2019-01-07
Sfruttano i lavoratori ed evadono le tasse. «Ma per le cooperative ora finisce la pacchia»
Dagli sgravi non dovuti al personale sottopagato: tutti gli affari sporchi. In quelle del terzo settore manca da sei anni un contratto dignitoso. E con quelle finte si elude il fisco. Luigi Di Maio: «Entro primavera le cancelleremo».Questa volta per il Pd sarà davvero difficile sputare fango sul governo. Se il vicepremier Luigi Di Maio dovesse mantenere fede alla promessa prenatalizia, a breve, anche per le cooperative potrebbe essere finita la pacchia. Non per quelle vere, certo, ma per tutte quelle che, fino a oggi, hanno usato, usurpato e abusato del «sacrosanto» epiteto per fare cassa, sfruttare i lavoratori, eludere i controlli e, diciamolo, soprattutto per pagare meno tasse.In effetti, in Italia, grazie alla storica tradizione delle realtà mutualistiche, la parola cooperativa, come una sorta di «apriti sesamo», solo a pronunciarla spalanca mille porte. Purtroppo però, accanto alle realtà genuine che si costituiscono in questa forma, rispettando i principi della cooperazione e i nemmeno troppo onerosi paradigmi che tutelano i soci (statuto, dividendi, parità tra i soci eccetera), ce ne sono tante altre che, sotto questo cappello, fanno i loro comodi.Quelle a cui Di Maio l'ha giurata, in particolare, sono le cooperative spurie, che spesso, è noto, nascondono vere e proprie centrali di caporalato per lo sfruttamento bieco di manodopera. Il ministro, superando a sinistra, per l'ennesima volta qualsiasi precedente governo Pd, ha garantito che la prossima primavera metterà mano a un disegno di legge per cancellarle definitivamente. Riuscirà il giovane vicepremier grillino là dove cotanta sinistra mai non riuscì? manovali a basso costoTre soci fondatori, un gruppetto di disoccupati pronti a farsi sfruttare e un paio di grosse aziende disposte a chiudere un occhio: ci metti sopra il nome coop e il gioco è fatto. Fiscalità vantaggiosa e pochi obblighi: chi vuole lavorare si fa socio e versa pure la quota annuale, il contratto nazionale diventa un optional e per le buste paga ci si accorda di volta in volta. Nascono, vivono e muoiono così (di solito nel giro di pochi anni) le cooperative spurie: assoldano manovalanza da sfruttare per qualche tempo, si aggiudicano commesse attraverso i consorzi che fanno da testa di ponte partecipando alle gare d'appalto e poi, appena sentono puzza di bruciato, si sciolgono. Si conta che in Italia siano circa 70.000, attive soprattutto nel settore della lavorazione delle carni, del facchinaggio e, da qualche tempo, anche del badantato. Spesso sfruttano gli immigrati, ricattabili per il permesso di soggiorno e, proprio in Emilia Romagna, patria della cooperazione e della accoglienza, il fenomeno è talmente diffuso che la scorsa estate, su 249 realtà ispezionate, il 75% è risultata irregolare. Un mese dopo la Regione, chiamata in causa anche da gravi fatti di cronaca, ha inventato un algoritmo nella speranza di scovare, in tempo reale, tra le oltre 5.000 realtà regionali che operano sotto la sigla coop, quelle che puzzano di marcio. Ma si tratta di poco più che di una farsa: da anni, infatti, i sindacati denunciano apertamente il problema e, da anni, la politica non agisce con interventi repressivi. Perché? È semplice: sia pure indirettamente, a dare lavoro, tramite appalto, alle cooperative spurie che somministrano manodopera sottocosto e senza diritti, sono spesso grandi imprese, che accettano di utilizzare lavoratori somministrati da un soggetto non autorizzato. Aziende importanti che, nella Regione rossa, per esempio, sono le storiche sostenitrici della sinistra al potere.business dell'assistenza«Sono più di 350.000, lavorano in condizioni mortificanti, con carichi oltre le loro possibilità, turni infiniti e spesso senza alcuna forma di tutela. Sono