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2019-05-02
Le cinque serie tv più attese dell'estate
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Ansa
Bernardo Bertolucci era solito dire che il cinema, al giorno d'oggi, lo si può trovare con maggiore facilità in una serie televisiva anziché nel buio di una sala. La qualità, diceva, che convoglia nei prodotti formato tv non ha alcun corrispettivo a Hollywood. Non più. Perciò, amava Breaking Bad e Mad Men, seguiva House of Cards con la trepidazione di un fan qualsiasi. Bernardo Bertolucci adorava le serie televisive, piccole opere di letteratura che, al pari di un bel romanzo, tornano con il primo caldo per alleviare le pene di un'estate in città. Da Netflix a Sky, sono diverse le serie televisive che prenderanno il via tra maggio e i mesi estivi. Cinque, però, sono quelle che nemmeno Bertolucci avrebbe voluto perdere.
Catch-22
Catch-22 è l'adattamento del romanzo omonimo che Joseph Heller scrisse nei primi anni Sessanta. Come il libro dal quale è tratto, racconta la storia di un giovane bombardiere dell'aviazione americana, John Yossarian (Christopher Abbott), costretto, durante la seconda guerra mondiale, a scegliere tra la propria dignità di soldato e la truffa. Le missioni, sul fronte italiano, sembrano non finire mai. E a ogni richiesta di congedo, puntuale, arriva l'ordine di un ultimo volo, in una spirale infinita che solo l'infermità mentale potrebbe spezzare. Potrebbe, però, perché nel romanzo di Heller, che durante la seconda guerra mondiale è stato soldato, esiste un tranello. Il Comma 22 al quale un militare potrebbe appellarsi per essere riconosciuto pazzo e ottenere con ciò il congedo nasconde un paradosso. Chiunque si dica pazzo, pazzo non potrà essere, perché solo un vero pazzo vorrebbe continuare a volare.
Yossarian, dunque, dovrà fare altrimenti, ma, delle cinque puntate previste dalla serie Sky Original, al via su Sky Atlantic il prossimo 21 maggio, non è la strategia del bombardiere a destare l'interesse maggiore. È George Clooney. Il premio Oscar, che nella storia ha una particina, è insieme produttore e regista di Catch-22. Una serie per la quale l'hype è alle stesse, anche perché Clooney, accanto a sé, ha voluto tra gli altri Giancarlo Giannini e Hugh Laurie.
Chernobyl
Nessun romanzo, questa volta, ma la storia a fare da guida. Chernobyl, in esclusiva su Sky a partire dal 10 giugno prossimo, è una serie documento, atta a ricostruire la più grande catastrofe nucleare che il mondo ricordi. A 33 anni dal disastro ucraino, avvenuto a 120 chilometri da Kiev il 26 aprile 1986, sono state Sky e Hbo a decidere di affidare alla narrazione televisiva la cronaca di quegli eventi. La serie tv dovrà, perciò, ricostruire il come e il perché di quanto accaduto nella centrale nucleare, raccontando, insieme, le storie straordinarie di quegli eroi comuni che, all'indomani della tragedia, hanno rischiato la vita per limitarne la portata. Fallimento e nobiltà umano dovranno coesistere, l'una al fianco dell'altra in una produzione nella quale Jared Harris, già caro a Bertolucci per il suo ruolo in Mad Men, è stato chiamato a interpretare Valery Legasov, lo scienziato sovietico scelto dal Cremlino per indagare sull'incidente. Al proprio fianco l'attore ha poi avuto un cast d'eccezione. Stellan Skarsgård si è calato nei panni di Boris Shcherbina, l'uomo messo a capo della commissione governativa istituita dal Cremlino nelle prime ore successive al disastro, mentre Emily Watson è stata scelta per dare un volto a Ulana Khomyuk, la fisica nucleare sovietica impegnata a risolvere il mistero che, in quell'aprile 1986, ha portato al disastro.
