2025-04-21
I sette giorni che rivoluzioneranno la finanza italiana
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Il palazzo che ospita la sede di Mediobanca in piazzetta Cuccia a Milano (Ansa)
La settimana che si apre domani sui mercati rappresenta un momento di svolta per il sistema bancario e finanziario italiano. Ops e contro Ops, assemblee bollenti. Una trasformazione che per profondità e rapidità di esecuzione ha come precedente solo la riforma bancaria del 1936 che portò alla nascita di Comit, Credit e Banco di Roma.In sette giorni, si giocano contemporaneamente due partite che, sebbene distinte, sono profondamente connesse e determineranno il futuro assetto del credito, dell’investimento e delle alleanze strategiche nel Paese. Ci sarà una coda il 30 aprile con l’assemblea della Banca Popolare di Sondrio da cui emergerà l’orientamento dei soci in ordine all’Ops lanciata dai cugini di Bper. Il governo ha appena dato il via libera e le due banche hanno Unipol come azionista di riferimento. Unipol.Difficile pensare a un fallimento. Sullo sfondo c’è l’Opas di Banca Ifis su Illimity Bank che, viste le condizioni in cui si trova l’istituto fondato da Corrado Passera somiglia molto ad un salvataggio. Poi a luglio ci sarà l’Opa di Mps su Mediobanca. Ma si tratta di un capitolo delicato che merita un capitolo a parte. Così i riflettori del risiko si concentrano sull’asse Milano-Trieste. Tra il possibile naufragio dell’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Banco Bpm e l’assemblea di Generali per il rinnovo della governance, si ridefinisce l’equilibrio del potere finanziario italiano. Il primo snodo, attesissimo, è fissato per mercoledì 23 aprile, data cruciale per Unicredit, chiamata a decidere se andare avanti o meno con l’Ops su Banco Bpm. Il governo ha dato il via libera all’operazione, ma ha imposto condizioni stringenti attraverso il meccanismo della golden power, che rischiano di svuotare l’offerta di valore strategico e finanziario. In particolare, tra i paletti imposti vi è l’obbligo di una completa uscita dal mercato russo entro nove mesi — un passaggio delicatissimo, se non impraticabile, data la complessità delle condizioni geopolitiche e normative sul campo. Unicredit ha già ridotto significativamente le proprie attività in Russia, ma non ha ancora completato la dismissione in attesa di sviluppi legati al conflitto tra Mosca e Kiev. L’ordine del governo è di vendere la filiale moscovita entro nove mesi. Scadenza assai difficile da rispettare considerando che l’eventuale dismissione dovrà essere approvata anche dal governo russo Una vendita obbligata normalmente incide negativamente sul prezzo.Come andrà a finire visto che sarà il Cremlino a dire l’ultima parola in mani a chi finiranno gli otto miliardi di depositi? Che cosa finanzieranno? Traffico d’armi, narcotraffico? In questo contesto, la proposta di Unicredit — già percepita dai mercati come poco allettante, con uno sconto implicito del 5% sul valore di mercato — appare sempre più fragile. L’offerta ufficialmente partirà il 28 aprile e si chiuderà il 23 giugno, ma la banca guidata da Andrea Orcel ha tempo fino al 30 giugno per decidere un eventuale ritiro. Una cosa è certa: senza un rilancio da parte di Uncredit l’offerta è destinata al fallimento perché alle attuali condizioni di mercato non c’è alcun interesse ad aderire «L'operazione deve avere senso da un punto di vista di creazione di valore, altrimenti non la faremo», ha dichiarato Orcel, lasciando intendere che la probabilità di un passo indietro è concreta, specie dopo il freddo rigetto da parte del consiglio di amministrazione di Banco Bpm, che si esprimerà definitivamente proprio tra il 23 e il 24 aprile.Ed è proprio il 24 aprile che andrà in scena un’altra tappa fondamentale di questa settimana decisiva: l’assemblea di Generali a Trieste, in cui gli azionisti saranno chiamati a rinnovare il consiglio d’amministrazione. Sul tavolo c’è la conferma o meno del tandem composto dal presidente Andrea Sironi e dall’ad Philippe Donnet. Mediobanca ha presentato l’unica lista di maggioranza, mentre la minoranza guidata da Francesco Gaetano Caltagirone si oppone, criticando l’operazione con Natixis. Decisivi saranno i grandi fondi, che hanno già lasciato intendere di essere favorevoli alla continuità, ma in uno scenario così polarizzato, nulla può essere dato per scontato. Non va dimenticato che anche Unicredit ha un ruolo rilevante in questa partita, possedendo il 5% del capitale di Generali, una quota che le consente di esercitare un peso non indifferente nella composizione del nuovo board. Vista la situazione Orcel potrebbe decidere di schierare le sue azioni a fianco di Mediobanca per marcare una distanza rispetto alla cordata Delfin-Caltagirone considerata molto vicina ad un governo che in casa Unicredit considerano ostile. Questa settimana segna dunque un punto di svolta storico per il settore bancario italiano. Non è solo una questione di operazioni finanziarie o rinnovi di governance: è in discussione l’intero modello di controllo e sviluppo del sistema creditizio nazionale. I riflettori sono puntati su due eventi che, con ogni probabilità, determineranno nuove gerarchie tra i colossi bancari, assicurativi e di gestione del risparmio. Si chiude un ciclo iniziato con le grandi aggregazioni degli anni Duemila e si apre una nuova stagione, in cui la presenza dello Stato, le logiche geopolitiche e la pressione dei fondi internazionali giocheranno un ruolo sempre più centrale.Dal 23 al 30 aprile, il sistema finanziario italiano affronta il suo banco di prova più grande da quasi novant’anni. E all’orizzonte non c’è solo il cambiamento: c’è la possibilità concreta di una vera rifondazione.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)