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2019-05-02
Le cinque serie tv più attese dell'estate
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Ansa
Bernardo Bertolucci era solito dire che il cinema, al giorno d'oggi, lo si può trovare con maggiore facilità in una serie televisiva anziché nel buio di una sala. La qualità, diceva, che convoglia nei prodotti formato tv non ha alcun corrispettivo a Hollywood. Non più. Perciò, amava Breaking Bad e Mad Men, seguiva House of Cards con la trepidazione di un fan qualsiasi. Bernardo Bertolucci adorava le serie televisive, piccole opere di letteratura che, al pari di un bel romanzo, tornano con il primo caldo per alleviare le pene di un'estate in città. Da Netflix a Sky, sono diverse le serie televisive che prenderanno il via tra maggio e i mesi estivi. Cinque, però, sono quelle che nemmeno Bertolucci avrebbe voluto perdere.
Catch-22
Catch-22 è l'adattamento del romanzo omonimo che Joseph Heller scrisse nei primi anni Sessanta. Come il libro dal quale è tratto, racconta la storia di un giovane bombardiere dell'aviazione americana, John Yossarian (Christopher Abbott), costretto, durante la seconda guerra mondiale, a scegliere tra la propria dignità di soldato e la truffa. Le missioni, sul fronte italiano, sembrano non finire mai. E a ogni richiesta di congedo, puntuale, arriva l'ordine di un ultimo volo, in una spirale infinita che solo l'infermità mentale potrebbe spezzare. Potrebbe, però, perché nel romanzo di Heller, che durante la seconda guerra mondiale è stato soldato, esiste un tranello. Il Comma 22 al quale un militare potrebbe appellarsi per essere riconosciuto pazzo e ottenere con ciò il congedo nasconde un paradosso. Chiunque si dica pazzo, pazzo non potrà essere, perché solo un vero pazzo vorrebbe continuare a volare.
Yossarian, dunque, dovrà fare altrimenti, ma, delle cinque puntate previste dalla serie Sky Original, al via su Sky Atlantic il prossimo 21 maggio, non è la strategia del bombardiere a destare l'interesse maggiore. È George Clooney. Il premio Oscar, che nella storia ha una particina, è insieme produttore e regista di Catch-22. Una serie per la quale l'hype è alle stesse, anche perché Clooney, accanto a sé, ha voluto tra gli altri Giancarlo Giannini e Hugh Laurie.
Chernobyl
Nessun romanzo, questa volta, ma la storia a fare da guida. Chernobyl, in esclusiva su Sky a partire dal 10 giugno prossimo, è una serie documento, atta a ricostruire la più grande catastrofe nucleare che il mondo ricordi. A 33 anni dal disastro ucraino, avvenuto a 120 chilometri da Kiev il 26 aprile 1986, sono state Sky e Hbo a decidere di affidare alla narrazione televisiva la cronaca di quegli eventi. La serie tv dovrà, perciò, ricostruire il come e il perché di quanto accaduto nella centrale nucleare, raccontando, insieme, le storie straordinarie di quegli eroi comuni che, all'indomani della tragedia, hanno rischiato la vita per limitarne la portata. Fallimento e nobiltà umano dovranno coesistere, l'una al fianco dell'altra in una produzione nella quale Jared Harris, già caro a Bertolucci per il suo ruolo in Mad Men, è stato chiamato a interpretare Valery Legasov, lo scienziato sovietico scelto dal Cremlino per indagare sull'incidente. Al proprio fianco l'attore ha poi avuto un cast d'eccezione. Stellan Skarsgård si è calato nei panni di Boris Shcherbina, l'uomo messo a capo della commissione governativa istituita dal Cremlino nelle prime ore successive al disastro, mentre Emily Watson è stata scelta per dare un volto a Ulana Khomyuk, la fisica nucleare sovietica impegnata a risolvere il mistero che, in quell'aprile 1986, ha portato al disastro.