Dark 2
Dark, la cui seconda stagione debutterà online il 21 giugno prossimo, è la testimonianza più vivida di come Netflix abbia allargato il mercato televisivo. A produrla, infatti, non è stata qualche blasonata casa americana, ma una casa tedesca. Un'azienda sconosciuta, che nel cast ha messo attori sconosciuti, gente che fuori dai confini nazionali non avrebbe un volto e nemmeno un nome. Eppure, quella serie altrimenti ignota s'è rivelata un gioiellino. Al centro di Dark c'è una storia cupa, di destini incrociati, esperimenti e omicidi. E c'è il tempo, la teoria del relativismo, una grotta all'interno della quale confluiscono le dimensioni che l'uomo ha imparato a conoscere come passato, presente e futuro. In Dark, prima stagione, il futuro è stato appena accennato e tutto s'è risolto in un continuo viaggiare tra il passato e il trapassato, nel disperato tentativo di dare un senso al presente spiegando la cruenta scia di morte che ha colpito una cittadina tedesca e quattro delle famiglie che l'abitano. In Dark, seconda stagione, i confini promettono di ampliarsi fino a toccare il futuro. Sempre, però, con la speranza di aggiustare il presente e far sì che i loschi figuri introdotti nel finale della stagione passata non arrivino a controllare i viaggi nel tempo.
Big little lies 2
Big little lies è una di quelle serie che, ad una prima quanto veloce occhiata, potrebbero sembrare prettamente femminili. Ci sono quattro madri, piccoli drammi familiari, Reese Whiterspoon con la gonna a fiori e Nicole Kidman, prigioniera di quella sua immagine da moglie perfetta. L'estetica è quella di un prodotto atto a sollazzare gruppi di donne, più e meno adulte. E qui sta il genio di Big little lies. La serie, la cui seconda stagione debutterà su Sky Atlantic nei primi giorni di giugno, è un giallo intriso di elementi psicologici. Un giallo, la cui prima stagione si è chiusa con la morte di un marito violento e l'omertà delle quattro madri amiche, colpevoli di aver dato all'uomo la spinta fatale. Un giallo che, nella seconda stagione della serie, dovrebbe dilungarsi sulle indagini, restituendo però tutto il tormento interiore delle donne. Le quattro hanno da nascondere un omicidio, a se stesse e alle proprie famiglie, alla comunità di Monterey, piccola perla californiana, e alla madre del morto, giunta in città per fare chiarezza. La madre, novità di Big little lies 2, nient'altro è se non Meryl Streep, aggiunta blasonata ad un cast d'eccezione. Oltre alla Whiterspoon e alla Kidman, la serie Sky vede tra i protagonisti Zoe Isabella Kravitz, straordinaria figlia di Lenny, e Alexander Skarsgård, interprete del picchiatore morto.
La casa di carta 3
È l'ultima, in linea temporale, a fare il proprio debutto. Ma, forse, è la più attesa delle cinque. La casa di carta 3, terzo atto della serie Netflix che si è trasformata in mania, arriverà online il 19 luglio prossimo, raccontando quanto successo al gruppo di scapestrati che ha beffato la Spagna, e pure il mondo. La serie, una produzione iberica, s'è chiesta se un manipolo di delinquenti guidato da una mente geniale, Il Professore, avrebbe mai potuto rapinare la Zecca di Stato. Senza morti, senza violenza. Come moderni Robin Hood, decisi ad accattivarsi la simpatia del popolo spagnolo. La risposta è arrivata solo con il finale della seconda stagione, quando la banda, provata dagli imprevisti che l'assedio s'è portato appresso, ha preso la via della fuga. Il colpo è riuscito e cosa attenda questi ladri divenuti eroi è compito della terza stagione spiegarlo. Ma, mentre gli affezionati de La casa di carta se ne stanno buoni, in trepidante attesa, i detrattori non si danno pace. Qualcuno s'è lanciato contro la serie. "Gentista", l'ha definita, lamentando un eccessivo populismo. Una sorta di demagogia in nome della quale verrebbe turlupinato un pubblico caprone, provato dalla crisi economica. La casa di carta sarebbe un'operazione furba, studiata per ingolosire chi ha fame di riscatto. E sia pure, se tanto basta a tacere le polemiche. Per noi, La casa di carta è un gioiello: la prima serie, dopo tante, a meritare il cosiddetto binge-watching, una puntata via l'altra, in una maratona resa più familiare da suono (inaspettato) di Bella Ciao.
