2021-09-17
In Champions la Transnistria esiste eccome
Lo Sheriff Tiraspol festeggia la vittoria contro lo Shachktar Donetsk in Champions League (Getty Images)
Lo Sheriff di Tiraspol partecipa come squadra moldava, ma in realtà la città è il capoluogo della regione che si è autoproclamata indipendente dopo il crollo dell'Urss senza essere riconosciuta dalla comunità internazionale. Ed è in testa nel girone dell'Inter. Quando mercoledì sera, allo stadio Sheriff di Tiraspol gremito, il brasiliano Cristiano ha dapprima imbeccato il maliano Adamà Traorè, poi il compagno Momo Yansane, consentendo ai suoi di rifilare una sonoro 2-0 ai quotati avversari dello Shakhtar Donetsk allenati da Roberto De Zerbi, un velo di Maya è caduto: forse lo Sheriff non è la squadra materasso destinata a far da Cenerentola del girone D di Champions League. Mica facile prevederlo. La società di Tiraspol, capitale della Transnistria, fino a qualche giorno fa era un enigma da decifrare cominciando dalla sua storia ingarbugliata. Una rappresentativa della Repubblica di Moldova che non si sente affatto moldava, fondata nel 1993, in piena dissoluzione dell'Unione Sovietica post Gorbaciov da Viktor Gušan e Il'ja Kazmaly, due ex agenti del Kgb appassionati di sport, con un emblema, la stella da sceriffo, capace evocare un immaginario da romanzo: conflitti territoriali, romanticismo pionieristico, orgogliosa identità, avventurieri spregiudicati in una terra di nessuno che c'è, eppure non c'è. Bisognerebbe definire quella che oggi siamo abituati a chiamare Transnistria: letteralmente significa «al di là del fiume Dnestr». Questo secondo la versione moldava, dunque occidentale. Esiste un altro appellativo, più diffuso tra i suoi abitanti: Pridnestrovie, «presso il fiume Dnestr». Dipende dal modo in cui la si osserva, se dal punto di vista romeno-moldavo o da quello russo-ucraino, incastonata com'è tra i tre confini. Tiraspol, capitale di un Paese de facto indipendente, ma non riconosciuto dalla comunità internazionale, sotto tutela del Cremlino, batte moneta - una sorta di rublo locale -, ha istituzioni proprie elette, una bandiera che si rifà alla vecchia Repubblica Socialista Sovietica Moldava, e la sua architettura presenta tratti distintivi: abbonda l'edilizia dell'Urss, le strade e i parchi scandiscono ancora i nomi di Lenin, Marx, Engels, la cultura delle steppe la pervade come se un pezzettino di Cortina di Ferro, lì, fosse rimasto intatto. Ma è anche industrialmente avanzata, fornisce la maggioranza dell'energia elettrica al resto della Moldavia, gli approvvigionamenti da Mosca le hanno garantito, negli anni, relativa sicurezza. In teoria il giorno dell'indipendenza fu fissato il 2 settembre 1990. Tuttavia nel marzo 1992 scoppiò una guerra fragorosa: i moldavi da una parte ne reclamavano l'appartenenza territoriale, i soldati della Transnistria dall'altra, spalleggiati da volontari russi, cosacchi, popolazione a maggioranza slava, ne difendevano il diritto all'autodeterminazione. Il cessate il fuoco è stato intimato a luglio dello stesso anno e da allora la Transnistria vive in un limbo geopolitico, con una zona cuscinetto presidiata da un drappello europeo dell'Osce, le cui vicende hanno fatto la fortuna letteraria dello scrittore Nicolai Lilin e del suo Educazione siberiana (Einaudi). Quello sfondo magmatico ha partorito i gialloneri dello Sheriff. Si badi bene: Sheriff non corrisponde soltanto al nome del club di calcio. È anche il marchio di una catena di supermercati, la più diffusa nel paese, di una compagnia telefonica, di una rete televisiva, di società satelliti che si occupano di editoria, forniture petrolifere, servizi bancari. Un libero mercato in cui l'intervento pubblico è evidente e dove, negli anni, la qualità della vita e il rispetto della legalità sono migliorati, a dispetto degli anni Novanta, quando avventurieri e squali della finanza pare si celassero dietro il paravento del contrabbando e di attività non troppo luminose. Ora, qualunque lettore cullato dalla noia della normalità occidentale, immaginerà lo Sheriff come una compagine scalcagnata, con campi d'allenamento collaudati da Matusalemme, costruiti secondo logiche fallimentari di pianificazione quinquennale. Ci pensa Roberto Bordin, ex giocatore di Atalanta e Napoli, oggi commissario tecnico della Moldavia, ad abbattere i luoghi comuni: «Hanno un centro sportivo spettacolare, 20 campi da calcio in erba naturale e sintetica, due stadi all'interno, uno da 12.000 e uno da 6.000 posti. Una piscina olimpionica, campi da tennis, ristoranti, clinica privata. Ci sono le foto di Michel Platini che, da presidente Uefa, ha premiato il club come miglior centro sportivo privato d'Europa. Pure la loro Coverciano è molto bella, dotata di tutte le attrezzature possibili». Insomma, una risposta alle pretese di costituire superleghe per pochi eletti sta proprio lì, a Tiraspol. Persino la squadra è pensata con attitudine glocal: difesa strenua di un'identità, ma apertura al mercato e una rosa di calciatori allestita comprando piedi discreti da tutto il mondo, pagandoli benino. Risultato: 19 titoli nel campionato moldavo, 10 coppe nazionali, sette Supercoppe, quattro partecipazioni all'Europa League. E oggi l'approdo in Champions. Partendo dai preliminari, dove lo Sheriff ha superato le leggende della Stella Rossa di Belgrado e i croati della Dinamo Zagabria. Nota di colore: durante il match con la Dinamo, le autorità moldave avrebbero negato il visto d'ingresso a Lirim Kastrati, giocatore kosovaro che milita nella squadra croata. La Moldavia non riconosce l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia. Pare siano fioccate polemiche in sede Uefa. Su alcuni blog locali, qualcuno avrebbe addirittura commentato piccato: la comunità internazionale riconosce la secessione del Kosovo e nega quella della Transnistria? A volte il pallone è cartina di tornasole politica.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)