Dark 2
Dark, la cui seconda stagione debutterà online il 21 giugno prossimo, è la testimonianza più vivida di come Netflix abbia allargato il mercato televisivo. A produrla, infatti, non è stata qualche blasonata casa americana, ma una casa tedesca. Un'azienda sconosciuta, che nel cast ha messo attori sconosciuti, gente che fuori dai confini nazionali non avrebbe un volto e nemmeno un nome. Eppure, quella serie altrimenti ignota s'è rivelata un gioiellino. Al centro di Dark c'è una storia cupa, di destini incrociati, esperimenti e omicidi. E c'è il tempo, la teoria del relativismo, una grotta all'interno della quale confluiscono le dimensioni che l'uomo ha imparato a conoscere come passato, presente e futuro. In Dark, prima stagione, il futuro è stato appena accennato e tutto s'è risolto in un continuo viaggiare tra il passato e il trapassato, nel disperato tentativo di dare un senso al presente spiegando la cruenta scia di morte che ha colpito una cittadina tedesca e quattro delle famiglie che l'abitano. In Dark, seconda stagione, i confini promettono di ampliarsi fino a toccare il futuro. Sempre, però, con la speranza di aggiustare il presente e far sì che i loschi figuri introdotti nel finale della stagione passata non arrivino a controllare i viaggi nel tempo.
Big little lies 2
Big little lies è una di quelle serie che, ad una prima quanto veloce occhiata, potrebbero sembrare prettamente femminili. Ci sono quattro madri, piccoli drammi familiari, Reese Whiterspoon con la gonna a fiori e Nicole Kidman, prigioniera di quella sua immagine da moglie perfetta. L'estetica è quella di un prodotto atto a sollazzare gruppi di donne, più e meno adulte. E qui sta il genio di Big little lies. La serie, la cui seconda stagione debutterà su Sky Atlantic nei primi giorni di giugno, è un giallo intriso di elementi psicologici. Un giallo, la cui prima stagione si è chiusa con la morte di un marito violento e l'omertà delle quattro madri amiche, colpevoli di aver dato all'uomo la spinta fatale. Un giallo che, nella seconda stagione della serie, dovrebbe dilungarsi sulle indagini, restituendo però tutto il tormento interiore delle donne. Le quattro hanno da nascondere un omicidio, a se stesse e alle proprie famiglie, alla comunità di Monterey, piccola perla californiana, e alla madre del morto, giunta in città per fare chiarezza. La madre, novità di Big little lies 2, nient'altro è se non Meryl Streep, aggiunta blasonata ad un cast d'eccezione. Oltre alla Whiterspoon e alla Kidman, la serie Sky vede tra i protagonisti Zoe Isabella Kravitz, straordinaria figlia di Lenny, e Alexander Skarsgård, interprete del picchiatore morto.
La casa di carta 3
È l'ultima, in linea temporale, a fare il proprio debutto. Ma, forse, è la più attesa delle cinque. La casa di carta 3, terzo atto della serie Netflix che si è trasformata in mania, arriverà online il 19 luglio prossimo, raccontando quanto successo al gruppo di scapestrati che ha beffato la Spagna, e pure il mondo. La serie, una produzione iberica, s'è chiesta se un manipolo di delinquenti guidato da una mente geniale, Il Professore, avrebbe mai potuto rapinare la Zecca di Stato. Senza morti, senza violenza. Come moderni Robin Hood, decisi ad accattivarsi la simpatia del popolo spagnolo. La risposta è arrivata solo con il finale della seconda stagione, quando la banda, provata dagli imprevisti che l'assedio s'è portato appresso, ha preso la via della fuga. Il colpo è riuscito e cosa attenda questi ladri divenuti eroi è compito della terza stagione spiegarlo. Ma, mentre gli affezionati de La casa di carta se ne stanno buoni, in trepidante attesa, i detrattori non si danno pace. Qualcuno s'è lanciato contro la serie. "Gentista", l'ha definita, lamentando un eccessivo populismo. Una sorta di demagogia in nome della quale verrebbe turlupinato un pubblico caprone, provato dalla crisi economica. La casa di carta sarebbe un'operazione furba, studiata per ingolosire chi ha fame di riscatto. E sia pure, se tanto basta a tacere le polemiche. Per noi, La casa di carta è un gioiello: la prima serie, dopo tante, a meritare il cosiddetto binge-watching, una puntata via l'altra, in una maratona resa più familiare da suono (inaspettato) di Bella Ciao.
