
Non è detto che la caduta della capitale afghana sia necessariamente una buona notizia per l'Iran. Un fattore, questo, che potrebbe offrire a Israele un significativo margine di manovra.Naftali Bennett è stato ricevuto da Joe Biden venerdì scorso: la prima visita alla Casa Bianca - dopo dodici anni - di un premier israeliano diverso da Benjamin Netanyahu. «Porto con me un nuovo spirito», ha dichiarato Bennett incontrando il presidente americano, «uno spirito di buona volontà, uno spirito di speranza, uno spirito di decenza e onestà, uno spirito di unità e bipartitismo, di persone che - come hai suggerito - nutrono opinioni politiche molto diverse, anche opposte, eppure condividiamo tutti la profonda passione di lavorare insieme per costruire un futuro migliore per Israele». «Siamo diventati amici intimi», ha replicato calorosamente Biden. Un Biden che ne ha quindi approfittato per rilanciare i rapporti con Israele, dopo la fase di alta tensione ai tempi della premiership di Netanyahu. Al di là dei convenevoli, il cuore del colloquio tra i due leader è risultato lo spinoso tema del dossier iraniano. Ricordiamo a questo proposito che, nelle scorse settimane, i colloqui per il rilancio del nuclear deal si sono fatti in salita, mentre l'ascesa al potere del nuovo presidente iraniano, il falco Ebrahim Raisi, minaccia di complicare ulteriormente la situazione. In questo difficoltoso contesto, secondo quanto riferito dal sito Axios, Bennett ha chiesto a Biden di non ritirare le truppe da Siria e Iraq, dicendosi inoltre scettico sul ripristino dell'intesa sul nucleare del 2015. L'inquilino della Casa Bianca, dal canto suo, ha garantito che – durante la sua presidenza – l'Iran non arriverà a disporre di un'arma nucleare, mostrandosi tra l'altro pronto ad un "piano B" nel caso la diplomazia dovesse fallire con Teheran. Nel quadro di un rasserenamento dei rapporti, sempre secondo quanto rivelato da Axios, Bennett avrebbe comunque garantito al presidente americano che non farà pubblicamente campagna contro l'accordo sul nucleare. Il punto è che banalmente la questione dell'intesa iraniana non possa adesso essere scissa dalla crisi afghana. Una situazione, questa, non poco ingarbugliata. Ricordiamo che, nonostante una storica inimicizia, negli ultimi anni iraniani e talebani si siano avvicinati in funzione antiamericana. Tutto questo, senza inoltre dimenticare che iraniani e talebani portino avanti una linea politica ostile nei confronti di Israele: è d'altronde in questo contesto che una sigla come Hamas – notoriamente in buoni rapporti con Teheran – si è congratulata con i "barbuti" per la conquista di Kabul. Ora, va da sé che simili premesse non creino certo in sé stesse le condizioni per un incremento della sicurezza dello Stato ebraico. Tuttavia bisogna fare attenzione con i facili automatismi. Teheran è preoccupata per la caduta di Kabul per (almeno) due ragioni: non solo considera i talebani inaffidabili, ma nutre sempre maggiore apprensione per i flussi migratori provenienti dal territorio afghano. Tutto questo, mentre è assai probabile che i servizi segreti statunitensi stiano cercando di instaurare canali sotterranei con alcuni pezzi del fronte talebano. Una strategia, questa, che – se confermata – punterebbe prevedibilmente a operazioni di destabilizzazione ai danni, tra gli altri, proprio del vicino Iran. Non è quindi escluso che il "Piano B" ventilato dall'amministrazione Biden, possa essere in qualche modo collegato a tale tipo di approccio nei confronti di Teheran. In tutto questo, Washington potrebbe avere anche bisogno di giocare di sponda con lo Stato ebraico, per evitare di trasmettere al mondo un'immagine isolazionista in riferimento allo scacchiere mediorientale. Certo: il rischio è che il presidente americano adotti un approccio troppo blando in sede di negoziati con la Repubblica islamica. Uno scenario che, per limitare i danni in termini di credibilità subìti a causa della crisi afghana, Washington deve tuttavia assolutamente scongiurare.
2025-10-14
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