operatori dell'accoglienza, educatori, operatori sociosanitari, mediatori culturali, pedagogisti. Sono i lavoratori delle cooperative sociali del terzo settore, in attesa di un contratto di lavoro dignitoso da oltre sei anni». A dirlo non sono i detrattori del sistema tanto caro alla sinistra, ma quel ramo della Cgil che si occupa degli operatori sociali. Lo scorso dicembre la sigla ha lanciato una campagna nazionale, dal titolo Fuori tempo massimo, contro le aberranti condizioni a cui sono costretti i dipendenti, spesso anche giovani e qualificati, delle coop sociali che reggono il welfare italiano. Paghe da fame, turni insostenibili e, quando va peggio, contratti capestro sottoscritti pur di lavorare. Come è successo a Rovigo lo scorso ottobre, quando il cda di una nota cooperativa sociale in difficoltà finanziarie, senza passare per l'assemblea dei soci, ha deciso di aumentare il capitale sociale per la terza volta in tre anni. Come? Prelevando direttamente dalla busta paga dei soci dipendenti 100 euro al mese e il 25% della tredicesima, inviando agli interessati semplicemente una mail per presa visione. E d'altro canto il lavoro nel campo dell'assistenza certo non manca e i controlli sono sempre pochi. Alle cosiddette coop sociali, per esempio, è finita in mano la gran parte del business accoglienza, con i guadagni stellari ben noti, assegnati tramite bandi prefettizi a realtà nate, magari per tutt'altro scopo e finite, chissà come, ad occuparsi di immigrazione.eludere le imposteMa la forma cooperativa è, spesso, anche la preferita da chi vuole eludere completamente i controlli fiscali. Il motivo è semplice: prevedendo, per chi la applica correttamente, una sorta di controllo reciproco tra i soci della gestione finanziaria dell'impresa, gli oneri burocratici a cui una coop si deve attenere sono semplificati o per lo meno dilazionati nel tempo rispetto a quelli di un'impresa. Solo nel 2018 la Guardia di finanza ha scoperto tre clamorosi casi di evasione fiscale organizzata in forma cooperativa. Lo scorso marzo, a Schio, i militari hanno stanato società cooperative di lavori edili, gestite da un cittadino bengalese che faceva lavorare i soci senza pagare imposte e contributi e rilasciava buste paga per rapporti di lavoro fittizi, utilizzate poi per ottenere permessi di soggiorno. A maggio, una frode fiscale da 20 milioni di euro è stata scoperta a Como: 18 cooperative dal 2011 al 2015 avevano emesso e utilizzato fatture per operazioni inesistenti, finalizzate alla creazione di fittizi crediti Iva a favore di un consorzio, che in questo modo faceva affari d'oro. Durante l'operazione sono stati sequestrati quattro immobili di cui una villa con 14 vani, denaro contante depositato in 89 conti correnti e due autoveicoli di lusso. E ancora, a luglio, questa volta tra Pavia e Milano, con l'operazione Enigma, la Gdf ha scoperto oltre 40 coop tutte riconducibili ad alcuni caporali che sfruttavano i lavoratori, mettendo insieme una evasione fiscale milionaria. I dipendenti venivano reclutati da una società interinale romena e poi classificati con gli emoticon in base al grado di obbedienza dimostrata e, alla faccia dello spirito cooperativo, chi osava ribellarsi era liquidato con un «se ti sta bene è così, altrimenti te ne puoi andare».produttori strozzatiPoi ci sono le cooperative di consumatori, oggi leader della grande distribuzione. Come Alleanza 3.0, con sede a Bologna e nata nel 2016 dalla fusione di Coop Adriatica, Estense e Nordest, che con i suoi 388 negozi e 62 ipermercati è, per numero di soci, la cooperativa più grande d'Europa.Fondate nel secondo dopoguerra per garantire qualità a prezzi vantaggiosi ai consumatori, tutelando il potere d'acquisto e la sicurezza alimentare, oggi la maggior parte delle coop di consumo ragionano e operano in modo del tutto simile a qualsiasi altra