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Riduci
Tra maggio e giugno partono su Sky Catch-22, che segna il debutto alla regia televisiva di George Clooney, Chernobyl e Big little lies 2, dove la new entry si chiama Meryl Streep. Su Netflix, invece, c'è grande attesa per la terza stagione della serie La casa di carta e per il secondo capitolo di Dark. Lo speciale contiene il trailer e l'approfondimento per ciascuna serie tv. Bernardo Bertolucci era solito dire che il cinema, al giorno d'oggi, lo si può trovare con maggiore facilità in una serie televisiva anziché nel buio di una sala. La qualità, diceva, che convoglia nei prodotti formato tv non ha alcun corrispettivo a Hollywood. Non più. Perciò, amava Breaking Bad e Mad Men, seguiva House of Cards con la trepidazione di un fan qualsiasi. Bernardo Bertolucci adorava le serie televisive, piccole opere di letteratura che, al pari di un bel romanzo, tornano con il primo caldo per alleviare le pene di un'estate in città. Da Netflix a Sky, sono diverse le serie televisive che prenderanno il via tra maggio e i mesi estivi. Cinque, però, sono quelle che nemmeno Bertolucci avrebbe voluto perdere. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="catch-22" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765539296" data-use-pagination="False"> Catch-22 Catch-22 è l'adattamento del romanzo omonimo che Joseph Heller scrisse nei primi anni Sessanta. Come il libro dal quale è tratto, racconta la storia di un giovane bombardiere dell'aviazione americana, John Yossarian (Christopher Abbott), costretto, durante la seconda guerra mondiale, a scegliere tra la propria dignità di soldato e la truffa. Le missioni, sul fronte italiano, sembrano non finire mai. E a ogni richiesta di congedo, puntuale, arriva l'ordine di un ultimo volo, in una spirale infinita che solo l'infermità mentale potrebbe spezzare. Potrebbe, però, perché nel romanzo di Heller, che durante la seconda guerra mondiale è stato soldato, esiste un tranello. Il Comma 22 al quale un militare potrebbe appellarsi per essere riconosciuto pazzo e ottenere con ciò il congedo nasconde un paradosso. Chiunque si dica pazzo, pazzo non potrà essere, perché solo un vero pazzo vorrebbe continuare a volare. Yossarian, dunque, dovrà fare altrimenti, ma, delle cinque puntate previste dalla serie Sky Original, al via su Sky Atlantic il prossimo 21 maggio, non è la strategia del bombardiere a destare l'interesse maggiore. È George Clooney. Il premio Oscar, che nella storia ha una particina, è insieme produttore e regista di Catch-22. Una serie per la quale l'hype è alle stesse, anche perché Clooney, accanto a sé, ha voluto tra gli altri Giancarlo Giannini e Hugh Laurie. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="chernobyl" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765539296" data-use-pagination="False"> Chernobyl Nessun romanzo, questa volta, ma la storia a fare da guida. Chernobyl, in esclusiva su Sky a partire dal 10 giugno prossimo, è una serie documento, atta a ricostruire la più grande catastrofe nucleare che il mondo ricordi. A 33 anni dal disastro ucraino, avvenuto a 120 chilometri da Kiev il 26 aprile 1986, sono state Sky e Hbo a decidere di affidare alla narrazione televisiva la cronaca di quegli eventi. La serie tv dovrà, perciò, ricostruire il come e il perché di quanto accaduto nella centrale nucleare, raccontando, insieme, le storie straordinarie di quegli eroi comuni che, all'indomani della tragedia, hanno rischiato la vita per limitarne la portata. Fallimento e nobiltà umano dovranno coesistere, l'una al fianco dell'altra in una produzione nella quale Jared Harris, già caro a Bertolucci per il suo ruolo in Mad Men, è stato chiamato a interpretare Valery Legasov, lo