2019-12-10
Si parla di legge elettorale, il voto non è tabù
Sono iniziate le grandi manovre. Nel Pd e in Italia viva, che rischiano di essere cannibalizzati dalle sardine, c'è improvvisa voglia di urne. Il Bullo si fida del suo zoccolo duro e non teme il proporzionale. Matteo Salvini: «L'importante è che chi vince possa governare».A Roma tira aria di uno strano regalo confezionato con le stelline natalizie e buono anche per l'Epifania: le elezioni. C'è un'improvvisa voglia di voto nei partiti di governo, soprattutto nel Pd e in Italia viva che hanno convinto il premier Giuseppe Conte a mettere in agenda una verifica a gennaio secondo una mai dimenticata tradizione della prima repubblica. Allora, fra un ghirigoro di Giulio Andreotti e un finto diktat di Bettino Craxi, il significato era chiaro: o si trovano nuove «assonanze programmatiche» per andare avanti o si va a votare. Ora la faccenda è simile perché gli unici persuasi di poter continuare a galleggiare ancora per due anni nel marasma sono i colonnelli del Movimento 5 stelle che in caso di elezioni anticipate verrebbero spazzati via. Gli altri non sono più così sicuri che la deadline sia la sera del 26 gennaio dopo i risultati delle regionali emiliane. Gli altri hanno cominciato a fremere da quando, buoni ultimi, hanno capito una banalità: le Sardine portano via - e sono destinate a portare via - voti alla sinistra. Battuta raccolta nel quartiere generale della Lega in via Bellerio: «Nel Pd non mancano di fantasia, hanno inventato la corda sulla quale impiccarsi». Il nuovo movimento composto da giovani piddini senza insegne e happy few della rivoluzione permanente (nel raduno di Milano sotto la statua equestre di Vittorio Emanuele II la carta d'identità politica era perfino impietosa) viene accreditato al 7%, così suddiviso: tre punti li prenderebbe a Nicola Zingaretti, due a Luigi Di Maio, uno a Matteo Renzi, uno agli indecisi centristi di estrazione socialista in arrivo da Forza Italia.Così, seguendo il motto «piazze piene, urne vuote», è tornata a tutti una certa voglia di elezioni. Il primo a evocare quella che fino alle regionali in Umbria era ritenuta una parolaccia è stato Goffredo Bettini, eterno proconsole del Pd, ventriloquo di Zingaretti, colui che si inventò (insieme con Renzi) il governo giallorosso sotto l'ombrellone. Ieri ha detto: «Non possiamo ogni giorno stare sospesi fra Di Maio e Renzi, serve una verifica per vedere se ci sono le condizioni per andare avanti». Era stato ancora lui, dopo la batosta umbra, a tuonare: «O si cambia registro o si va ad elezioni». L'agonia è continuata per altri 50 giorni. A tal punto che il candidato in Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, ha deciso di togliere il simbolo del Pd dalle sue insegne, come se si vergognasse, o peggio lo ritenesse una palla al piede.Un altro colpo di piccone al Conte-bis lo ha inferto Renzi, che gli analisti indicano come il più accreditato pugnalatore della maggioranza: «Non è affatto detto che il governo regga» ha detto al Corriere della Sera. «Siamo arrivati al punto che volevano aumentare le tasse per fare un dispetto a me. Pazzesco. E poi se si tratta di stare insieme per litigare da mane a sera, allora meglio il voto. Io non lo voglio, però quello che dovevo fare l'ho fatto. Ho bloccato l'aumento dell'Iva e i microbalzelli, perciò se ci costringono siamo pronti». C'è un modo laterale ma chiarissimo per parlare di elezioni, ed è evocare la legge elettorale. Ancora Renzi butta lì alla Enzo Jannacci, per vedere l'effetto che fa: «Noi preferivamo il maggioritario, ma senza il monocameralismo non ha senso. Dario Franceschini vuole il proporzionale con la stessa soglia di sbarramento al 3%, o al massimo al 4%. Lo capisco, ritiene che ogni partito possa andare per conto proprio. Poiché ritengo di avere uno zoccolo duro del 5%, a me va bene». Al di là delle scaramucce c'è convergenza sulla conferma del sistema proporzionale. È vero che la Lega ha chiesto il referendum per arrivare al maggioritario che garantisca una totale governabilità a chi vince, ma lo stesso Matteo Salvini ha capito che il vento sta girando e potrebbe non esserci tempo per un iter estenuante. «Sarebbe un errore bloccare il Paese per la legge elettorale», ha spiegato il leader leghista. «Io sono laico, non ho pregiudizi. L'importante è che chi vince poi possa governare. Abbiamo raccolto le firme per arrivare al maggioritario, aspettiamo che la Consulta dica se è possibile far esprimere gli italiani. Detto questo non abbiamo problemi, la Lega non fermerà tutto per otto mesi a dire no al proporzionale. L'ultima cosa che interessa agli italiani è la legge elettorale».Mentre le grandi manovre sono cominciate e dalle trincee si leggono segnali luminosi per concordare le regole d'ingaggio, Zingaretti sembra ancora credere a ciò che neppure lo stesso Conte ipotizza, una verifica di rilancio. «Dopo la manovra dobbiamo lavorare all'Agenda 2020 per riaccendere i motori dell'economia, creare lavoro, sostenere la rivoluzione verde, rilanciare gli investimenti, semplificare lo Stato, sostenere la rivoluzione digitale, partire con le infrastrutture, investire su scuola e università». Neanche Franklin Delano Roosevelt era arrivato a tanto con il New deal. Parole in libera uscita. Significa che il voto non è più un tabù.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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