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Riduci
Tra maggio e giugno partono su Sky Catch-22, che segna il debutto alla regia televisiva di George Clooney, Chernobyl e Big little lies 2, dove la new entry si chiama Meryl Streep. Su Netflix, invece, c'è grande attesa per la terza stagione della serie La casa di carta e per il secondo capitolo di Dark. Lo speciale contiene il trailer e l'approfondimento per ciascuna serie tv. Bernardo Bertolucci era solito dire che il cinema, al giorno d'oggi, lo si può trovare con maggiore facilità in una serie televisiva anziché nel buio di una sala. La qualità, diceva, che convoglia nei prodotti formato tv non ha alcun corrispettivo a Hollywood. Non più. Perciò, amava Breaking Bad e Mad Men, seguiva House of Cards con la trepidazione di un fan qualsiasi. Bernardo Bertolucci adorava le serie televisive, piccole opere di letteratura che, al pari di un bel romanzo, tornano con il primo caldo per alleviare le pene di un'estate in città. Da Netflix a Sky, sono diverse le serie televisive che prenderanno il via tra maggio e i mesi estivi. Cinque, però, sono quelle che nemmeno Bertolucci avrebbe voluto perdere. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="catch-22" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765631809" data-use-pagination="False"> Catch-22 Catch-22 è l'adattamento del romanzo omonimo che Joseph Heller scrisse nei primi anni Sessanta. Come il libro dal quale è tratto, racconta la storia di un giovane bombardiere dell'aviazione americana, John Yossarian (Christopher Abbott), costretto, durante la seconda guerra mondiale, a scegliere tra la propria dignità di soldato e la truffa. Le missioni, sul fronte italiano, sembrano non finire mai. E a ogni richiesta di congedo, puntuale, arriva l'ordine di un ultimo volo, in una spirale infinita che solo l'infermità mentale potrebbe spezzare. Potrebbe, però, perché nel romanzo di Heller, che durante la seconda guerra mondiale è stato soldato, esiste un tranello. Il Comma 22 al quale un militare potrebbe appellarsi per essere riconosciuto pazzo e ottenere con ciò il congedo nasconde un paradosso. Chiunque si dica pazzo, pazzo non potrà essere, perché solo un vero pazzo vorrebbe continuare a volare. Yossarian, dunque, dovrà fare altrimenti, ma, delle cinque puntate previste dalla serie Sky Original, al via su Sky Atlantic il prossimo 21 maggio, non è la strategia del bombardiere a destare l'interesse maggiore. È George Clooney. Il premio Oscar, che nella storia ha una particina, è insieme produttore e regista di Catch-22. Una serie per la quale l'hype è alle stesse, anche perché Clooney, accanto a sé, ha voluto tra gli altri Giancarlo Giannini e Hugh Laurie. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="chernobyl" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765631809" data-use-pagination="False"> Chernobyl Nessun romanzo, questa volta, ma la storia a fare da guida. Chernobyl, in esclusiva su Sky a partire dal 10 giugno prossimo, è una serie documento, atta a ricostruire la più grande catastrofe nucleare che il mondo ricordi. A 33 anni dal disastro ucraino, avvenuto a 120 chilometri da Kiev il 26 aprile 1986, sono state Sky e Hbo a decidere di affidare alla narrazione televisiva la cronaca di quegli eventi. La serie tv dovrà, perciò, ricostruire il come e il perché di quanto accaduto nella centrale nucleare, raccontando, insieme, le storie straordinarie di quegli eroi comuni che, all'indomani della tragedia, hanno rischiato la vita per limitarne la portata. Fallimento e nobiltà umano dovranno coesistere, l'una al fianco dell'altra in una produzione nella quale Jared Harris, già caro a Bertolucci per il suo ruolo in Mad Men, è stato chiamato a interpretare Valery Legasov, lo scienziato sovietico scelto dal Cremlino per indagare sull'incidente. Al proprio fianco l'attore ha poi avuto un cast d'eccezione. Stellan Skarsgård si è calato nei panni di Boris Shcherbina, l'uomo messo a capo della commissione governativa istituita dal Cremlino nelle prime ore successive al disastro, mentre Emily Watson è stata scelta per dare un volto a Ulana Khomyuk, la fisica nucleare sovietica impegnata a risolvere il mistero che, in quell'aprile 1986, ha portato al disastro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="dark-2" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765631809" data-use-pagination="False"> Dark 2 Dark, la cui seconda stagione debutterà online il 21 giugno prossimo, è la testimonianza più vivida di come Netflix abbia allargato il mercato televisivo. A produrla, infatti, non è stata qualche blasonata casa americana, ma una casa tedesca. Un'azienda sconosciuta, che nel cast ha messo attori sconosciuti, gente