scienziato sovietico scelto dal Cremlino per indagare sull'incidente. Al proprio fianco l'attore ha poi avuto un cast d'eccezione. Stellan Skarsgård si è calato nei panni di Boris Shcherbina, l'uomo messo a capo della commissione governativa istituita dal Cremlino nelle prime ore successive al disastro, mentre Emily Watson è stata scelta per dare un volto a Ulana Khomyuk, la fisica nucleare sovietica impegnata a risolvere il mistero che, in quell'aprile 1986, ha portato al disastro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="dark-2" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765539296" data-use-pagination="False"> Dark 2 Dark, la cui seconda stagione debutterà online il 21 giugno prossimo, è la testimonianza più vivida di come Netflix abbia allargato il mercato televisivo. A produrla, infatti, non è stata qualche blasonata casa americana, ma una casa tedesca. Un'azienda sconosciuta, che nel cast ha messo attori sconosciuti, gente che fuori dai confini nazionali non avrebbe un volto e nemmeno un nome. Eppure, quella serie altrimenti ignota s'è rivelata un gioiellino. Al centro di Dark c'è una storia cupa, di destini incrociati, esperimenti e omicidi. E c'è il tempo, la teoria del relativismo, una grotta all'interno della quale confluiscono le dimensioni che l'uomo ha imparato a conoscere come passato, presente e futuro. In Dark, prima stagione, il futuro è stato appena accennato e tutto s'è risolto in un continuo viaggiare tra il passato e il trapassato, nel disperato tentativo di dare un senso al presente spiegando la cruenta scia di morte che ha colpito una cittadina tedesca e quattro delle famiglie che l'abitano. In Dark, seconda stagione, i confini promettono di ampliarsi fino a toccare il futuro. Sempre, però, con la speranza di aggiustare il presente e far sì che i loschi figuri introdotti nel finale della stagione passata non arrivino a controllare i viaggi nel tempo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="big-little-lies-2" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765539296" data-use-pagination="False"> Big little lies 2 Big little lies è una di quelle serie che, ad una prima quanto veloce occhiata, potrebbero sembrare prettamente femminili. Ci sono quattro madri, piccoli drammi familiari, Reese Whiterspoon con la gonna a fiori e Nicole Kidman, prigioniera di quella sua immagine da moglie perfetta. L'estetica è quella di un prodotto atto a sollazzare gruppi di donne, più e meno adulte. E qui sta il genio di Big little lies. La serie, la cui seconda stagione debutterà su Sky Atlantic nei primi giorni di giugno, è un giallo intriso di elementi psicologici. Un giallo, la cui prima stagione si è chiusa con la morte di un marito violento e l'omertà delle quattro madri amiche, colpevoli di aver dato all'uomo la spinta fatale. Un giallo che, nella seconda stagione della serie, dovrebbe dilungarsi sulle indagini, restituendo però tutto il tormento interiore delle donne. Le quattro hanno da nascondere un omicidio, a se stesse e alle proprie famiglie, alla comunità di Monterey, piccola perla californiana, e alla madre del morto, giunta in città per fare chiarezza. La madre, novità di Big little lies 2, nient'altro è se non Meryl Streep, aggiunta blasonata ad un cast d'eccezione. Oltre alla Whiterspoon e alla Kidman, la serie Sky vede tra i protagonisti Zoe Isabella Kravitz, straordinaria figlia di Lenny, e Alexander Skarsgård, interprete del picchiatore morto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem5" data-id="5" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=5#rebelltitem5" data-basename="la-casa-di-carta-3" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765539296" data-use-pagination="False"> La casa di carta 3 È l'ultima, in linea