impresa nel settore della Gdo. Logiche di mercato sugli scaffali, lavoratori a minimo sindacale, prodotti importati a fare concorrenza a quelli italiani e capitolati a ribasso per fare margine, senza troppo preoccuparsi delle conseguenze.Secondo il recente rapporto Oxfam redatto per la campagna Al giusto prezzo, che indaga le colpe della Gdo nello sfruttamento delle filiere di produzione alimentare nel mondo, il marchio Coop (che batte comunque la concorrenza in questo ambito) risulta garante di appena il 27% dei diritti degli agricoltori e completamente inattivo sul versante della garanzia della parità di genere. E non si parla solo di Paesi del Terzo mondo: «L'estate scorsa 16 braccianti agricoli sono morti in incidenti sulle strade del foggiano: tornavano dai campi stipati come bestie sui mezzi di trasporto dei caporali», ricorda Oxfam nel suo report, sottolineando come manchi «nel nostro Paese un reale impegno delle aziende della Gdo a cambiare politiche e pratiche del loro approvvigionamento». A farne le spese non è solo chi opera nel mondo dell'agricoltura. Lo scorso ottobre l'Antitrust ha bussato alle porte delle principali catene di distribuzione, tra cui anche Coop Italia, per verificare l'esistenza di un «cartello» finalizzato a strozzare, con accordi capestro, i produttori di pane fresco, a cui, in sostanza, non viene pagato il reso e che, secondo i conti delle associazioni, finiscono per buttare 13.000 quintali di pane fresco ogni giorno.Comunque sia, ultimamente, il colosso non se la passa al meglio. Nel 2017 Alleanza 3.0 ha chiuso con un bilancio negativo di 37 milioni di euro e gli investimenti, che secondo i vertici avrebbero portato il segno meno, potrebbero non aver prodotto il risultato sperato. Due mesi fa Vega Carburanti Spa ha comprato il 100% di Carburanti 3.0 srl, la società legata a Coop e proprietaria di 63 stazioni di servizio tra Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Marche e Puglia. Nello stesso periodo, a Modena, Alleanza 3.0 ha deciso di disfarsi delle azioni di Farmacie comunali che aveva acquistato tempo fa per dare respiro agli enti locali in carenza di liquidi e, sempre a Modena, l'ipermercato Grandemilia, fiore all'occhiello del sistema Coop, ha dovuto fare un passo indietro rispetto alla sfarzosa ristrutturazione dell'anno precedente che, all'insegna della diversificazione, proponeva ai clienti una serie infinita di prodotti e servizi a latere. L'investimento non è andato a buon fine: i soci consumatori non hanno apprezzato, le vendite sono calate e il negozio tornerà a essere quello che era. Ma anche sul fronte dei dipendenti, per il marchio Coop non è tutto rose e fiori. Da Piacenza a Mantova, da Reggio Emilia e fino ad Avellino, è tutta una protesta. I lavoratori sono in stato di agitazione per il mancato rinnovo del contratto e le mancate assunzioni degli interinali dopo due anni di onorato servizio. lo stratagemmaA chi non è mai capitato di dover sottoscrivere una sorta di tesseramento per entrare in un locale o per mangiare in un ristorante un po' particolare? Il trucchetto in realtà è molto diffuso e tipico delle grandi e piccole Associazioni di promozione sociale (Arci, Aics eccetera), tanto che, da anni, sul tema, il dibattito è aperto. Ma nella lista dei furbetti che tentano di spacciare per mutua assistenza un piatto fumante o una serata sulla pista da ballo, non ci sono solo le associazioni, ma anche le coop. Sotto la veste formale di società cooperativa, queste attività «dissimulano una vera e propria società a scopo di lucro», avvalendosi di «regimi fiscali e disattendendo le disposizioni tributarie previste per gli enti commerciali», hanno spiegato le Fiamme gialle dopo una delle innumerevoli operazioni, beffando così il fisco non una, ma due volte in un sol colpo.
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.