che fuori dai confini nazionali non avrebbe un volto e nemmeno un nome. Eppure, quella serie altrimenti ignota s'è rivelata un gioiellino. Al centro di Dark c'è una storia cupa, di destini incrociati, esperimenti e omicidi. E c'è il tempo, la teoria del relativismo, una grotta all'interno della quale confluiscono le dimensioni che l'uomo ha imparato a conoscere come passato, presente e futuro. In Dark, prima stagione, il futuro è stato appena accennato e tutto s'è risolto in un continuo viaggiare tra il passato e il trapassato, nel disperato tentativo di dare un senso al presente spiegando la cruenta scia di morte che ha colpito una cittadina tedesca e quattro delle famiglie che l'abitano. In Dark, seconda stagione, i confini promettono di ampliarsi fino a toccare il futuro. Sempre, però, con la speranza di aggiustare il presente e far sì che i loschi figuri introdotti nel finale della stagione passata non arrivino a controllare i viaggi nel tempo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="big-little-lies-2" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765631809" data-use-pagination="False"> Big little lies 2 Big little lies è una di quelle serie che, ad una prima quanto veloce occhiata, potrebbero sembrare prettamente femminili. Ci sono quattro madri, piccoli drammi familiari, Reese Whiterspoon con la gonna a fiori e Nicole Kidman, prigioniera di quella sua immagine da moglie perfetta. L'estetica è quella di un prodotto atto a sollazzare gruppi di donne, più e meno adulte. E qui sta il genio di Big little lies. La serie, la cui seconda stagione debutterà su Sky Atlantic nei primi giorni di giugno, è un giallo intriso di elementi psicologici. Un giallo, la cui prima stagione si è chiusa con la morte di un marito violento e l'omertà delle quattro madri amiche, colpevoli di aver dato all'uomo la spinta fatale. Un giallo che, nella seconda stagione della serie, dovrebbe dilungarsi sulle indagini, restituendo però tutto il tormento interiore delle donne. Le quattro hanno da nascondere un omicidio, a se stesse e alle proprie famiglie, alla comunità di Monterey, piccola perla californiana, e alla madre del morto, giunta in città per fare chiarezza. La madre, novità di Big little lies 2, nient'altro è se non Meryl Streep, aggiunta blasonata ad un cast d'eccezione. Oltre alla Whiterspoon e alla Kidman, la serie Sky vede tra i protagonisti Zoe Isabella Kravitz, straordinaria figlia di Lenny, e Alexander Skarsgård, interprete del picchiatore morto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem5" data-id="5" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/serie-tv-2635906708.html?rebelltitem=5#rebelltitem5" data-basename="la-casa-di-carta-3" data-post-id="2635906708" data-published-at="1765631809" data-use-pagination="False"> La casa di carta 3 È l'ultima, in linea temporale, a fare il proprio debutto. Ma, forse, è la più attesa delle cinque. La casa di carta 3, terzo atto della serie Netflix che si è trasformata in mania, arriverà online il 19 luglio prossimo, raccontando quanto successo al gruppo di scapestrati che ha beffato la Spagna, e pure il mondo. La serie, una produzione iberica, s'è chiesta se un manipolo di delinquenti guidato da una mente geniale, Il Professore, avrebbe mai potuto rapinare la Zecca di Stato. Senza morti, senza violenza. Come moderni Robin Hood, decisi ad accattivarsi la simpatia del popolo spagnolo. La risposta è arrivata solo con il finale della seconda stagione, quando la banda, provata dagli imprevisti che l'assedio s'è portato appresso, ha preso la via della fuga. Il colpo è riuscito e cosa attenda questi ladri divenuti eroi è compito della terza stagione spiegarlo. Ma, mentre gli affezionati de La casa di carta se ne stanno buoni, in trepidante attesa, i detrattori non si danno pace. Qualcuno s'è lanciato contro la serie. "Gentista", l'ha definita, lamentando un eccessivo populismo. Una sorta di demagogia in nome della quale verrebbe turlupinato un pubblico caprone, provato dalla crisi economica. La casa di carta sarebbe un'operazione furba, studiata per ingolosire chi ha fame di riscatto. E sia pure, se tanto basta a tacere le polemiche. Per noi, La casa di carta è un gioiello: la prima serie, dopo tante, a meritare il cosiddetto binge-watching, una puntata via l'altra, in una maratona resa più familiare da suono (inaspettato) di Bella Ciao.
Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
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Riduci
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Riduci
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Riduci
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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