temporale, a fare il proprio debutto. Ma, forse, è la più attesa delle cinque. La casa di carta 3, terzo atto della serie Netflix che si è trasformata in mania, arriverà online il 19 luglio prossimo, raccontando quanto successo al gruppo di scapestrati che ha beffato la Spagna, e pure il mondo. La serie, una produzione iberica, s'è chiesta se un manipolo di delinquenti guidato da una mente geniale, Il Professore, avrebbe mai potuto rapinare la Zecca di Stato. Senza morti, senza violenza. Come moderni Robin Hood, decisi ad accattivarsi la simpatia del popolo spagnolo. La risposta è arrivata solo con il finale della seconda stagione, quando la banda, provata dagli imprevisti che l'assedio s'è portato appresso, ha preso la via della fuga. Il colpo è riuscito e cosa attenda questi ladri divenuti eroi è compito della terza stagione spiegarlo. Ma, mentre gli affezionati de La casa di carta se ne stanno buoni, in trepidante attesa, i detrattori non si danno pace. Qualcuno s'è lanciato contro la serie. "Gentista", l'ha definita, lamentando un eccessivo populismo. Una sorta di demagogia in nome della quale verrebbe turlupinato un pubblico caprone, provato dalla crisi economica. La casa di carta sarebbe un'operazione furba, studiata per ingolosire chi ha fame di riscatto. E sia pure, se tanto basta a tacere le polemiche. Per noi, La casa di carta è un gioiello: la prima serie, dopo tante, a meritare il cosiddetto binge-watching, una puntata via l'altra, in una maratona resa più familiare da suono (inaspettato) di Bella Ciao.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Un concetto già smentito da Fdi che in un dossier sulle fake news relative proprio all’oro di Bankitalia, ha precisato l’infondatezza dell’allarmismo basato sulla errata idea di volersi impossessare delle riserve auree per ridurre il debito. E nello stesso documento si ricordava invece come questa idea non dispiacesse al governo di sinistra di Romano Prodi del 2007. Peraltro nel dossier si precisa che la finalità dell’emendamento è di «non far correre il rischio all’Italia che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani».
Per due volte la Banca centrale europea ha puntato i piedi, probabilmente spinta dal retropensiero che il governo voglia mettere le mani sull’oro detenuto e gestito da Bankitalia, per venderlo. Ma anche su questo punto da Fdi hanno tranquillizzato. Nel documento esplicativo precisano che «al contrario, vogliamo affermare che la proprietà dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia è dello Stato proprio per proteggere le riserve auree da speculazioni». Il capitale dell’istituto centrale è diviso in 300.000 quote e nessun azionista può detenere più del 5%. I principali soci di Via Nazionale sono grandi banche e casse di previdenza. Dai dati pubblicati sul sito Bankitalia, primo azionista risulta Unicredit (15.000 quote pari al 5%), seguono con il 4,93% ciascuna Inarcassa (la Cassa di previdenza di ingegneri e architetti), Fondazione Enpam (Ente di previdenza dei medici e degli odontoiatri) e la Cassa forense. Del 4,91% la partecipazione detenuta da Intesa Sanpaolo. Al sesto posto tra gli azionisti, troviamo la Cassa di previdenza dei commercialisti con il 3,66%. Seguono Bper Banca con il 3,25%, Iccrea Banca col 3,12%, Generali col 3,02%. Pari al decimo posto, con il 3% ciascuna, Inps, Inail, Cassa di sovvenzioni e risparmio fra il personale della Banca d'Italia, Cassa di Risparmio di Asti. Primo azionista a controllo straniero è la Bmnl (Gruppo Bnp Paribas) col 2,83% seguita da Credit Agricole Italia (2,81%). Bff Bank (partecipata da fondi italiani e internazionali) detiene l’1,67% mentre Banco Bpm (i cui principali azionisti sono Credit Agricole con circa il 20% e Blackrock con circa il 5%) ha l’1,51%.
