2018-09-09
Si augurò la morte di bimbi in mare. Albinati non si scusa e incolpa Salvini
Il premio Strega scrive un libro per spiegare perché invocò la tragedia a bordo della nave Aquarius. Ma invece di fare ammenda, rincara la dose. E se la prende con il ministro che «fomenta il disordine». In quattro pagine piuttosto fitte, nemmeno una parola di scuse. Nemmeno un'ammissione di colpa. Anzi, la dose di arroganza è perfino aumentata. La boria si ammanta di retorica, l'esibizione di superiorità morale e intellettuale fa rivoltare lo stomaco. E dire che, sulle prime, avevamo dato fiducia a Edoardo Albinati. Il titolo del suo libro in uscita a giorni faceva ben sperare: Cronistoria di un pensiero infame (Baldini e Castoldi). Credevamo che, dopo mesi di sdegnoso silenzio, si fosse deciso a uscire allo scoperto con una profonda autoanalisi, un'ammissione di colpa, o almeno un tentativo di chiarimento. Invece no. La sicumera, inasprita da una spruzzata di vittimismo, è la stessa dello scorso giugno. Ricordate? Albinati, autore molto celebrato, vincitore del premio Strega nel 2016, aveva da poco pubblicato - assieme a Francesca d'Aloja - un volume intitolato Otto giorni in Niger, in cui si occupava di immigrazioni. Il prestigioso tomo è stato presentato in una libreria Feltrinelli di Milano, e durante l'incontro pubblico Albinati ha colto l'occasione per parlare della vicenda della nave Aquarius, di cui molto si discuteva in quei giorni. Grazie a Giulio Cainarca, bravo giornalista di Radio Padania, alcune delle parole pronunciate dallo scrittore sono state registrate e si possono riascoltare ancora adesso su Youtube. Eccole qui: «Io stesso, devo dire, con realpolitik, di cui mi sono anche vergognato, ieri ho pensato, ho desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho detto: adesso, se muore un bambino, io voglio vedere che cosa succede con il nostro governo».Forse adesso vi è tornata alla mente tutta la storia. Albinati, pur di vedere il governo italiano (e in particolare Matteo Salvini) sprofondare nella vergogna, si augurava che sull'imbarcazione gestita da Sos Méditerranée morisse qualcuno, meglio se un infante: se ci fosse scappata la tragedia, probabilmente Salvini avrebbe dovuto rivedere le sue posizioni sulla chiusura dei porti alle Ong. Fortunatamente, non ci fu nessun disastro. Nessuno dei migranti ospitati dall'Aquarius morì, anzi arrivarono tutti sani e salvi (e persino danzanti) sulle coste spagnole. Come prevedibile, Edoardo Albinati non chiese scusa per le sue parole. Semplicemente, scelse il silenzio. Qualche ardimentoso difensore dell'indifendibile (tipo Loredana Lipperini) si prese il disturbo di prendere le sue parti sui social network. Ma lo scrittore non aprì bocca. Poi, mesi dopo, il grande annuncio: Albinati ha deciso di scrivere un intero libro sulla vicenda. La Lettura, il pomposo supplemento culturale del Corriere della Sera in edicola oggi, ha dedicato la bellezza di quattro pagine alla presentazione dell'opera, regalandoci un prezioso dibattito fra il linguista Giuseppe Antonelli, la filosofa pro migranti Donatella Di Cesare e Albinati medesimo. Il quale chiarisce sin da subito quale sia il suo pensiero: «Non mi interessa», dice, «l'uso strumentale che è stato fatto di quella che, da parte mia, era una confessione». Ma certo, lui si è augurato la morte di un bambino per vedere affondare il governo, però sono i cattivoni populisti a strumentalizzare... In effetti, ammette lo scrittore, «il desiderio di tagliar corto con l'ipocrisia mi ha fatto dimenticare una premessa necessaria: e cioè che stavo per confessare un pensiero intimo e perverso». Beh, che fosse perverso lo abbiamo capito da soli, grazie. Ecco, questo è il massimo di autocritica che Albinati riesce a produrre. Per il resto, è la fiera dell'arrampicata sugli specchi. Il suo scopo, spiega, era quello di «mostrare il punto limite in cui l'attuale stagione politica sta conducendo le persone, a partire da me». Ah, quindi è colpa della «stagione politica», non dell'ideologia feroce che porta a formulare pensieri storti. In ogni caso, dopo aver formulato quel pensiero sui bimbi morti, Albinati ha «avvertito forte il bisogno di rivelarlo ad altri, di esporre il mio stato d'animo. Anche perché non ero io a mettere a rischio la vita di quell'ipotetico bambino, ma il comportamento dei nostri politici». Oh, finalmente la frittata è ribaltata. Colpa della situazione politica, colpa dei governanti, colpa di Salvini.Antonio Carioti, firma del Corriere, per lo meno ci prova a estorcere una parola di pentimento: «Non pensa che possa aver sbagliato»? Chiede. Ma Albinati è granitico: «La mia era senz'altro un'uscita brutale ma nient'affatto iperbolica, anzi, lineare, era un ragionamento di Realpolitik: chi rischia tutto sulla pelle dei naufraghi per ragioni elettorali, pensavo, perderà così la sua scommessa». Cristallino: Albinati non è affatto pentito, anzi, rivendica le frasi pronunciate in giugno. E aggiunge: «Mi sono dimostrato ingenuo perché, in realtà, della sofferenza e della morte altrui a costoro non importa un bel nulla» . Fantastico. Lui si augurava la morte di un bambino, ma è il governo a fregarsene del dolore degli altri. E non è mica finita, no. Albinati prosegue: «L'idea che una disgrazia potesse punirli per la loro iniquità era dunque vana. Quindi mi vergogno non di quello che ho detto, ma di aver pensato che fosse possibile mettere in crisi il loro cinismo a tempo pieno con i miei dieci secondi di cinismo». Siamo al delirio. Non si vergogna della bestialità pronunciata, ma della sua «ingenuità». Vi rendete conto? Già è ridicolo che uno scriva un libro intero su una frase infame senza mai scusarsi. Ancor più grottesco è che uno dei principali quotidiani italiani gli dedichi quattro pagine per difenderlo, con un contraddittorio solo apparente, una specie di paravento. Ma il peggio è che Albinati si senta in diritto di lamentarsi perché gli intellettuali oggi sono «vilipesi», perché si abusa della parola «radical chic». Egli ribadisce che la Lega ha preso solo il 17% dei voti. Quindi, direttamente dal pulpito, il premio Strega ammonisce i nostri governanti: «Attenzione a questo continuo appello alla pancia, agli istinti più bassi. [...] Chi fomenta la rabbia e il rancore rischia di vederseli tornare addosso». Già, e chi si augura la morte dei bambini, cosa rischia? Niente. Perché tanto c'è il più servile culturame a fargli da scudo.Infine, la chiusura in bellezza, tutta per Salvini: «È paradossale che l'Italia abbia un ministro di Polizia, cioè qualcuno incaricato di mantenere l'ordine, che fomenta il disordine con le sue iniziative e il suo linguaggio. Il ministro di Polizia, voglio dire, che si vanta dei reati per cui è indagato. Questo non è andare oltre, ma andare contro le proprie funzioni. Be', non si era mai visto». Così parlò Edoardo Albinati, quello che - spinto dall'ideologia e dall'astio politico - si augurava la morte di un bambino.