare anche percorsi del tutto alternativi: ieri, è arrivato in Lituania un primo treno contenente grano ucraino destinato a proseguire il viaggio attraverso i porti baltici.In ogni caso, il trasporto navale pone, come si diceva all’inizio, il tema della difesa armata dei mercantili. Sempre il Times riferisce che ieri il ministro della Difesa Usa, Lloyd Austin, ha fatto sapere che la Danimarca rifornirà l’Ucraina di missili Harpoon, cioè di missili anti nave a lungo raggio, indispensabili contro le navi russe che stanno bloccando i porti ucraini. Resta il tema di un auspicabile semaforo verde pure da parte dei russi. Fonti occidentali fanno sapere di non aver perso la speranza di un ok di Mosca almeno su questo fronte: si tratta di capire, nel caso, cosa la Russia voglia come contropartita. Altrimenti, il pericolo di incidenti e scontri navali sarà assai elevato.Sullo sfondo, c’è la questione della materia prima, cioè proprio del grano, che per ora giace nei magazzini ucraini. Dove il rischio è doppio: per un verso, di deperimento; per altro verso, di furto da parte russa. Quest’ultima denuncia è stata fatta all’Adnkronos da Mykola Horbachov, presidente dell’associazione ucraina del grano: «Abbiamo registrato casi di furto del grano ucraino da parte di russi nei territori occupati, soprattutto nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia, grano che è stato caricato sui camion e portato in Crimea, da dove hanno cercato di venderlo come grano russo proveniente dalla Crimea, ma tutti i trader e le organizzazioni mondiali sanno benissimo che in Crimea non c’è grano sufficiente per essere esportato, sanno benissimo che è grano rubato». Si tratterebbe di quantità ingenti: «A oggi gli occupanti ci hanno portato via già 400.000 tonnellate di grano». Sulla stessa linea l’Unione europea. «Le truppe russe rubano il grano ucraino o distruggono le scorte, ci sono varie prove», ha dichiarato il portavoce della Commissione europea. In serata anche il governo italiano è voluto intervenire sulla proposta britannica. «Noi siamo più che disponibili al sostegno del corridoio» del grano e «a lavorare allo sminamento», ha dichiarato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, intervistato da Bruno Vespa, «Ma in ogni caso serve un negoziato: non facciamo passare navi commerciali mentre si stanno combattendo le navi russe e ucraine. E occorre parlare con la Turchia». Mentre da Pechino è arrivato l’invito a trovare una soluzione condivisa e la proposta di un «canale verde» per l’export di grano da parte di Ucraina e Russia. La Cina si è detta «disposta a mantenere la comunicazione con tutte le parti» coinvolte nel conflitto in Ucraina. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri, Wang Yi, nel colloquio telefonico con l’omologa tedesca, Annalena Baerbock, sul rischio di crisi alimentare globale. «La comunità internazionale», ha spiegato il ministro cinese, «dovrebbe spingere per un cessate il fuoco tempestivo e per fornire un canale verde a Russia e Ucraina sull’export di grano».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.
Ansa
Gli obiettivi imposti sono rifiutati perché deleteri e insostenibili. Farebbero meglio a seguire i consigli di Bill Gates.
L’appuntamento è fisso e il corollario di allarmi sulla imminente fine del mondo arriva puntuale. Alla vigilia della Cop30 - la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre - il fronte allarmista globale ha rinnovato il coro catastrofico con la pubblicazione di due rapporti cruciali. L’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha diffuso il suo State of the Global Climate Update 2025, mentre l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha pubblicato il suo Climate Action Monitor 2025.