Un motivo fondato quindi per esplicitare che le riserve auree sono di proprietà di tutti gli italiani. Il che, a differenza di quanto sostenuto da politici e analisti di sinistra, «non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. Non si comprende quindi la levata di scudi di queste ore nei confronti della proposta di Fdi. A meno che, ed è lecito domandarselo, chi oggi si agita non abbia altri motivi per farlo».
C’è poi il fatto che «alcuni Stati, anche membri dell’Ue, hanno già chiarito che la proprietà delle riserve appartiene al popolo, nella propria legislazione, mettendolo nero su bianco, a dimostrazione del fatto che ciò è perfettamente compatibile con i Trattati europei». Pertanto si tratta di un emendamento «di buon senso».
La riformulazione della proposta potrebbe essere presentata oggi, come annunciato dal capogruppo di Fdi in Senato, Lucio Malan. «Si tratta di dare», ha specificato, «una formulazione che dia maggiore chiarezza». Nella risposta alle richieste della presidente della Bce, Christine Lagarde, il ministro Giorgetti, avrebbe precisato che la disponibilità e gestione delle riserve auree del popolo italiano sono in capo alla Banca d’Italia in conformità alle regole dei Trattati e che la riformulazione della norma trasmessa è il frutto di apposite interlocuzioni con quest’ultima per addivenire a una formulazione pienamente coerente con le regole europee.
Risolto questo fronte, altri agitano l’iter della manovra. L’obiettivo è portare la discussione in Aula per il weekend. Il lavoro è tutto sulle coperture. Ci sono i malumori delle forze dell’ordine per la mancanza di nuovi fondi, rinviati a quando il Paese uscirà dalla procedura di infrazione, e ieri quelli dei sindacati dei medici, Anaao Assomed e Cimo-Fesmed, che hanno minacciato lo stato di agitazione se saranno confermate le voci «del tentativo del ministero dell’Economia di bloccare l’emendamento, peraltro segnalato, a firma Francesco Zaffini, presidente della commissione Sanità del Senato con il sostegno del ministro della Salute», che prevede un aumento delle indennità di specificità dei medici, dirigenti sanitari e infermieri. In ballo, affermano le due sigle, ci sono circa 500 milioni già preventivati. E reclamano che il Mef «licenzi al più presto la pre-intesa del Ccnl 2022-2024 per consentire la firma e quindi il pagamento di arretrati e aumenti».
Intanto in una riformulazione del governo l’aliquota della Tobin Tax è stata raddoppiata dallo 0,2% allo 0,4%.
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Riduci
John Elkann (Ansa)
Fatta la doverosa e sincera premessa, non riusciamo a comprendere perché da ieri le opposizioni italiane stiano inondando i media di comunicati stampa che chiamano in causa il governo Meloni, al quale si chiede di riferire in aula in relazione a quella che è una trattativa tra privati. O meglio: è sacrosanta la richiesta di attenzione per la tutela dei livelli occupazionali, come succede in tutti i casi in cui un grande gruppo imprenditoriale passa di mano: ciò che si comprende meno, anzi non si comprende proprio, sono gli appelli al governo a intervenire per salvaguardare la linea editoriale delle testate in vendita.
L’agitazione in casa dem tocca livelli di puro umorismo: «Di fronte a quanto sta avvenendo nelle redazioni di Repubblica e Stampa», dichiara il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia, «il governo italiano non può restare silente e fermo. Chigi deve assumere un’iniziativa immediata di fronte a quella che appare come una vera e propria dismissione di un patrimonio della democrazia italiana. Per la tutela di beni e capitali strategici di interesse nazionale viene spesso evocato il Golden power. Utilizzato da questo governo per molto meno». Secondo Boccia, il governo dovrebbe bloccare l’operazione oppure intervenire direttamente ponendo condizioni. Siamo, com’è ben chiaro, di fronte al delirio politico in purezza, senza contare il fatto che quando il governo ha utilizzato il Golden power nel caso Unicredit-Bpm, il Pd ha urlato allo scandalo per l’«interventismo» dell’esecutivo. Come abbiamo detto, sono sacrosante le preoccupazioni sul mantenimento dei livelli occupazionali, molto meno comprensibili invece quelle su qualità e pluralismo dell’informazione, soprattutto se collegate alla richiesta al governo di riferire in aula firmata da Pd, Avs, M5s e +Europa.
Cosa dovrebbe fare nel concreto Giorgia Meloni? Convocare gli Elkann e Kyriakou e farsi garantire che le testate del gruppo Gedi continueranno a pubblicare gli stessi articoli anche dopo l’eventuale vendita? E a che titolo un governo potrebbe mai intestarsi un’iniziativa di questo tipo, senza essere accusato di invadere un territorio che non è di propria competenza? Con quale coraggio la sinistra che ha costantemente accusato il centrodestra di invadere il sacro terreno della libertà di stampa, ora si lamenta dell’esatto contrario? Non si sa: quello che si sa è che quando il gruppo Stellantis, di proprietà degli Elkann, ha prosciugato uno dopo l’altro gli stabilimenti di produzione di auto in Italia tutto questo allarme da parte de partiti di sinistra non lo abbiamo registrato.
Ma le curiosità (eufemismo) non finiscono qui. Riportiamo una significativa dichiarazione del co-leader di Avs, Angelo Bonelli: «La vendita de La Repubblica, La Stampa, Huffington, delle radio e dei siti connessi all’armatore greco Kyriakou», argomenta Bonelli, «è un fatto che desta profonda preoccupazione anche per la qualità della nostra democrazia. L’operazione riguarda una trattativa tra l’erede del gruppo Gedi, John Elkann, e la società ellenica Antenna Group, controllata da Theodore Kyriakou, azionista principale e presidente del gruppo. Kyriakou può contare inoltre su un solido partner in affari: il principe saudita Mohammed Bin Salman Al Saud, che tre anni fa ha investito 225 milioni di euro per acquistare il 30% di Antenna Group». E quindi? «Il premier», deduce con una buona dose di sprezzo del ridicolo Sherlock Holmes Bonelli, «all’inizio di quest’anno, ha guidato una visita di Stato in Arabia Saudita, conclusa con una dichiarazione che auspicava una nuova fase di cooperazione e sviluppo dei rapporti tra Italia e il regno del principe ereditario. Se la vendita dovesse avere questo esito, si aprirebbe un problema serio che riguarda i livelli occupazionali e, allo stesso tempo, la qualità della nostra democrazia. La concentrazione dell’informazione radiotelevisiva, della stampa e del Web sarebbe infatti praticamente schierata sulle posizioni del governo e della sua presidente». Avete letto bene: secondo il teorema Bonelli, Bin Salman è socio di Kyriakou, Bin Salman ha ricevuto Meloni in visita (come altre centinaia di leader di tutto il mondo), quindi Meloni sta mettendo le mani su Repubblica, Stampa e tutto il resto.
Quello che sfugge a Bonelli è che Bin Salman è, come è arcinoto, in eccellenti rapporti con Matteo Renzi, e guarda caso La Verità è in grado di rivelare che il leader di Italia viva starebbe giocando, lui sì, un ruolo di mediazione in questa operazione. Renzi avrebbe pure già in mente il nuovo direttore di Repubblica: il prescelto sarebbe Emiliano Fittipaldi, attuale direttore del quotidiano Domani, giornale di durissima opposizione al governo. In ogni caso, per rasserenare gli animi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione, Alberto Barachini, ha convocato i vertici di Gedi e i Cdr di Stampa e Repubblica, «in relazione», si legge in una nota, «alla vicenda della ventilata cessione delle due testate del gruppo».
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Il premier, intervenendo alla prima edizione dei Margaret Thatcher Awards, evento organizzato all’Acquario Romano dalla fondazione New Direction, il think tank dei Conservatori europei: «Non si può rispettare gli altri se non si cerca di capirli, ma non si può chiedere rispetto se non si difende ciò che si è e non si cerca di dimostrarlo. Questo è il lavoro che ogni conservatore fa, ed è per questo che voglio ringraziarvi per combattere in un campo in cui sappiamo che non è facile combattere. Sappiamo di essere dalla parte giusta della storia».
«Grazie per questo premio» – ha detto ancora la premier – «che mi ha riportato alla mente le parole di un grande pensatore caro a tutti i conservatori, Sir Roger Scruton, il quale disse: “Il conservatorismo è l’istinto di aggrapparsi a ciò che amiamo per proteggerlo dal degrado e dalla violenza, e costruire la nostra vita attorno ad esso”. Essere conservatori significa difendere ciò che si ama».
Pier Silvio Berlusconi (Getty Images)
Forza Italia, poi, è un altro argomento centrale ed è anche l’occasione per ribadire un concetto che negli ultimi mesi aveva già espresso: «Il mio pensiero non cambia, c’è la necessità di un rinnovamento nella classe dirigente del partito». Esprime gratitudine per il lavoro svolto dal segretario nazionale, Antonio Tajani, e da tutta la squadra di Forza Italia che «ha tenuto in piedi il partito dopo la scomparsa di mio padre, cosa tutt’altro che facile». Ma confessa che per il futuro del partito «servirebbero facce nuove, idee nuove e un programma rinnovato, che non metta in discussione i valori fondanti di Forza Italia, che sono i valori fondanti del pensiero e dell'agire politico di Silvio Berlusconi, ma valori che devono essere portati a ciò che è oggi la realtà». E fa una premessa insolita: «Non mi occupo di politica, ma chi fa l’imprenditore non può essere distante dalla politica. Che io e Marina ci si appassioni al destino di Forza Italia, siamo onesti, è naturale. Tra i lasciti di mio padre tra i più grandi, se non il più grande, c’è Forza Italia». Tajani è d’accordo e legge nelle parole di Berlusconi «sollecitazioni positive, in perfetta sintonia sulla necessità del rinnovamento e di guardare al futuro, che poi è quello che stiamo già facendo».
In qualità di esperto di comunicazione, l’ad di Mediaset, traccia anche il punto della situazione sullo stato di salute dell’editoria italiana, toccando i tasti dolenti delle paventate vendite di Stampa e Repubblica, appartenenti al gruppo Gedi. La trattativa tra Gedi e il gruppo greco AntennaUno, guidato dall’armatore Theodore Kyriakou, scatena l’agitazione dei giornalisti. «Il libero mercato è sovrano, ma è un dispiacere vedere un prodotto italiano andare in mano straniera». Pier Silvio Berlusconi elogia, invece, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport: «Cairo è un editore puro, ormai l’unico in Italia, e ha fatto un lavoro eccellente: Corriere e Gazzetta hanno un’anima coerente con la loro storia».
Una stoccata sulla patrimoniale: «Non la ritengo sbagliata, ma la parola patrimoniale, secondo me, non va bene. Così com’era sbagliatissima l’espressione “extra profitti”, cosa vuol dire extra? Non vuol dire niente e mi sembra onestamente fuori posto che in certi momenti storici dell’economia di particolare fragilità, ci possano essere delle imposte una tantum che vengono legate a livello di profitto delle aziende».
Un tema di stretta attualità, specialmente dopo le dichiarazioni di Donald Trump, è il ruolo dell’Europa nel mondo. «Di sicuro ciò che è stato fatto fino a oggi non è sufficiente, ma l’Europa deve riuscire a esistere, ad agire e a difendersi. Di questo sono certo. Prima di tutto da cittadino italiano ed europeo e ancor di più da imprenditore italiano ed europeo».
Quanto al controllo del gruppo televisivo tedesco ProSieben, Pier Silvio Berlusconi assicura che «in Germania faremo il possibile per mantenere l’occupazione del gruppo così com’è, al momento non c’è nessun piano di licenziamento». Ora Mfe guarda alla Francia? «Lì ci sono realtà consolidate private come Tf1 e M6: entrare in Francia sarebbe un sogno, ma al momento non vedo spiragli».
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